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Beato Giuseppe Rossi Sacerdote e martire

Festa: 26 febbraio

Varallo Pombia, Novara, 3 novembre 1912 – Calasca Castiglione, Verbano-Cusio-Ossola, 26 febbraio 1945

Giuseppe Rossi nasce a Varallo Pombia il 3 dicembre 1912, secondogenito di una famiglia povera ma dignitosa. Nel 1925 entra nel Seminario della diocesi di Novara, con sede ad Arona; viene ordinato sacerdote il 29 giugno 1937. Nel 1939 è destinato alla parrocchia di San Gottardo a Castiglione Ossola (oggi nel Comune di Calasca Castiglione): negli anni seguenti sostiene come può i fedeli del paese e i giovani partiti per la seconda guerra mondiale. Il 25 febbraio 1945, in seguito a uno scontro tra i partigiani garibaldini della Brigata Torino e i fascisti della 29° Brigata Muti, si scatena la rappresaglia in paese. Anche don Giuseppe viene arrestato, con l’accusa di aver suonato le campane della chiesa per allertare i partigiani. Come gli altri fermati, viene rilasciato verso sera. Sia prima dell’arresto, sia dopo, si rifiuta di lasciare il paese, pur essendo consapevole di correre molti rischi. La sera del 26 febbraio 1945 viene nuovamente prelevato da quattro militi: non si sa più nulla di lui fino a una settimana dopo, quando viene trovato il suo cadavere. Il 14 dicembre 2023 papa Francesco ha autorizzato il decreto sul martirio in odio alla fede di don Giuseppe, i cui resti mortali riposano dal 22 settembre 1991 nella chiesa di San Gottardo a Castiglione Ossola.



Giuseppe Rossi nasce a Varallo Pombia il 3 dicembre 1912, figlio di genitori che faticano a mettere insieme il pranzo con la cena. Con il papà che fa la spola tra Francia e Germania per cercar lavoro, lui nel 1925 entra nel seminario di Arona e il 29 giugno 1937 viene ordinato prete.
Poco più di un anno dopo è destinato a Castiglione Ossola, nella parrocchia di San Gottardo: un territorio di montagna dai sentieri impervi e con poche centinaia di abitanti, segnato da un progressivo spopolamento, perché i giovani  vanno altrove a cercar lavoro.
I problemi più grossi, però, non gli derivano dalla povertà del territorio o dal progressivo invecchiamento della popolazione, piuttosto dalla guerra, che avvelena gli animi e raziona i viveri, lasciando donne, vecchi e bambini a patire la fame.
Don Giuseppe intrattiene una fittissima corrispondenza con i suoi ragazzi al fronte, per chi è rimasto fonda l’Azione Cattolica e la San Vincenzo, si spoglia del poco che ha per aiutare le missioni, ma prima di tutto non dimentica i suoi poveri.
Si riduce anche a comprare il riso a borsa nera per dar loro da mangiare: lungo il giorno in canonica si cuociono vari pentoloni di minestra che poi a sera, con il favore del buio, don Giuseppe in persona distribuisce di casa in casa ai più bisognosi. Tutti in paese sanno che lui non è schierato, né a destra né a sinistra, per aver le mani libere di aiutare chiunque chieda il suo aiuto.
Non si lascia coinvolgere neanche la mattina del 26 febbraio 1945, quando i partigiani garibaldini della Brigata Torino tendono un’imboscata agli uomini della 29° Brigata Muti, durante la quale due di questi vengono uccisi e molti altri feriti. In quel mentre, il campanile della parrocchia scocca lentamente le nove: quei rintocchi vengono interpretati come il segnale convenuto per i partigiani.
Pur sapendo che la sua vita è in pericolo, don Giuseppe si rifiuta di fuggire per i monti insieme agli uomini e ai giovani, preferendo fare da baluardo ai più deboli, rintanati in casa in attesa della rappresaglia, che non tarda ad arrivare: i fascisti incendiano alcune case, razziando il poco che trovano e rastrellando 45 persone, per lo più donne ed anziani, sottoposti ad interrogatori e vessazioni.
Come il pastore buono che all’arrivo del lupo non fugge, don Giuseppe passa dall’uno all’altro a confortare, incoraggiare, assolvere e preparare ad una morte che in quei momenti appare inevitabile, anche se più d’uno sarà poi disposto a giurare di aver sentito il loro parroco dire a mezza voce, come se parlasse a se stesso: «Prima di voi ci sono io», «Sarò io ad essere ammazzato».
Verso sera, inaspettatamente, tutti vengono liberati e ritornano a casa, compreso don Giuseppe. I parrocchiani allora si fanno in quattro per consigliargli di abbandonare il paese e fuggire sui monti, ma lui rifiuta, sempre appellandosi a quanto sente di essere: il pastore buono che per il gregge deve dare anche la vita, perché sa che la sua fuga esporrebbe il paese al rischio di una nuova rappresaglia.
Prima di notte i fascisti tornano in canonica, lo prelevano così com’è, con le pantofole ai piedi, e lo trascinano fuori paese. Da quel momento di lui non si hanno più notizie, fino al 4 marzo, quando i parrocchiani vanno a cercare il loro prete giù nel vallone, seguendo le indicazioni di una ragazza che ha ricevuto una confidenza da uno degli assassini, perseguitato dal rimorso.
Lo trovano sotto pochi centimetri di terra, in una buca scavata con le unghie, ricoperto di lividi, con il cranio sfondato e il colpo di grazia in pieno volto. Lo seppelliscono nel suo paese natale, ma nel 1991 i parrocchiani di Castiglione Ossola rivogliono i suoi resti, accolti nella chiesa parrocchiale di San Gottardo.
Nel 2002, infine, la diocesi di Novara dà l’avvio al suo processo di beatificazione. Il 14 dicembre 2023 il decreto autorizzato da papa Francesco riconosce ufficialmente il suo martirio in odio alla fede.

