Suor Vera Occhiena, FMA doc, nacque a Capriglio, nello stesso paese di Mamma Margherita, il 6 settembre 1922. Sue caratteristiche innate erano la gioia contagiosa, la grande generosità e il coraggio dell'avventura. Così l'abbiamo conosciuta nel suo itinerario apostolico e missionario, per la freschezza e la vivacità del suo messaggio, caratterizzato dall'ottimismo della speranza e dalla radicalità dell'impegno.
Gli anni della formazione
A sedici anni, studente all'Istituto Magistrale di Torino, la professoressa Galante Garrone la considerava una delle allieve più intelligenti della scuola.
Al termine del corso, superati brillantemente gli esami di abilitazione, Vera confida alla sua insegnante: «Vorrei iscrivermi all'università, laurearmi in lettere».
Ma il sogno sembra irrealizzabile: l'Italia è in guerra, si combatte sul fronte francese, Torino, a pochi chilometri dal confine, è la città più minacciata. Vera si interroga con realismo, la vita si fa sempre più difficile, la famiglia è sfollata a Capriglio presso i nonni: viaggiare è un rischio e oltretutto costa.
Perciò rinuncia all'università e decide di iscriversi all'Accademia di educazione fisica di Orvieto per avere al più presto l'insegnamento e aiutare economicamente la famiglia.
La mamma si oppone e si viene a un compromesso. Si iscrive alla G.I.L. (Gioventù Italiana del Littorio), l'organizzazione fascista giovanile di allora, dove c'è un corso accelerato per l'abilitazione all'insegnamento della ginnastica.
Vera dice il suo sì, sofferto ma generoso. E alcuni mesi dopo è ad Asti, alla sua prima esperienza di insegnante.
Asti è la grande occasione, l'avventura della libertà, della generosità, lo studio, l'amicizia, il lavoro. Ha uno stipendio, dunque può permettersi l'università. Si iscrive alla facoltà di Lettere. Può viaggiare, sia pure a rischio, allacciare relazioni nuove, donarsi in mille modi.
La sorella Delfina va spesso a trovarla col pretesto che Vera le da lezioni di latino. Fra di loro c'è una sintonia perfetta: l'intelligenza aperta, il carattere espansivo, la gioia di vivere, la passione per il cinema e il teatro, la montagna e... i dolci.
Staffetta della Resistenza
La guerra semina distruzione e morte, i bombardamenti sono più frequenti, il viaggio quotidiano è sempre più a rischio. Vera è al terzo anno di università, impegnata a preparare gli ultimi esami, gli ostacoli non la spaventano.
Intanto le viene offerta la direzione di una colonia per ragazzi sfollati a Chieri. Accetta, in sostituzione del precedente impegno di insegnante, anche per potersi dedicare maggiormente alla tesi.
In questi anni stringe nuove amicizie. Scrive centinaia di lettere ai compagni di università sotto le armi. È intraprendente e instancabile nel prestare il suo aiuto, intuisce le situazioni, spesso previene i desideri. Viene così a contatto con i primi leaders della resistenza partigiana, che già operano clandestinamente.
Certamente a Vera non manca il coraggio: si unisce a loro, fa da "staffetta", assume incarichi anche pericolosi, tiene i collegamenti, vive gli eventi con quell'idealismo che caratterizzerei tutta la sua vita. Avverte però delle ambiguità, dissensi, qualche tradimento, smania di dominare sugli altri.
Il suo nome arriva presto all'orecchio delle SS tedesche. È scritto su diverse agendine sequestrate ai compagni in prigione. Vera non è un nome comune: è abbastanza facile identificare la studentessa che ogni giorno raggiunge l'università di Torino.
Un mattino, in treno, incontra un'amica. Un puro caso? Un incontro cercato da qualcuno? Vera è avvertita di non scendere alla stazione di Porta Susa. Lì, a quella stazione, infatti, alcuni agenti della polizia fascista l'aspettano. Sfugge all'arresto, ma ormai è finita nell'occhio del ciclone.
Immediatamente ci pensano i genitori a farla sparire. Così approda ad Arignano, un piccolo paese fra il verde, non lontano da Chieri. Lì sono sfollate duecento allieve dell'Istituto Magistrale "Maria Ausiliatrice" di Torino. Per Vera potrebbe essere un luogo sicuro, ma lei resiste, sebbene lì ritrovi Delfina, la sorella del cuore, che la supplica: «Se stai con me, mi aiuti a preparare l'esame di latino, e poi in due sopporteremo meglio la disciplina del collegio, e poi, e poi...». Vera cede alle insistenze, nonostante il tirocinio che per lei è particolarmente duro: un ritmo di vita che mal sopporta, con studenti più giovani di lei, e interessi diversi, insomma morde il freno, “in quel mondo - come diceva - fuori del mondo”.
Ma proprio lì avviene l'incontro decisivo con un giovane prete, direttore spirituale del collegio, anzi con Gesù che l'aspettava al varco e le cambia la vita.
