Nella chiesa parrochiale dei Santi Pietro e Paolo a Malesco, centro della Val Vigezzo in provincia di Verbania a pochi chilometri dal confine svizzero, sono conservate le reliquie di San Metrobio, giunte nella località ossolana nel 16.. Unica fonte agiografica che ricorda un santo con questo nome è il Martirologio Romano, nell’edizione precedente l’attuale, ove si legge alla data del 24 dicembre: A Tripoli, nella Fenicia, i martiri Luciano, Metrobio, Paolo, Zenobio, Teòtimo e Druso. Questa scarna indicazione null’altro consente di conoscere su Metrobio se non il luogo del suo martirio, avvenuto, verosimilmente, durante una delle ultime persecuzioni organizzate dall’autorità romana contro la sempre più diffusa fede cristiana. Quando nel 1669, gli abitanti di Malesco formularono la richiesta di avere un corpo di qualche martire, come già era avvenuto per molte altre località della diocesi novarese cui il centro appartiene, ottennero quello di Metrobio Saveriano, estratto dal complesso catacombale di Priscilla, a Roma. Il dono, ritenuto allora così prezioso da giustificare un autotassazione da parte delle famiglie del luogo per far fronte alle necessarie spese del caso (con delibera comunale del 28 dicembre 1671 si ottennero in prestito 325 lire imperiali), venne ottenuto grazie all’interessamento di padre Illuminato da Cosacia, un religioso cappuccino già noto a Malesco per avervi predicato la quaresima. I sacri resti giunsero a destinazione nel 1673 accolti, il 28 maggio, con sincero e devoto entusiasmo dalla popolazione che poteva confidare nella protezione di un nuovo santo, ritenuto ancor più esclusivo per la presenza in loco delle sue spoglie. Il motivo che portò ad attribuire al martire orientale Metrobio il corpo giunto da Roma, va ricercato nel più allargato contesto del fenomeno del recupero e della traslazione dei corpi santi, dalle catacombe romane a centinaia di località sparse in tutto l’orbe cattolico. Sia per soddisfare ad esigenze liturgiche – non era infatti concessa la celebrazione dell’ufficio e della messa per santi non inseriti nel martirologio romano – sia per conferire una dimensione storica ai nuovi santi posti in venerazione, le reliquie erano spesso identificate come appartenenti a martiri che avevano una loro collocazione all’interno della vastissima produzione agiografica, seppur minima come nel caso in questione. Questo modo di procedere, più volte vietato dalla stessa autorità ecclesiastica che curava tutti i lunghi passaggi, più burocratici che devozionali, per la consegna delle reliquie, causò non poca confusione all’interno dell’immaginario religioso dei fedeli, provocando sdoppiamenti di reliquie ed ingiustificate identificazioni di personaggi. Soltanto una più attenta esplorazione delle fonti, sia agiografiche sia archeologiche, ha permesso di restituire a Metrobio la sua vera identità. Grazie ad una ricerca recentemente effettuata, si è potuto risalire a quello che, con ogni probabilità, è l’epitaffio originario a chiusura del loculo in cui venne deposto il corpo di Metrobio. Il testo, tramandato in varie opere di epigrafia cristiana (tra cui quella di Giovanni Battista de’Rossi Iscriptiones cristianae urbis Romae), così riporta: METROBIUS SEVERIANUS / QUI VIXIT ANN(OS) XXVII, MENSIBUS / TRIBUS, D(IES) XII, BENEMERENTI. Metrobio dunque era un giovane morto a ventisette anni, tre mesi e dodici giorni di età; nessuna traccia di martirio diretto o di un’eventuale traslazione dei suoi resti dalla Tripoli orientale in cui visse il martire menzionato nel martirologio. Questi dati che è oggi possibile riferire alla sua persona non intaccano la devozione di cui Metrobio ancora è oggetto in seno alla comunità maleschese, al contrario ne aumentano la storicità, consentendo di identificare il santo come un membro della primitiva comunità cristiana di Roma. Anche se egli non morì direttamente per morte violententa, come lascerebbe intuire l’epigrafe, fece comunque parte di una comunità testimoniante, che tante prove dovette subire per rimanere fedele al messaggio evangelico. L’iconografia, limitata ad una stampa del 1723, ritrae Metrobio secondo il classico canone di soldato romano, mentre sullo sfondo è rappresentato il creduto martirio; anche nell’urna entro il prezioso altare in marmo, realizzato nel 1900 su progetto dell’architetto Molli, i suoi resti sono rivestiti da un uniforme di milite romano in velluto e raso, ricamata dalle suore Rosminiane ed offerta dalla benefattrice Rachele Salati. La festa locale in onore del santo, un tempo celebrata nella seconda domenica di giugno, è fissata alla prima domenica di agosto, in ricordo dell’ultimo solenne trasporto organizzato nel 1900 per inaugurare i lavori di rifacimento della cappella.
Autore: Damiano Pomi
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