Infanzia e vocazione
Mario Vergara nacque a Frattamaggiore, in provincia di Napoli e diocesi di Aversa, il 18 novembre 1910, ultimo dei nove figli di Gennaro Vergara e Antonietta Guerra. Due giorni dopo venne battezzato nella parrocchia arcipretale di San Sossio.
Una volta terminate le scuole elementari nel 1921, vincendo l’opposizione del padre, entrò nel Seminario di Aversa. Il 28 agosto 1927 ricevette la Cresima nella basilica di Santa Restituta a Napoli; poche settimane dopo si trasferì al Pontificio Seminario Campano, retto dai padri Gesuiti a Napoli-Posillipo, per frequentare il corso filosofico.
Missionario nel PIME
A 19 anni, spinto dal desiderio di amare Dio nei fratelli lontani e non credenti, entrò nel Pontificio Istituto Missioni Estere (PIME). L’11 agosto presentò domanda di ammissione e venne accolto nella sede di Monza, dove iniziò il terzo anno di liceo. Tuttavia, prima del termine dell’anno scolastico, fu costretto a ritornare in famiglia per gravi motivi di salute.
Una volta guarito, pensò bene di non esporre il suo debole fisico ai freddi invernali del Nord Italia, pertanto riprese gli studi a Posillipo.A 23 anni fu riammesso nel PIME: il 31 agosto del 1933 iniziò il noviziato a Genova-Sant’Ilario e frequentò a Milano l’ultimo anno di Teologia. Nel giugno 1934 terminò gli esami e ottenne un mese di dispensa dal noviziato. Il 1° agosto emise quindi il giuramento perpetuo di fedeltà all’Istituto e di consacrazione alla missione.
Già prima del termine del noviziato seppe la sua destinazione missionaria: Toungoo, nella Birmania orientale (attuale Myanmar). Il 5 agosto 1934 ricevette il suddiaconato dal cardinal Alfredo Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano, oggi Beato.
Per il diaconato avrebbe dovuto attendere un anno, ma ottenne la dispensa: fu quindi ordinato a Bergamo dal vescovo monsignor Luigi Marelli il 24 agosto. Due giorni dopo, il 26, il cardinal Schuster gli conferì l’ordinazione sacerdotale nella chiesa di Santa Maria Nascente a Bernareggio. Il 27 agosto padre Mario celebrò la sua Prima Messa a Frattamaggiore, ma poche settimane dopo, il 30 settembre, era già in partenza per la Birmania.
In Birmania
Giunse alla fine di ottobre 1934a Toungoo, dove si dedicò allo studio delle lingue delle tribù cariane. Dopo qualche mese gli venne assegnato il distretto di Citaciò, della tribù dei Sokù, con 29 villaggi.
Tutti avevano una grande stima di lui, anche i sacerdoti indigeni.Prediligeva i più piccoli e gli ammalati, che assisteva e accudiva con grande dedizione.Era sacerdote, educatore, medico, amministratore e spesso anche giudice ed arbitro. Divenne per tutti, cattolici e non, un punto di riferimento, noncurante dei disagi, del maltempo, della malaria che spesso lo attaccò.
Prigioniero di guerra
Ma sul mondo incombeva l’inizio della seconda guerra mondiale. Il 10 giugno 1940 l’Italia dichiarò guerra all’Inghilterra, che aveva il protettorato sulla Birmania.Tutti i missionari italiani furono considerati fascisti, costretti ad interrompere tutte le attività: il 21 dicembre 1941 furono inviati nei campi di concentramento inglesi situati in India.Dopo tre anni, verso la fine del 1944, alcuni missionari furono rilasciati e quindi poterono ritornare alle loro missioni.
Anche padre Mario fu liberato, ma non poté ancora tornare in Birmania. Peraltro, il suo fisico si era molto indebolito: oltre alla spossatezza dovuta alla detenzione di quegli anni, dovette subire alcuni interventi chirurgici, fra cui l’asportazione di un rene.Ormai temeva di essere rimpatriato, perché considerato inutile.