Un posto in prima fila
È il 7 dicembre 1944, vigilia dell'Immacolata. Nel collegio c'è aria di festa. Qualcuno invita Vera a prepararsi con la confessione alla celebrazione in onore della Madonna. Lei aderisce volentieri all'invito, ma ha davanti una coda interminabile di ragazze che attendono il loro turno.
Passano lunghi minuti, forse qualche ora. Vera con la testa fra le mani passa la sua vita in una litania di interrogativi che la inchiodano: «Ma io cosa voglio? In che cosa credo veramente? Che senso ha la mia vita? Per chi, per che cosa lotto, spero, lavoro?... Chi è Cristo per me?».
Quando si inginocchia al confessionale è già in piena crisi.
Il sacerdote si accorge che ha davanti a sé non l'adolescente preoccupata del compito di matematica o del ragazzo incontrato in città, ma una giovane donna con un sacco di problemi e una vita dentro che scoppia da tutte le parti.
Vera si getta nella preghiera, nello studio, nella discussione. Affronta con coraggio i suoi problemi, prende tra le mani la sua vita, vuole ancorarla a convinzioni chiare, salde, e ci riesce con la tenacia con cui porta a termine tutte le sue imprese.
Passano pochi mesi. Il 31 gennaio, festa di don Bosco, Vera decide la sua scelta: sarà missionaria tra le suore di don Bosco.
La notizia arriva in casa Occhiena come un fulmine. «Vera, suora? Non è possibile. È un colpo di testa. Non ce la farà. È una decisione affrettata, non è il caso di drammatizzare».
Sono passati tre mesi e Vera è decisa ad entrare in noviziato. L'accoglie l'austero convento di Carmagnola, che fu un tempo dei benedettini e ora ospita giovani novizie salesiane provenienti da ogni parte del mondo.
Delfina scherza con la sorella. «Fino in fondo io non ti capisco» le dice. E Vera ha la battuta pronta: Ricordi quando facevamo pazzie per andare a teatro? Invidiavamo chi aveva un posto in prima fila, e dovevamo accontentarci di farci pestare i piedi in loggione. È così anche nella vita, Delfina: c'è un posto per me in prima fila.
Sì, un posto in prima fila, non in poltrona, ma in trincea.
Vera brucia le tappe. Riesce a discutere la tesi di laurea, passa un periodo in Francia per approfondire lo studio del francese, e il 5 agosto 1947 emette i voti di povertà, castità, obbedienza.
Un colpo di fulmine per papa e mamma, ma lei li rassicura: Papà - scrive -, quando si sceglie una strada per vocazione vera, bisogna saper andare fino in fondo. Cristo chiede tutto. Io per essere fedele alla chiamata del Signore ho bisogno di dargli tutto [...]. Se no che significato ha la mia consacrazione? So che mi capisci e che mi aiuterai. Io sono tranquilla e serena: so a che cosa vado incontro.
Oltre oceano
Suor Vera inizia la sua vita religiosa a Torino, Borgo S. Paolo, come insegnante di lettere e pedagogia.
Donna di punta, instancabile: dopo la scuola la sua vita è il cortile, tra i giovani. Con loro organizza gruppi di solidarietà, incontri sul Vangelo, iniziative per portare aiuto ai poveri, alle missioni, alle periferie; creare amicizia, fiducia.
Nell'anniversario della sua professione religiosa scrive al confessore don Valentini: Questa non era in programma, ma stamattina alla comunione, l’onda dei ricordi è stata così violenta che mi sono ripromessa la "mia festa", scrivendo a Lei, mio primo benefattore salesiano. Il Signore è misericordia [...] e le lacrime che mi inondano l'anima sono di riconoscenza [...]. Il 31 gennaio sarà sempre per me una data molto, molto significativa.
Intanto, rubando le ore al sonno, si prepara anche alla laurea in teologia per un futuro... chissà quando, chissà dove.
E finalmente, nel 1959 può realizzare il suo sogno: missionaria in Brasile, Mato Grosso, come docente di pedagogia all'università salesiana di Lins.
Proprio il Mato Grosso, la missione che da Torino ha sostenuto con tanta preghiera, con l'impegno dei gruppi missionari, con la solidarietà degli amici. Ora è a portata di mano.
Vive sette anni intensi di lavoro, di "esperienze d'avanguardia", sul posto, in contatto epistolare con gli amici di sempre, attraverso una fitta rete di messaggi e di aiuti.
Oltre l'università, il suo tempo, le sue forze, il suo cuore è per le favelas, con i poveri più poveri, gli ultimi.
Sono anni di aratura per dissodare zolle di dolore, di abbandono, di miseria. Ma anche un settennato di semina e di insperate soddisfazioni nel costatare i frutti dell'amore nell'apostolato.
I suoi collaboratori si stupiscono dei risultati. Lei invece legge tutto in trasparenza di quel Vangelo su cui ha giocato la sua vita, per sempre.
Da Arignano, a Torino casa Madre Mazzarello, al Sacro Cuore, al Mato Grosso - scrive: un cammino che si stende attraverso gli oceani e che non è che un mirabile susseguirsi di grazie, a cui fanno eco molti "no" e qualche piccolo "sì". Padre, mi aiuti ancora con quel suo breve, incisivo ad invicem, a fare in modo che d'ora innanzi non debba registrare altro che "SÌ’". Chieda al Signore per me, come lo chiedo io, la generosità "spicciola” delle piccole occasioni, la volontà che fa superare le tortuosità e la neghittosità della natura, il coraggio di reagire... insieme al dono fisico della salute. Ma, anche per questo, sia come vuole il Signore.
