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Marcheno, Brescia, 9 ottobre 1899 – Scutari, Albania, 4 marzo 1946
Giovanni Fausti, nativo della Val Trompia, frequentò il Seminario di Brescia e, dopo la chiamata alle armi, il Pontificio Seminario Lombardo di Roma. Ordinato sacerdote il 9 luglio 1922, entrò due anni più tardi nella Compagnia di Gesù. Inviato in Albania, intraprese un attento cammino di dialogo con l’Islam. Fu poi richiamato in Italia, ma tornò in Albania nel 1942; tre anni dopo, fu nominato viceprovinciale. Arrestato il 31 dicembre 1945 insieme al confratello Daniel Dajani, suo successore come rettore del Seminario di Scutari, venne processato con l’accusa di essere una spia per conto del Vaticano. Il 4 marzo 1946 venne fucilato presso il cimitero cattolico di Scutari insieme a padre Dajani, al francescano Gjon Shllaku, al seminarista Mark Çuni e ai laici Gjelosh Lulashi e Qerim Sadiku. Con i suoi compagni di martirio, padre Giovanni Fausti è stato incluso nell’elenco dei 38 martiri albanesi beatificati il 5 novembre 2016 a Scutari.
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Infanzia e vocazione
Giovanni Fausti nacque a Brozzo, frazione di Marcheno, in Val Trompia (in provincia e diocesi di Brescia) il 9 ottobre 1899, primo dei dodici figli di Antonio Fausti e Maria Sigolini, genitori religiosi e inclini alla carità.
Fanciullo felice e sereno, maturò la vocazione sacerdotale e a 10 anni entrò nel Seminario di Brescia, dove ebbe come compagno di studi Giovanni Battista Montini, il futuro Beato Paolo VI.
La chiamata alle armi e l’ordinazione sacerdotale
Verso i 18 anni, nel 1917, fu chiamato alle armi e dovette interrompere gli studi. Nel 1920, dopo aver seguito un corso all’Accademia Militare di Modena, fu mandato in servizio a Roma dove frequentò la Facoltà di Lettere presso l’Università.
Congedato nello stesso 1920 col grado di sottotenente di artiglieria, riprese gli studi presso il Pontificio Seminario Lombardo di Roma. Fu quindi ordinato sacerdote il 9 luglio 1922, laureandosi poi in teologia presso la Pontificia Università Gregoriana e in filosofia all’Accademia San Tommaso. Nel 1923 era già professore di filosofia nel Seminario di Brescia.
Nella Compagnia di Gesù
Il 30 ottobre 1924, con il permesso del suo vescovo, entrò nella Compagnia di Gesù a Gorizia. Dal 1929 al 1932 fu inviato in Albania come professore di filosofia presso il Pontificio Seminario di Scutari, affidato ai Gesuiti. Imparò celermente la difficile lingua albanese, compiendo studi approfonditi sull’Islam per poter avviare un serio e concreto dialogo fra islamici e cristiani.
Negli anni dal 1931 al 1933 scrisse una serie di articoli su questo tema, per le pagine della rivista «La Civiltà Cattolica», che furono poi raccolti e pubblicati nel volume «L’Islam nella luce del pensiero cattolico». Sempre in quest’ottica, fondò la Lega «Amici Oriente Islamico», diffusa in Italia e all’estero.
A Mantova e Gallarate
Nel 1932 fu richiamato in Italia a Mantova, come professore di filosofia e “ministro”, ovvero responsabile di quella comunità gesuitica. Lì si manifestarono i sintomi della tubercolosi, malattia di cui era già stato affetto in forma leggera quand’era in Albania. Pertanto, dall’agosto 1933 e fino al 1936, dovette sottoporsi a cure lunghe e specifiche, prima in Alto Adige e poi a Davos in Svizzera.
All’inizio del 1936 riprese l’insegnamento, questa volta alla Facoltà «Aloisianum» di Gallarate (in provincia di Varese e diocesi di Milano), dove, il 2 febbraio 1936, emise la professione solenne. A Gallarate rimase sei anni, dimostrando eminenti doti pedagogiche e intellettuali. Nello stesso periodo scrisse il volume «Teoria dell’astrazione», pubblicato postumo nel 1947.
Di nuovo in Albania
I Superiori della Compagnia di Gesù, coscienti delle sue doti e virtù, nel luglio 1942 decisero di affidargli un compito delicato e molto arduo, quello di Rettore del Pontificio Seminario di Scutari in Albania e dell’annesso Collegio Saveriano. Dopo un anno, nel 1943, trasferì i suoi incarichi a un gesuita albanese, padre Daniel Dajani.
