Sant’ Anastasia, Napoli, 2 ottobre 1840 – Napoli, 21 novembre 1874
Francesco Maione, nato a Sant’Anastasia nel napoletano, fu malato dall’infanzia, motivo per cui venne ricoverato dapprima all’Ospedale dei Pellegrini, poi in quello degli Incurabili di Napoli. Nonostante le precarie condizioni di salute, diede come cristiano un esempio luminoso, prendendosi cura degli altri degenti. S’impegnò nell’insegnamento del catechismo e nel ricondurre ai Sacramenti i compagni infermi. La malattia minò progressivamente il suo corpo, ma tale era la sua condotta che tutti ne erano impressionati, non ultimo il Beato Bartolo Longo, che frequentava l’ospedale per assistere gli ammalati. Francesco morì la sera del 21 novembre 1874, a 34 anni. La sua fama di santità condusse all’apertura, dopo soli cinque anni dalla morte, del suo processo di beatificazione. Le spoglie sono custodite nella chiesa di San Giuseppe Maggiore a Napoli.
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Un esempio di sofferenza giovanile santificata
Anche se non è l’unica, la sofferenza è stata sempre la strada privilegiata per guadagnarsi il Paradiso, sulla scia dell’estrema sofferenza culminata con la terribile morte in croce di Gesù, vero uomo e vero Dio.
Con la Passione di Cristo davanti agli occhi, migliaia di anime hanno accettato le sofferenze, sopportandole spesso con un sorriso sulle labbra, confortando gli afflitti parenti ed amici, diventando spesso e per anni il centro di un vasto movimento spirituale e di meditazione, sollevando con le loro parole di incoraggiamento medici e infermieri, costretti ad applicare dolorose cure.
La sofferenza vissuta da ragazzi, adolescenti e giovani è ancora più straziante, perché oltre il dolore è visibile una vitalità tipica dell’età, compressa e bloccata dal male e dallo stare a letto. Inoltre, in tanti colpisce la serenità e l’accettazione della volontà di Dio, a volte difficile a trovarsi negli adulti.
La Chiesa, le comunità parrocchiali e civili, le associazioni e i movimenti, gli stessi parenti ed amici hanno provveduto, dopo la loro morte, a trasmettere in vari modi i messaggi emanati con la loro, sia pur breve, vicenda terrena, ma soprattutto ad additarne gli esempi al distratto, convulso, frettoloso, mondo dei giovani d’oggi. Alcuni sono Servi di Dio, altri Venerabili o già Beati e Santi, altri ancora vengono definiti Testimoni della fede del nostro tempo. Alla prima categoria appartiene Francesco Maione.
Infanzia e primi anni
Nacque il 2 ottobre 1840 a Sant’Anastasia, comune in provincia di Napoli e diocesi di Nola, alle falde del Vesuvio, famoso per il Santuario della Madonna dell’Arco e perché luogo d’origine del chierico barnabita Francesco Maria Castelli, morto a 19 anni nel 1771 (attualmente Venerabile). I suoi genitori, Sabato Maione e Teresa Pellegrino, erano tanto poveri quanto religiosi: lui era contadino, mentre lei era esperta nella lavorazione della lana.
Francesco ricevette insieme ai suoi fratelli un’educazione esemplare, soprattutto sotto l’aspetto religioso. Si distingueva dagli altri bambini di Sant’Anastasia per l’assiduità con cui partecipava alla Messa domenicale e alla catechesi.
Disabile ricoverato ai Pellegrini e agli Incurabili
Intanto, non si sviluppò bene nel fisico: assai debilitato e deturpato da gibbosità, presentava una progressiva inabilità degli arti inferiori, causata da una degenerazione ossea. Nonostante ciò, quando ebbe circa otto anni fu preso come apprendista presso un calzolaio. A 14 anni, per una caduta, si ruppe le gambe e divenne dapprima paralizzato, poi costretto a letto; poco prima, era rimasto orfano della madre.
A quel punto, dovette essere ricoverato all’ospedale dei Pellegrini a Napoli. Per gli elevati costi delle cure, dal 1857 e per i successivi 17 anni fu ospitato nell’ospedale degli Incurabili, fondato da Maria Lorenza Longo (anche per lei è aperto il processo di beatificazione) nel 1519. Bisogna tener conto che a quei tempi erano ricoverati all’ospedale soprattutto i poveri, che non avevano le possibilità di pagare un medico a domicilio, come la borghesia e la nobiltà.
