Spello, Perugia, 26 aprile 1944 – Cenerente, Perugia, 24 giugno 1998
Medico amorevolmente sollecito verso i malati, padre dal cuore aperto all'accoglienza di bambini in difficoltà, uomo animato da profonda fede. Questo è Vittorio Trancanelli, nato il 26 aprile 1944 a Spello (PG). Medico all'Ospedale Silvestrini di Perugia, sposato con Lia Sabatini, si ammala gravemente nel 1976, un mese prima della nascita di Diego, unico figlio naturale. Malattia e lavoro non impediscono a lui e alla moglie di accogliere nella loro casa come figli altri sette ragazzi, alcuni dei quali disabili. Nel 1998 Vittorio si ammala di nuovo e dopo tre mesi muore, il 24 giugno. Poco prima della morte vuole tutti i figli attorno a sé, e alla moglie dice: «Per questo motivo valeva la pena di vivere, non per diventare qualcuno, fare carriera e soldi». L’esperienza dei coniugi porta alla nascita dell'associazione «Alle querce di Mamre». La sua causa di beatificazione si è svolta nella diocesi di Perugia-Città della Pieve dal 24 settembre 2006 al 12 dicembre 2013. Il 27 febbraio 2017 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto che lo dichiarava Venerabile. I resti mortali del dottor Trancarelli, custoditi dal 2013 nella chiesa parrocchiale di Cenerente, sono stati traslati domenica 2 luglio 2017 nella cappella dell’ospedale di Santa Maria della Misericordia a Perugia.
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Già lo chiamano «il santo della camera operatoria», anche se l’inchiesta diocesana è terminata a Perugia il 12 dicembre 2013 e, il 27 febbraio 2017, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto che lo dichiarava Venerabile.
Eppure è così: il medico Vittorio Trancanelli gode di una solidissima fama di santità e sono tanti quelli che si ispirano alla sua limpida testimonianza di fede. L’arcivescovo emerito di Perugia, monsignor Giuseppe Chiaretti, amava definirlo il «santo laico del nostro tempo» e per questo ha ritenuto doveroso proporlo alla venerazione e all’imitazione di tutti.
Vittorio nasce a Spello nel 1944 e si trasferisce a Perugia quando si sposa con Lia Sabatini e inizia a lavorare presso l’ospedale di quella città. Il dolore e la sofferenza segnano da subito la sua vita: si ammala gravemente durante la prima gravidanza della moglie e nella concitazione del ricovero e della cura perdono la creatura che lei aveva in grembo.
La malattia si ripresenta ancora più virulenta, cinque anni dopo, all’ottavo mese della seconda gravidanza di Lia. Operato d’urgenza per una colite ulcerosa che già evolve in peritonite, esce dalla sala operatoria con una ileostomia che lo renderà menomato per tutta la vita, anche se pochissimi saranno a conoscenza di questo suo handicap. Nove giorni dopo nasce Diego, il loro unico figlio naturale.
Archiviato definitamente il sogno di andare in missione, che a lungo avevano accarezzato durante il loro fidanzamento, Vittorio e la moglie riorganizzano la loro vita alla luce dell’imprevisto che li ha visitati. Lui, in particolare, scopre un vasto campo di missione nell’ospedale in cui già lavora e di cui diventa un eccellente chirurgo.
È soprattutto il rapporto nuovo che riesce ad instaurare con il paziente a colpire e ad interpellare seriamente i colleghi, trascinati dal suo esempio ad umanizzare e addolcire la professione, mettendo il malato al vertice dei loro interessi e della loro attività.
Forse grazie anche alla propria malattia, Vittorio acquista una sensibilità straordinaria verso ogni genere di sofferenza e insieme alla moglie apre la sua casa all’accoglienza. In adozione o in affido arrivano sette figli, ma dalla rete di solidarietà creata da altre famiglie amiche attorno a loro nasce l’associazione «Alle Querce di Mamre»: cinque famiglie aperte all’accoglienza di donne e bambini in difficoltà che come Abramo sanno di accogliere Dio stesso nella persona di chi bussa alla loro porta.
L’associazione ha in Vittorio la sua anima, la sua fonte ispiratrice e il suo modello; lui non si stanca di ripetere, a sé ed agli altri: «È vero che l'accoglienza non sempre è facile, a volte è faticosa, ma il Signore ci dice: “'Se io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni e gli altri...”». Ancora oggi, la sua vedova e le altre famiglie continuano ad accogliere dal Pakistan, dall’India, dal Brasile qualunque mamma abbia bisogno di un sostegno e di un’ospitalità più o meno prolungata.
Oltre che innamorato della moglie, Vittorio coltiva due passione: per gli Etruschi e per l’ebraismo. Quest’ultimo interesse è frutto della sua intuizione che Gesù era un ebreo osservante e proprio dall’amore a Gesù di Nazareth nasce in lui la sete di conoscere la lingua e le scritture ebraiche, i commenti, la tradizione, le feste. Per questo diventa collaboratore assiduo del centro ecumenico San Martino di Perugia, dove è affettuosamente chiamato «il nostro rabbino».
Nel 1998 Vittorio si ammala nuovamente e tutti, lui per primo, si accorgono che non c’è più nulla da fare. Muore il 24 giugno e poco prima di spirare vuole accanto a sé la moglie e i suoi numerosi figli, lasciando loro una considerazione che ha valore di testamento: «Per questo vale la pena vivere; anche se fossi diventato chissà chi, se avessi avuto i soldi in banca, avessi comprato tante case, cosa avrei portato con me adesso? Cosa portavo davanti a Dio? Adesso porto l’amore che abbiamo dato a queste persone».
Nel giorno dei funerali, presieduti dal vescovo e partecipati da una folla commossa e numerosa, la sua bara è ricoperta dal Tallit, il manto di preghiera degli ebrei, e su di essa vengono deposti un rotolo della Bibbia e la Croce.
I suoi resti, esumati dal cimitero di Cenerente, sono stati traslati nella chiesa parrocchiale del luogo nel 2013. Dal 2 luglio 2017, in attesa del giorno non lontano della sua glorificazione, riposano nella cappella dell’ospedale di Santa Maria della Misericordia a Perugia.
Autore: Gianpiero Pettiti
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