Si spostò poi a Tirana, dove fu impegnato a difendere ed assistere gli italiani e gli albanesi, sia cristiani che musulmani, coinvolti nella tragedia della seconda guerra mondiale. Venne pure ferito da una pallottola tedesca che colpì l’apice del polmone sano, rompendogli la clavicola.
Gli inizi della persecuzione
La situazione peggiorò ancora quando, alla fine del 1944, i tedeschi si ritirarono e i partigiani comunisti, comandati da Enver Hoxha, conquistarono il potere ed effettuarono ogni sorta di soprusi nei confronti dei cattolici.
Si accanirono in maniera particolare contro i vescovi, i francescani e i Gesuiti; questi ultimi perché, attraverso l’educazione dei giovani, contribuivano alla formazione culturale delle classi dirigenti del Paese, specie nel Nord.
Fiduciosi nella prudenza di padre Giovanni, i superiori, nel maggio 1945, lo promossero Viceprovinciale dei Gesuiti in Albania.
L’arresto e il processo
Nel mese di dicembre uno degli studenti del Seminario, Fran Gaçi, morì in casa propria, dopo essere stato torturato dalla Sigurimi (la polizia segreta) e rilasciato. Il 31 dicembre, insieme a padre Daniel Dajani, si recò nel villaggio d’origine del giovane, per una Messa di suffragio.
La sera stessa, appena tornati a Scutari, i due sacerdoti vennero arrestati. Padre Giovanni fu tenuto in isolamento per due mesi e, anche in seguito, fu sottoposto a torture. L’accusa, non provata, che fu rivolta loro era di essere politicanti traditori della nazione, asserviti agli occidentali e spie del Vaticano, oltre che di aver favorito la formazione dell’Unione Albanese.
Si trattava in realtà dello pseudonimo con cui i seminaristi Mark Çuni e Gjergj Bici avevano firmato alcuni volantini con cui avevano cercato di contrastare la propaganda comunista, stampati in proprio e senza farne parola con i superiori.
Ogni volta che doveva passare dalla prigione al tribunale, padre Giovanni veniva pesantemente insultato. Una donna, ad esempio, si fece avanti gridando con voce rabbiosa: «Una pallottola in fronte!» e, così dicendo, gli sputò in faccia. In risposta, lui fece un cenno col capo e commentò: «Perdona, o Padre, perché non sa quello che sta facendo!».
Il martirio
Il 22 febbraio 1946 vennero lette le sentenze. Otto furono i condannati a morte per fucilazione: padre Gjon Shllaku, padre Giovanni Fausti, padre Daniel Dajani, i seminaristi Mark Çuni e Gjergj Bici, i laici Gjelosh Lulashi, Fran Mirakaj e Qerim Sadiku. Gli altri furono invece destinati al carcere, per un periodo che poteva andare dai cinque anni all’intera vita, di fatto, se avessero anche minimamente trasgredito. Per Gjergj Bici la sentenza venne poi cambiata in anni di lavori forzati, mentre Fran Mirakaj risulta che sia morto nel settembre 1946.
All’alba del 4 marzo, i sei rimasti furono trasportati al cimitero cattolico di Scutari, luogo della loro esecuzione. Alle 6 in punto venne dato l’ordine di fare fuoco agli otto soldati del plotone, armati di mitragliatrici.
Padre Giovanni pronunciò quindi le sue ultime parole: «Sono contento di morire nell’adempimento del mio dovere. Salutatemi i fratelli gesuiti, i diaconi, i sacerdoti e l’arcivescovo». Il grido comune dei condannati fu: «Viva Cristo Re! Viva l’Albania!».
La fama di santità e la beatificazione
La notizia del martirio di padre Giovanni Fausti e dei suoi compagni si diffuse celermente in tutto il mondo cattolico, suscitando dolore e stupore. La Compagnia di Gesù, pochi anni dopo, ebbe un ulteriore martire, il fratello laico Gjon Pantalia, morto il 31 ottobre 1947.
Nell’elenco di 38 martiri uccisi sotto il regime comunista in Albania e capeggiati dal vescovo Vincenç Prennushi, figurano anche padre Giovanni Fausti e i suoi compagni. Sono stati tutti beatificati il 5 novembre 2016 nella piazza davanti alla cattedrale di Santo Stefano a Scutari.
Autore: Antonio Borrelli ed Emilia Flocchini
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