La misssione di Toungoo
Invece monsignor Alfredo Lanfranconi, vescovo di Toungoo, gli espose il suo progetto di fondare una nuova missione all’estremità della frontiera orientale della diocesi missionaria di Toungoo. Padre Mario accettò con entusiasmo e partì da solo: nel 1947 fondò la missione e poi la parrocchia di Shadaw. Ottenne l’aiuto di un catechista laico, Isidoro Ngei Ko Lat, il quale, obbligato a lasciare il seminario a causa di un’asma bronchiale, non aveva tuttavia abbandonato l’idea di servire il Signore. L’anno successivo fu raggiunto da un confratello, padre Pietro Galastri.
I suoi sforzi apostolici diedero subito ottimi risultati, provocando però il risentimento dei protestanti battisti, mentre in Birmania, che nel 1948 aveva ottenuto l’indipendenza dall’Inghilterra, era scoppiata la guerra civile.
La posizione di padre Mario diventò molto precaria, anche per la sua opposizione forte e coraggiosa ai soprusi delle truppe cariane ribelli di religione battista, le quali opprimevano l’indifesa popolazione, requisendo viveri e imponendo tasse insopportabili, e compivano atti intimidatori nei confronti dei missionari cattolici.
Il martirio
Il 24 maggio 1950 padre Mario, accompagnato dal catechista Isidoro, si recò a Shadaw per ottenere la liberazione del catechista Giacomo Còlei. Aveva scritto una lettera a Tire, capo del distretto di Taruddà, per trattare la questione, ed era stato da lui invitato a raggiungerlo a Shadaw.
Giunti sul posto, alle 18.30, non incontrarono Tire, ma il comandante Richmond, suo alleato. Il missionario cercò di replicare alle accuse che gli venivano rivolte, ma invano: lui e il catechista vennero ammanettati e scortati verso il fiume Salween. Dopo una marcia di almeno sei ore, all’alba del 25 maggio 1950 furono uccisi a colpi di arma da fuoco.
I loro corpi, rinchiusi in due sacchi distinti, vennero gettati nel fiume. Qualche giorno più tardi, alcuni pescatori di etnia shan li intercettarono lungo il fiume: tuttavia, dopo essersi accorti che i sacchi contenevano dei cadaveri, li buttarono di nuovo nella corrente.
Padre Pietro Galastri, invece, venne catturato presso la casa della missione alla stessa ora in cui il confratello e il catechista erano caduti in trappola; da allora si persero le sue tracce.
La causa di beatificazione
Il nulla osta per l’introduzione della causa di beatificazione di padre Mario Vergara e di Isidoro Ngei Ko Lat, è stato ottenuto il 23 ottobre 2001. Due anni dopo si procedette all’avvio del processo nella diocesi di Loikaw, ad opera del vescovo locale, monsignor Sotero Phamo, figlio di un catechista di padre Mario. Gli atti dell’inchiesta diocesana, durata dal 2 novembre 2003 al 10 febbraio 2004, sono stati convalidati il 12 novembre 2004, mentre la “Positio super martyrio” è stata trasmessa nel 2006.
Il 4 dicembre 2008, nel corso dell’esame della “Positio”, i consultori teologi si sono pronunciati negativamente in ordine al riconoscimento del martirio. La Postulazione della causa ha quindi predisposto una risposta alle osservazioni, ottenendo quindi, l’11 luglio 2013, il parere positivo, confermato dal congresso ordinario dei cardinali e vescovi della Congregazione delle Cause dei Santi, il 3 dicembre 2013.
Ricevendo in udienza il cardinal Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, papa Francesco ha infine autorizzato la promulgazione del decreto sul martirio il 9 dicembre 2013.
La beatificazione e il culto
La beatificazione di padre Mario e del catechista Isidoro, primo martire originario del Myanmar, si è quindi svolta il 24 maggio 2014nella cattedrale di San Paolo ad Aversa, presieduta dal cardinal Amato come rappresentante del Santo Padre.
La loro memoria liturgica, per le diocesi di Loikaw e Aversa e per il Pontificio Istituto Missioni Estere, è stata fissata al 25 maggio, data della loro nascita al Cielo.
Autore: Antonio Borrelli ed Emilia Flocchini
È stato beatificato sabato 24 maggio 2014 nella cattedrale di Aversa Padre Mario Vergara, portando con sé sull’altare il giovane catechista che insieme a lui è stato ucciso, diventando in tal maniera il primo beato della Birmania. Si conclude così per entrambi un processo di beatificazione durato poco più di 10 anni.
