In un mondo, dove gli uomini pur di ottenere il potere e il comando sugli altri, commettono ingiustizie, prepotenze, corruzioni, delitti di ogni genere, dovette suonare come una nota stonata, la frase programmatica di don Luigi Balbiano, vice parroco a vita: “Io non sono fatto per comandare, ma per ubbidire”. Contemporanei dei grandi santi piemontesi dell’Ottocento, seppe essere lievito nascosto e localizzato, di quel grande fermento religioso e sociale, che caratterizzò la vita della società in trasformazione dell’epoca; operando nell’ombra di figure carismatiche e sante, come s. Giuseppe Cafasso e s. Giovanni Bosco, suoi modelli di vita consacrata. Luigi Giovanni Balbiano, nacque a Volvera (Torino) il 25 agosto 1812, figlio di umili agricoltori, ricchi solo di fede e onestà, che seppero dargli un’ottima educazione cristiana. Ricevette la Cresima a dieci anni da mons. D’Angennes, vescovo di Alessandria, di passaggio ad Airasca. Trascorse la sua fanciullezza fra i campi e la scuola parrocchiale di Volvera, imparando a leggere e scrivere, studiando il latino e approfondendo con lo studio del catechismo la sua fede; dotato di notevole generosità, purezza e genuina fede, era assiduo chierichetto in parrocchia, coltivando ben presto il desiderio di farsi sacerdote. A 16 anni, all’inizio dell’anno scolastico 1828-29, entrò nel Seminario di Giaveno, vestendo l’abito clericale il 24 ottobre 1830, nella sua parrocchia di Volvera. Proseguì gli studi filosofici nel seminario di Bra fino al 1832 e poi per la teologia in quello di Chieri; sarà in questo periodo che incontrerà il chierico Giuseppe Cafasso, che era al termine degli studi e quando sarà lui ad uscirne per fine corso, s’incrocerà con il giovane Giovanni Bosco che l’iniziava. Al giovane Luigi Balbiano piaceva la musica e suonava molto bene il violino; si confessava spesso e più degli altri si accostava alla Santa Comunione, convinto di crescere nella vita di grazia e santità alimentato da Gesù Eucaristia. Giovane di eccezionale semplicità e rettitudine, non risparmiava nessun sacrificio per giungere preparato alla meta del sacerdozio, con lo studio, l’ascesi, la penitenza. Ricevé l’Ordine del Diaconato il 26 maggio 1836, cominciando a fare pratica del suo ministero, presso don Giuseppe Peretti, compaesano di Volvera e parroco di S. Maria ad Avigliana (Torino). Fu il primo approccio con la comunità e la vita parrocchiale dell’allora centro agricolo di Avigliana, posto all’imbocco della Valle di Susa e antica residenza dei principi sabaudi. Infatti dopo essere stato ordinato sacerdote, il 20 maggio 1837 dall’arcivescovo di Torino mons. Luigi Fransoni, fu destinato come vicecurato proprio nella stessa parrocchia di Santa Maria; da qui non si muoverà più fino alla morte; per altri 47 anni ricoprì sempre l’ufficio di viceparroco, rinunciando ad ogni indipendenza personale; rimase a servire la comunità collaborando con il nuovo parroco più giovane, quando la parrocchia si rese vacante e con logica toccava a lui avanzare nella carica. Fu instancabile maestro di catechismo, efficace predicatore, assiduo al confessionale, dove fu guida spirituale ricercato da tanti bisognosi di misericordia e consiglio; si dedicò agli ammalati senza soste né titubanze, raggiungendoli a piedi anche nei più lontani casolari. Faceva catechismo dappertutto, in canonica, nei casolari, come per le piazze, i sentieri e per le strade; ansioso di far conoscere Gesù a tutti, per poterlo amare con convinzione e fede. Per i poveri aveva una predilezione particolare, era spesso senza soldi, ma quel poco che la Provvidenza gli faceva avere, lo distribuiva subito ai bisognosi; per lui niente di proprietà, povero francescanamente, si può dire aveva solo gli abiti che indossava, appena l’indispensabile. Non si negava alle richieste di collaborazione dei parroci limitrofi; per le confessioni, per le prediche, per un consiglio a qualche disperato; in tutti i casi difficili di impenitenti peccatori, veniva chiamato lui e spessissimo la conversione e il pentimento arrivava. Mortificava il suo corpo con penitenze rigide; ebbe sofferenze di ogni genere, compreso le angustie dello spirito e la persecuzione del demonio. Sembra che il Signore abbia accompagnato lo zelo e la vita virtuosa del suo fedele servitore, l’umile vicecurato di campagna, con doni soprannaturali e fatti prodigiosi, che attirarono ancor di più i fedeli e gli procurarono già in vita una fama di santità. Il “povero vice di nessun valore” (come diceva di sé), nel marzo 1884, gravemente ammalato si mise a letto per obbedienza al parroco e serenamente il 22 marzo 1884, alle ore dodici di sabato (come aveva predetto), don Luigi Balbiano si raggiunse il suo Gesù, che aveva tanto amato e servito nei fratelli, in umiltà e semplicità, per tutti i 72 anni che era vissuto. Si calcola che ai funerali abbiano partecipato circa 40.000 fedeli, provenienti da tutti i Comuni della zona. La sua salma fu in seguito, traslata dal cimitero alla chiesa parrocchiale di Avigliana. Il 23 marzo 1945 si è avuto il decreto d’introduzione della Causa per la sua beatificazione, per volontà degli arcivescovi di Torino, cardinali Caliero, Gamba e Fossati; il 27 novembre 1981, papa Giovanni Paolo II lo ha dichiarato ‘venerabile’ con il riconoscimento delle sue virtù. Il pretino così magro e con le orecchie a sventola, che a vederlo sembrava non valesse un soldo, sempre nascosto nel confessionale e sempre in seconda posizione nella gerarchia pastorale della provincia torinese, è salito sul moggio evangelico, spandendo la sua luce di santità e di amore fraterno, che si spera venga presto riconosciuta ufficialmente dalla Chiesa tutta.
Autore: Antonio Borrelli
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