Giovanni Antonio Panighetti, insieme con altri due laici piemontesi, Paolo Pio Perazzo e Luigi Cappa, costituisce un singolare quanto valido modello per i lavoratori cristiani.
Nacque l’11 giugno 1739 a Varzo, nel novarese, in frazione Durogna, detta anche localmente Luvrogna. La sua casa natale esiste ancora oggi ed è una stanza in un cortile interno di Durogna, senza però indicazione alcuna. La sua era una famiglia di pii ed onesti contadini e, malgrado le cure sagge dell’ottima madre, la giovinezza di Giovanni Antonio si contraddistinse per la svogliatezza e la futilità. Si lasciò sedurre da un compagno a fuggire di casa e poi iniziò a trascorrere nell’ozio le sue giornate. Finalmente però un giorno decise di imitare l’esempio di vita austera condotta dalla madre ed imparò a fare il ciabattino, mestiere di famiglia.
Trasferitosi poi a Torino, sposò Margherita Cuniberti, originaria di Govone, fantesca del conte Salasco. La nuova coppia si stabilì in Valsalice, sulla collina torinese ed iniziò a girare per i colli e le valli in cerca di lavoro, siccome a quel tempo le riparazioni si effettuavano presso le case e le scarpe consistevano solitamente in poveri zoccoli di legno. Divenne così famoso anche agli occhi dei nobili delle ville di Moncalieri e tro0vando in questo antico borgo parecchie occasioni di lavoro, nel 1765 vi si stabilì con la famiglia nei pressi della chiesa parrocchiale di Sant’Egidio. Giuseppe Lombardo, fraterno amico del Panighetti, gli cedette una casupola nella contrada del grano, presso Porta Navina. La moglie si rivelò però ben presto la sua nuova croce: era avvenente e vanitosa, goodereccia e superficiale, appassionata del ballo.
Diciamo che comunque entrambi i coniugi non spiccavano per le loro virtù: anche Giovanni Antonio talvolta era ancora in preda ai vizi giovanili, frequntando osterie e sciupando i suoi guadagni nel gioco. Dopo la lettura del “Penitente intruso”, scritto dal Padre Segneri, egli si sentì trasformato nel suo intimo, fece una confessione generale e si propose di condure nel futuro una vita sempre più perfetta. In realtà, già prima della conversione e del matrimonio il suo desiderio di fuggire dal mondo e consacrarsi interamente a Dio lo aveva spinto a battere alla porta di vari conventi, ma non era stato accolto.
Erano ormai nati tre figli e Giovanni Antonio, in comune accordo con la moglie, si diede alla castità ed in breve tempo raggiunse un grado eroico anche nelle altre virtù. Per tenere a freno la moglie, le aprì una bottega di rivendita, mentre a Moncalieri trovò in Don Filiberto Marucchi, parroco di Sant’Egidio, la sua guida alla santità. L’umile ciabattino stava piegato sul piccolo deschetto per mantenere i figli e la moglie spendacciona, ma anche per confezionare zoccoli per i poveri. Sopra la sua testa teneva un cartello: “Chi opera qualcosa che non sia fatto per puro e netto amor di Dio è un ingrato e non merita di vivere”. Era solito salutare tutti dicendo “Sia lodato Gesù Cristo”.
Questi suoi atteggiamenti, ritenuti da qualcuno eccessivi, scatenarono nei suoi confronti sarcasmo e violenza, ma la sua costanza fu premiata dalla santa morte della moglie nel 1780, mentre la sua fama di santità dilagava ormai anche fuori Moncalieri. La Venerabile Maria Clotilde, regina di Sardegna, che nutriva nei suoi confronti una profonda venerazione, lo mandava achiamare per ottenere da lui saggi consigli, mentre la principessa Maria Carolina di Savoia si prese cura di Maddalena, figlia del Panighetti. Il santo ciabattino passava di villa in villa, richesto dal Cardinal Vittorio Amedeo delle Lanze, dal marchese di Cravanzana, dalla contessa Salmatoris e molti altri.
Operai laboriosissimo, distribuiva i suoi guadagni tra la famigli ed i poveri, santificava la festa assistendo a tutte le funzioni parrocchiali e praticando altre forme devozionali. La sua bottege era ornata di immagini sacre e vi risuonavano continue preghiere, ma tra le sue devozioni la più amata era la compassione a Gesù Crocifisso, che gli faceva versare copiose lacrime nelle frequenti Vie Crucis e nel venerare la Sindone durante l’ostensione del 1775. In questa occasione, la folla vide riverberarsi nei geniti e nelle preghiere di quest’umile operaio la Passione del Signore. Ma se il popolo già lo considerava santo, egli non si riconosceva che peccatore ed infliggeva al suo corpo aspre penitenze.
Il 1° ottobre 1783, rincasando dai suoi giri, Giovanni Antonio fu colto da un violento temporale: fu dunque costretto a letto e, dopo oltre un anno di sofferenze, spirò in pace il 18 febbraio 1785. Il cordoglio fu generale, nelle esequie si manifestò la gratitudine di tutti coloro che avevano beneficiato della sua bontà ed il defunto fu ricoperto dalla coltre funebre che già era servita per il sovrano Carlo Emanuele III di Savoia.
Il “ciabattino santo di Moncalieri”, come ormai era comunemente conosciuto, fu sepolto in Sant’Egidio nella tomba della famiglia Salmatoris, ove ancora oggi è oggetto di venerazione. Varzo, suo paese natale, con un pò di sano campalinismo ne rivendica le origini e per tramandarne la memoria gli ha dedicato la piazza antistante la chiesa parrocchiale. Il suo ultimo discendente, ormai ottuagenario, viveva ancora in valle Anzasca nel 1999, con una somiglianza straordinaria ai ritratti conosciuti. Il Vaudagnotti testimoniò in una sua opera: “Anche a Varzo, almeno nella frazione Durogna, le famiglie ne serbano in capo al letto l’incisione e lo chiamano tutt’ora “il beato Panighetti”.
In realtà il titolo di “beato” non è ancora stato ufficialmente confermato dalla Chiesa, nonostante gli venga tributato da tempo immemorabile, ma ben lo meriterebbe soprattutto oggi che la società tende a dissociare i valori cristiani dal mondo del lavoro, dimenticando invece l’universalità della chiamata di Cristo alla santità.
Autore: Fabio Arduino
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