Costantinopoli, 1656 circa – Costantinopoli, 5 novembre 1707
Nacque a Costantinopoli nel 1656, figlio di un sacerdote armeno. In quegli anni tra le confessioni cristiane ortodosse andava rinforzandosi la fazione che spingeva per una riunificazione con Roma. Una disputa che suscitò una vera rivolta anticattolica. Sposato, con sette figli, divenne sacerdote e parroco. A 40 anni si convertì con tutta la famiglia al cattolicesimo, aprendo la strada così a molti altri sacerdoti di Costantinopoli. Condannato all'esilio, il suo caso spinse le autorità turche a emanare leggi severe contro i sacerdoti legati a Roma. Nel 1707 venne processato con l'accusa di aver provocato tumulti tra gli armeni. A causa della pressione esercitata dagli armeni il sacerdote rimase in prigione, dove gli venne offerta la libertà in cambio della conversione all'islam. Il rifiuto gli costò la decapitazione: era il 5 novembre. Fu beatificato da Pio XI il 23 giugno 1929. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Costantinopoli, beato Gomidas Keumurdjan (Cosma da Carboniano), sacerdote e martire, che, padre di famiglia, nato e ordinato nella Chiesa armena, patì molto per aver mantenuto e propagato con fermezza la fede cattolica professata dal Concilio di Calcedonia e morì, infine, decapitato mentre recitava il Credo niceno.
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Trecento anni fa, di questi giorni, a Costantinopoli si consumava il martirio di un cattolico dallo spirito profondamente “ecumenico”. Gomidas Keumurgian, originario di Costantinopoli dove è nato all’incirca verso il 1656, figlio di un sacerdote armeno, si sposa ad appena 20 anni e, completati gli studi, diventa anch’egli sacerdote della medesima confessione. Nella parrocchia di San Giorgio, che gli viene affidata, cominciano ben presto ad amarlo per l’indiscutibile fascino spirituale che esercita: dal pulpito si fa ascoltare più che volentieri; nella vita di ogni giorno viene ammirato per la sua delicatezza, la sua sensibilità per i più poveri, il suo altruismo. Unione matrimoniale salda e feconda, la sua, allietata da sette figli, sulla quale il sacerdozio si innesta in modo armonico e coerente e nella quale la paternità biologica si estende ad una schiera sempre più vasta di anime che in lui ricercano direzione spirituale e conforto morale. Il suo è un particolare e delicato periodo storico, particolarmente a Costantinopoli, dove serpeggia un movimento di sempre maggiori proporzioni che tende a riunificare con la Chiesa di Roma le varie minoranze ortodosse presenti in città e che trova in questo prete dinamico e zelante un esponente di punta. La sua azione pastorale è tutta indirizzata a questo cammino verso l’unità delle chiese, che non giunge a compimento soltanto perché ancora una volta ostacolato da questioni politiche. Infatti, la mediazione troppo sollecita e fervorosa dell’ambasciatore francese provoca una dura reazione anticattolica, che degenera poi in una vera e propria persecuzione. A 40 anni Gomidas, insieme a tutta la sua famiglia, si converte al cattolicesimo e continua ad esercitare il suo ministero nella stessa parrocchia. Nel giro di qualche anno molti sacerdoti armeni seguono il suo esempio, a testimonianza del prestigio che gode e dell’influenza che esercita sui confratelli. La reazione armena è molto dura, soprattutto nei suoi confronti e principalmente ad opera dei due patriarchi che si succedono nei primi anni del 1700. Gomidas alterna periodi di esilio a brevi permanenze in patria, dove non cessa di sostenere e incoraggiare i cattolici perseguitati e facendo, di conseguenza, aumentare l’odio nei suoi confronti. Il 3 novembre 1707 viene nuovamente arrestato e processato, questa volta con la pesante accusa di aver provocato grossi tumulti nella comunità armena. Paradossalmente, i giudici mussulmani sarebbero favorevoli alla sua liberazione anche in considerazione dell’inconsistenza dell’accusa, ma pesano sul loro giudizio le forti pressioni degli armeni. In questo clima incandescente il suo destino è segnato e il processo si conclude con una scontata sentenza di morte. Gomidas ha il tempo di salutare moglie e figli prima di avviarsi al luogo dell’esecuzione. Qui respinge con forza un’ ultima offerta di aver salva la vita in cambio della conversione all’islam, dopo di che viene decapitato. La sua ecumenicità viene sottolineata anche in occasione dei funerali, celebrati dai sacerdoti greco-ortodossi per la persecuzione in atto, che sta facendo terra bruciata attorno ai pochi sacerdoti cattolici rimasti. Come sempre succede, la voce del sangue sparso “in odium fidei” ottiene l’effetto opposto a quello sperato dai persecutori e, in particolare, quello di Gomidas ottiene negli anni successivi un moltiplicarsi delle conversioni al cattolicesimo. E’ stato beatificato da Pio XI il 23 giugno 1929, il più rappresentativo, anche se non unico, esponente del clero uxorato orientale ad essere elevato alla gloria degli altari.