Apostolo tra gli altri ammalati
Francesco, quindi, vi trascorse l’intera giovinezza. Aiutato da un chierico poi diventato sacerdote, imparò a leggere e a scrivere. I cappellani ospedalieri testimoniarono che era sempre desideroso di apprendere qualcosa di nuovo sulla fede, ma non teneva per sé quanto appreso, bensì l’insegnava agli altri lungodegenti. Diventato membro della Congrega di San Giuseppe, fu nominato Priore della Sala VI dell’Ospedale Incurabili, che ospitava circa 127 pazienti, dei quali si prese cura, impegnandosi anzitutto nel fornire i suggerimenti opportuni per entrare nell’animo di quanti erano lontani dai Sacramenti. Pregava, organizzava novene, ma li seguiva anche con molti delicati gesti di carità, che gli valsero il soprannome di “mamma della carità per quegli infelici”.
Le sue devozioni
Cementò poi la sua formazione religiosa tramite numerose devozioni: a Gesù Bambino e al Nome di Gesù, ma anche alla Madonna, restando fedele alla preghiera del Rosario come gli era stato insegnato in famiglia. I titoli con cui la venerava di più erano quelli dell’Immacolata, di Madre del Buon Consiglio e di Madonna del Carmine, tutti diffusissimi a Napoli.
Tra i Santi, era particolarmente affezionato al suo patrono san Francesco d’Assisi. Anche per questo, e per vivere pienamente lo spirito di carità, aderì al Terz’Ordine Francescano. Il suo impegno era concreto: dalle povere provviste che aveva, ma anche dalle elemosine che riceveva da amici e benefattori, dava spesso una parte a chi era più povero di lui. Nutriva anche un sincero rispetto e affetto verso i sacerdoti, coi quali s’intratteneva volentieri: ogni volta che uno di essi gli veniva vicino, gli baciava le mani.
L’incontro col Beato Bartolo Longo
Un testimone d’eccezione del suo comportamento, improntato alla rassegnazione cristianamente intesa, fu l’avvocato Bartolo Longo, che si era riaccostato alla fede dopo una gioventù dissipata e lontana dalla pratica religiosa.
A partire dal 1868, il futuro Beato e fondatore del Santuario di Pompei cominciò a frequentare l’ospedale, per dare conforto spirituale ai degenti. Accanto al letto di Francesco, la situazione si capovolgeva: l’avvocato diceva che contemplare la sua serenità, amabile e semplice, gli era di grande insegnamento.
La morte
Francesco morì la sera del 21 novembre 1874 nell’Ospedale degli Incurabili, mentre si svolgeva la benedizione eucaristica. Le sue ultime parole furono un’invocazione alla Madonna: «Regina mia, Regina mia vieni e pigliami»; aveva 34 anni. Gli ammalati si contesero le bende che l’avevano avvolto, per conservarle come reliquie.
Il processo di beatificazione
L’arcivescovo di Napoli, il cardinal Guglielmo Sanfelice, volle iniziare il 25 ottobre 1879, appena cinque anni dopo la morte, il processo diocesano per la sua beatificazione, che si protrasse per dieci anni. Il decreto sugli scritti si ebbe il 12 maggio 1909.
I suoi resti mortali vennero traslati nella chiesa di San Giuseppe Maggiore a Napoli, ma nel 1936, a causa della demolizione dell’edificio, passarono in quella di San Diego all’Ospedaletto, che ha ereditato il titolo della precedente chiesa. Il suo sepolcro si trova nella navata sinistra della chiesa, subito dopo l’entrata.
La memoria continua
A Sant’Anastasia il ricordo di Francesco non è mai venuto meno, ma si è intensificato negli ultimi anni. Nel 2004 gli sono state dedicate una via e una cappellina, che conserva un ciclo pittorico sulla sua vita. Negli anni successivi sono stati pubblicati due nuovi volumi biografici, con la speranza di rinnovare l’interesse verso la sua storia.
Il processo ha avuto un nuovo sviluppo nel 2010 con la nomina del vicepostulatore ad opera dell’arcivescovo di Napoli, il cardinal Crescenzio Sepe.
Autore: Antonio Borrelli ed Emilia Flocchini
Note:
Per informazioni e relazioni di grazie:
Parrocchia Sant’Antonio di Padova
piazza Sant’Antonio 1
80048 Sant’Anastasia (NA)
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