Autore: Gianpiero Pettiti
 



I primi anni
Giuseppe Rossi nacque il 3 novembre 1912 a Varallo Pombia, in provincia e diocesi di Novara, figlio di Gerolamo Rossi e Angela De Ambrogio. Fu battezzato una settimana dopo la nascita, nella chiesa parrocchiale dei Santi Vincenzo e Anastasio a Varallo Pombia.
Di corporatura esile, ma di carattere tenace e volitivo, Giuseppe crebbe in una famiglia povera ma dignitosa. Cercava di vincere quando giocava a pallone con gli amici, anche ricorrendo a fare loro lo sgambetto. Frequentò le elementari in paese fino alla quarta classe, mentre per le due seguenti (secondo l’ordinamento scolastico dell’epoca) fu allievo di una maestra privata.
Seguì il catechismo in parrocchia: insieme alla sorella Maria, maggiore di lui di un anno, ricevette la Prima Comunione il 25 marzo 1920 e la Cresima il 5 dicembre dello stesso anno. Sempre in parrocchia fece la conoscenza di don Giovanni Preti, un sacerdote che sapeva coinvolgere bambini e ragazzi con ogni mezzo, ad esempio con il teatro.

La vocazione al sacerdozio
Un giorno, don Giovanni gli chiese se volesse diventare sacerdote: Giuseppe scappò via, rosso di vergogna, perché sapeva che la sua famiglia non avrebbe potuto sostenere le spese per farlo studiare in Seminario.
Il giorno seguente, la madre e la sorella si presentarono al sacerdote, promettendo che avrebbero lavorato per contribuire a quelle spese. Il padre, dal canto suo, era da tempo impegnato in lavori saltuari e stagionali.

Verso l’ordinazione sacerdotale
Così, nell’autunno del 1925, Giuseppe entrò nel Seminario San Carlo ad Arona, accolto dal rettore don Silvio Gallotti (Venerabile dal 2004). Vestì l’abito clericale a ridosso dell’8 settembre 1926: in quella circostanza, fece voto temporaneo di castità, affidando alla Madonna il suo impegno. Ai suoi compagni appariva tranquillo, ma dentro di sé nutriva una tensione a migliorarsi di continuo.
Fu ordinato sacerdote il 29 giugno 1937, a venticinque anni. Per l’immagine ricordo dell’ordinazione e della Prima Messa, che celebrò nella sua parrocchia natale il 4 luglio seguente, scelse una frase di san Paolo, precisamente dal versetto 15 del capitolo 12 della seconda lettera ai Corinzi, come motto del suo ministero sacerdotale: «Darò quanto ho, anzi darò tutto me stesso per le anime vostre».

Parroco a Castiglione Ossola in tempo di guerra
Dopo un anno trascorso nel Seminario di Novara per completare il corso teologico, nel 1939 fu nominato parroco di San Gottardo a Castiglione Ossola, allora nella provincia di Novara e oggi nel Comune di Calasca-Castiglione; un anno dopo, il 10 giugno 1940, l’Italia entrò in guerra a fianco della Germania di Hitler.
Negli anni che seguirono, don Giuseppe fece quello che poteva per i fedeli della sua parrocchia: organizzò la Conferenza di San Vincenzo de’ Paoli per i più poveri, l’Azione Cattolica per i ragazzi e aiutò con le poche risorse le missioni. I giovani che erano partiti militari gli scrivevano da fronti lontani: lui scriveva a ognuno, facendo sentire la sua presenza accanto a loro.
Sempre in giro con la bicicletta, non disdegnava di comprare il riso alla borsa nera per sfamare i suoi poveri. La sorella Maria cucinava varie ministre che poi don Giuseppe, di sera, distribuiva nelle case dei bisognosi.