Autore: Gianpiero Pettiti
Verso la fine del XVII secolo, Costantinopoli, a quel tempo già sotto il dominio islamico, fu un acceso focolaio di lotte ecclesiastiche e secolari. All’interno delle varie minoranze cristiane ortodosse presenti nella città, cresceva notevolmente il movimento che spingeva per la riunificazione con Roma. La fervente attività dell’ambasciatore francese si rivelò però purtroppo ben presto negativa, in quanto diede inizio ad una forte reazione anticattolica che sfociò in una vera e propria persecuzione, in cui rimase vittima anche il beato oggi in questione. Gomidas Keumurgian nacque nell’ex capitale bizantina all’incirca nel 1656, figlio di un sacerdote armeno, e venne istruito da un sacerdote della medesima confessione cristiana. A soli vent’anni di età si sposò ed ebbe sette figli. Completati poi gli studi, fu finalmente ordinato anch’egli sacerdote ed inviato nella parrocchia di San Giorgio, a sud della città, ove divenne famoso ed amato non solo per la sua grande eloquenza, ma soprattutto per l’autentica spiritualità ed il suo innato altruismo. Divenne presto un esponente di spicco del movimento di riunificazione della Chiesa ed all’età di quarant’anni si convertì al cattolicesimo con l’intera sua famiglia. Continuò a svolgere il suo ministero nella medesima parrocchia, come consuetudine a quel tempo, e nel giro di pochi anni la metà dei sacerdoti armeni presenti a Costantinopoli seguirono le sue orme. Dopo il 1695 la situazione degenerò e Gomidas dovette emigrare in esilio presso il monastero armeno di San Giacomo in Gerusalemme, dove fu convinto sostenitore del partito cattolico, attirando su di sé le ire di un certo Giovanni di Smirne. Alla morte del patriarca armeno persecutore, nel 1702 Gomidas fece ritorno a Gerusalemme, ove però apprese che il novello patriarca aveva designato proprio il suo nemico quale vicario. Dovette allora nascondersi, sino a quando nove mesi dopo il patriarca non venne esiliato per motivi politici. Non passo però troppo tempo che quest’ultimo fece ritorno alla sua sede, accusandolo di essere un “franco” e facendolo perciò deportare a Cipro, prima che l’ambasciatore francese potesse rapirlo per trasferirlo in Francia. Questa mossa così insensata contribuì indubbiamente a risvegliare il sentimento anticattolico in Costantinopoli e le autorità turche non esitarono a prendere severi provvedimenti contro tutti quegli ecclesiastici che si dichiaravano fedeli alla Chiesa di Roma. Gomidas, fisicamente imponente ed audace, fu arrestato nella quaresima del 1707 e processato dinnanzi ad Ali Pasha, che le fece imprigionare. I suoi amici gli ottennero poi un breve periodo di libertà, ma il 3 novembre fu nuovamente arrestato e processato con l’accusa di aver provocato forti tumulti nella nazione armena, facente parte dell’impero turco. Di questo spinoso caso fu informato il kadi Mustafa Kamal che, in qualità di canonico mussulmano, sarebbe stato favorevole alla liberazione di Gomidas, ma alla fine dovette cedere alle pressioni esercitate dagli armeni, guidati dal loro patriarca, permettendo loro di imprigionarlo. Dopo aver salutato la moglie ed i figli, pregò l’intera notte ed il giorno seguente fu condotto all’Antico Serraglio di Costantinopoli. Qui, dopo un vano tentativo di persuaderlo alla conversione all’islam, Ali Pasha ne decretò la condanna a morte. Fu allora portato sul luogo dell’esecuzione e, non prima di aver rifiutato un ultima offerta di salvezza, fu brutalmente decapitato. Era il 5 novembre 1707. E’ straordinario notare come la sequenza degli eventi narrati sia in tutto simile a quella della Passione del Cristo. Per ovvi motivi, nessun sacerdote cattolico si offrì per la sua sepoltura e tale compitò fu allora svolto da alcuni sacerdoti greco-ortodossi. L’enorme coraggio dimostrato dal martire ebbe un profondo effetto sui cristiani armeni, tanto che nel corso di un secolo si moltiplicarono i casi di conversione al cattolicesimo. Gomidas Keumurgian fu infine beatificato dal romano pontefice Pio XI il 23 giugno 1929, quale martire più illustre dal tempo della persecuzione iconoclasta, non unico esponente del clero uxorato orientale ad essere asceso alla gloria degli altari. Il Martyrologium Romanum lo commemora in data odierna, anniversario della morte. Uno dei suo figli, che portava il nome paterno, entrò al servizio del regno di Napoli ed è noto come Cosimo di Carbognano, nome talvolta erroneamente attribuito a suo padre.
Autore: Fabio Arduino
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