Mario Vergara nasce a Frattamaggiore, in una nidiata di nove figli, nel 1910 e, invece di inserirsi nel canapificio di famiglia, entra in seminario a 11 anni, con il suo stile di vita molto “aperto”, l’aria sbarazzina e il suo “carattere ribelle”: insomma, sono davvero pochi a scommettere sul buon esito della vocazione di questo “tipo curioso”.
Anche la sua salute si mette di traverso e un giorno arriva agli estremi, per un’appendicite degenerata in peritonite, che non lo fa morire, ma lo lascia con il fisico indebolito. Nonostante tutto arriva in tempo, il 26 agosto 1934, ad essere ordinato prete ed a partire un mese dopo in direzione della Birmania.
Subito si dedica allo studio delle lingue locali, imparandone in pochi mesi addirittura tre e viene assegnato al distretto di Citaciò, della tribù dei Sokù, con 29 villaggi cattolici e altrettanti catechisti da mantenere, oltre alla cinquantina di orfani raccolti dalla missione. Per la sua gente si spende con generosità: è sempre in movimento, noncurante dei disagi, del maltempo, della malaria; va in giro per i villaggi anche con la febbre in corpo, prodigandosi in mille modi: come prete ed educatore, ma anche in qualità di medico, amministratore e spesso di giudice.
Durante la seconda guerra mondiale viene internato per quattro anni in campo di concentramento: gli inglesi non vanno per il sottile e per loro gli italiani sono tutti “fascisti”. Oltre all’inattività, che lo fa soffrire, e alla lontananza dalla sua missione, attraversa periodi brutti per la sua salute e devono asportargli anche un rene.
Ha una preoccupazione unica: non essere più “abile” per la missione; nessuno, quindi, è felice come lui, vedendosi assegnare nel 1946 una serie di piccole comunità di nuova evangelizzazione, che si trovano ai duemila metri, sulle catene montuose Prèthole: anche se deve ripartire da zero con la lingua e la conoscenza delle usanze, anche se non ha un buco per dormire e scarseggiano i viveri. Gli assegnano come compagno di avventura il confratello padre Pietro Galastri, che ha qualche conoscenza in muratura e falegnameria, perché lo aiuti almeno a dotarsi delle strutture indispensabili.
Si conquista i nuovi parrocchiani semplicemente amandoli, con il suo stile di incondizionata donazione: a nessuno sfugge che cura gratuitamente tutti, anche i non cristiani e questo suscita la gelosia e l’avversione dei Battisti (che, per chi non lo sapesse, sono pur essi cristiani, ma si identificano come una “costola” del protestantesimo).
I cristiani, praticamente, si fanno guerra tra loro, con il risultato di allontanare da entrambe le confessioni religiose gli indigeni: non solo sono impediti di andare nella missione cattolica, ma anche di vendere ai missionari viveri e attrezzi, con lo scopo di fare terra bruciata attorno a loro. Padre Mario assiste impotente alla campagna diffamatoria nei suoi confronti, rispondendo con l’amore alle continue provocazioni.
Incontrato il giovane Isidoro, lo “arruola” immediatamente come catechista. Trent’anni, da sempre con il desiderio di essere prete, tra Isidoro e la sua vocazione si è messa di mezzo un’asma bronchiale di una certa importanza, a causa della quale ha lasciato il seminario, ma che non ha spento la sua voglia di fare “qualcosa per Gesù”.
In attesa di poter essere catechista, ha aperto una scuola gratuita per i bambini e si fa benvolere da tutti per la sua generosità. Accanto a padre Mario si tuffa nel lavoro catechistico, seminando amore, tolleranza, perdono nel clima di odio introdotto dai battisti.
Che adesso, quindi, odiano anche lui, soprattutto da quando è scoppiata la “guerra dei cariani” per l’indipendenza dal governo.Tendono una trappola ad entrambi, attirandoli con la prospettiva di trattare la liberazione di un altro catechista che è stato arrestato.
La sera del 24 maggio 1950 padre Mario ed Isidoro cadono nelle mani dei ribelli, fomentati dai protestanti, e vengono fucilati all’alba del giorno successivo. Alcune ore dopo la stessa sorte è riservata a padre Galastri e i loro corpi, gettati nel fiume, non sono mai più stati ritrovati.
Autore: Gianpiero Pettiti
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