Il suo comportamento dopo l’8 settembre 1943

Dopo l’8 settembre 1943, seguì un periodo di generale sbandamento. Molti dei giovani della Val d’Ossola, salirono sui monti dell’alta valle e si arruolarono nelle formazioni partigiane. Nell’agosto-settembre 1944 nel territorio dell’Ossola fu istituita una Repubblica partigiana, sopraffatta dai tedeschi nella battaglia dell’ottobre 1944.
In questo periodo don Giuseppe non parteggiò per nessuno: si mantenne neutrale e prudente, soffrendo di vedere i suoi figli combattersi in quella guerra civile. Diventò il garante della popolazione davanti a tutti i contendenti.

La scelta di restare
Il 26 febbraio 1945, i partigiani garibaldini della Brigata Torino furono informati che una colonna di fascisti, appartenenti alla II Compagnia della 29° Brigata “Ettore Muti”, stava salendo verso Macugnaga, nei pressi di Verbania. Si appostarono sulle rocce sopra Castiglione: erano in pochi, ma la strettezza della valle permetteva di fermare i fascisti con poche armi. Nell’attacco morirono due brigatisti e altri quindici rimasero feriti.
La reazione dei fascisti fu una rappresaglia: arrivarono i rinforzi, bruciarono alcune case di Castiglione, rastrellarono quarantacinque persone fra vecchi, donne e bambini. Un parrocchiano, Pierino D’Andrea, incitò il parroco a seguirlo, ma lui non si mosse: alcuni giorni prima, infatti, durante un altro rastrellamento, si era ferito mentre fuggiva per i boschi. Colse quel fatto come un segno: non avrebbe dovuto mai più lasciare il paese.

L’arresto e il sacrificio
Verso le dieci fu arrestato: le Camicie Nere lo accusavano di aver suonato le campane alle nove del mattino per segnalare ai partigiani il passaggio della colonna militare. I fermati, o meglio gli ostaggi, furono trattenuti fino a sera dopo un intero giorno di interrogatori, quindi tornarono a casa.
A tutti don Giuseppe raccomandava di avere fiducia e calma, perché lui si sarebbe sacrificato per la loro liberazione. Alcuni testimoni hanno dichiarato che abbia affermato: «Prima di voi ci sono io», «Sarò io ad essere ammazzato».

La cattura e il martirio
In canonica, la sorella gli preparò una minestra, mentre un’altra parrocchiana, Anna Paita, con un pretesto si avvicinò alla casa e scongiurò don Giuseppe di scappare in montagna. Dopo pochi minuti si ripresentarono quattro militi, che l’arrestarono senza dargli nemmeno il tempo di infilare le scarpe, né di prendere cibo.
Il fabbriciere della chiesa, Pietro Paola, e altre tre donne furono gli ultimi fedeli a vederlo passare, poi più nulla: don Giuseppe era sparito. Qualche giorno dopo un manifesto fascista esprimeva «sincero rimpianto» per la scomparsa del parroco, prendendo le distanze dall’accaduto.
Dopo otto giorni di silenzio uno dei militi fascisti, dal nome di battaglia “Natale”, si confidò con una ragazza del paese, Ada Piffero. Il cadavere di don Giuseppe fu trovato nel vallone dei Colombetti sotto il paese, sepolto in una fossa che il parroco era stato costretto a scavare con le proprie mani. Il cranio era spaccato dal calcio di un fucile; aveva ricevuto una pugnalata alla schiena e il colpo di grazia sparato in viso.
Gli esecutori materiali dell’omicidio sono rimasti ignoti. Il comandante I e del II plotone della Brigata Muti, Rodolfo Badiali, fu condannato il 7 dicembre 1946 per crimini di guerra: scontò pochi anni di pena, dopo aver chiesto perdono alla madre di don Giuseppe e al parroco don Severino Cantonetti, che gli era succeduto. Il 22 settembre 1991, i resti di don Giuseppe furono traslati nella parrocchia di San Gottardo a Castiglione Ossola.

La causa di beatificazione e canonizzazione fino al decreto sul martirio
Il processo diocesano della sua causa di beatificazione, volto a dimostrare il suo martirio in odio alla fede, si svolse dal 22 settembre 2002 al 7 marzo 2004 presso la diocesi di Novara. Gli atti del processo ottennero il decreto di convalida il 10 marzo 2006.
La “Positio super martyrio”, consegnata nel 2019, venne esaminata, il 28 gennaio 2020, dai Consultori Storici della Congregazione delle Cause dei Santi.
Il 14 dicembre 2023, ricevendo in udienza il cardinal Marcello Semeraro, Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, papa Francesco autorizzò la promulgazione del decreto relativo al martirio di don Giuseppe, aprendo la via alla sua beatificazione.


Autore:
Antonio Borrelli

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Aggiunto/modificato il 2023-12-14

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