Pochi giorni dopo, improvviso giunge un telegramma dall'Italia: «Mamma gravissima». Suor Vera deve partire immediatamente. Lo vogliono le Superiore. Un viaggio dolorosissimo: Rio de Janeiro-Roma-Torino. Il Brasile ormai è lontano. Seduta al capezzale della mamma sofferente, ripercorre il cammino del suo evangelizzare oltre oceano, stringendo tra le mani una speranza: il S. Rosario. Divisa fra il dovere di figlia e la passione missionaria, suor Vera si arrende alla obbedienza che le dice: «Resta».
Riprende dunque la scuola, la catechesi, la pastorale oratoriana, non più a Torino, ma in Lombardia: a Cinisello Balsamo, insegnante e redattrice della rivista Primavera.
Padre della mia anima - scrive -, guardando a questi anni di vita salesiana mi sento così diversa da allora. Più attaccata alla mia bella vocazione, quotidianamente vissuta, ma più bisognosa di allora di una volontà decisa per raggiungere la meta della santità, che allora mi pareva tanto vicina, mentre me la vedo ognor più lontana e irraggiungibile [...]. E quanto bene mi fa, ancora oggi, il ricordo delle sue parole di quell'ormai lontano 31 gennaio... "E’ don Bosco che vi vuole... è Lui, vi ha vista". Pensiero che più volte è servito ad alimentare la fiamma che pareva vacillare. Voglio essere come don Bosco mi vuole. Lei mi aiuti".
Eppure il suo sogno missionario la insegue. Non si può dire che non "mordesse il freno", ma Dio la preparava alla sua nuova missione, nella pazienza, nella meditazione, nell'adorazione dei suoi imperscrutabili disegni d'amore.
In prossimità del Natale 1968 tornava a scrivere: Padre, lei certo sa che al Cristo non voglio sottrarre nulla e nulla rimpiango (mai, neppure una volta mi è sorto il rimpianto) del dono fatto, anche se la fame e la sete di affetto, di tenerezza umana, di calore di "famiglia", di braccia di bambini che ti stringono è molto più profonda e acuta, è più sentita a 40 anni che a 20 [...]. Ma è questo dono di fame e sete "legittime" che rende valida e fragrante l'offerta e la consacrazione quotidiana. Bisogna però - lei mi intende - che il corrispondente apostolico abbia almeno una carica di certezza da costituire un equilibrante peso [...]. In altre parole, il vuoto umano (avvertito dal cuore) deve essere bilanciato dal pieno soprannaturale della dimensione di donazione alle anime.
Grazie di avermi ricordato di guardare con intelligenza davanti a me [...]. Niente può impedire i disegni di amore di Dio, ma li realizza in altre forme. Pazienza! Il Signore, grazie alla nostra perfetta inutilità non ha bisogno di noi. Preghi per me, perché sappia vivere questa quotidiana lezione di umiltà che, alla mia natura, è particolarmente faticosa da digerire.
Buon Anno! Nella docile accettazione della divina volontà.
Da mihi animas
II 24 gennaio 1970, dopo aver lungamente pregato, suor Vera rinnova la domanda missionaria. Scrive testualmente:
Fin dagli inizi della mia vita religiosa ho sentito vivo il bisogno di consacrare la mia vita e dare la mia attività in campo missionario e ho chiesto parecchie volte, a voce e per iscritto, che mi fosse concessa questa grazia. Il mio desiderio fu soddisfatto dalla Ven.ta Madre Angela Vespa che nel giugno 1958 mi destinò alla casa di Lins (Brasile Mato Grosso). Nel 1966 Madre Elba Bonomi mi prospettava una nuova obbedienza in Italia: Cinisello Balsamo come insegnante e consigliera scolastica. Ho lavorato in serena armonia con le mie superiore e sorelle, e con piena soddisfazione del mio compito educativo [...].
Oggi sento che la mia anima ha bisogno di un totale servizio a Dio, "lontano dalla terra dei miei Padri", in un paese dove il Regno di Dio necessita di operai più che la mia patria [...]. Non ho alcuna preferenza: ogni missione sarà per me la "terra promessa" indicatami da Dio. Mi permetto solo di ricordare, a scopo indicativo, che conosco bene la lingua francese e portoghese, abbastanza l'inglese, e che leggo e comprendo lo spagnolo. Per il resto, tutto quanto sono, so e posso, è a servizio di Dio e della congregazione, a cui voglio serbare integra la mia fedeltà.
La Madre Generale le risponde a giro di posta: «Abbiamo bisogno di una missionaria per il Mozambico».
Inebriata di gioia e di gratitudine, suor Vera trasvolò l'Africa col cuore in festa. Destinazione: collegio-liceo Maria Ausiliatrice di Mamaacha, insegnante, catechista e docente di teologia in seminario.
Le domeniche, le vacanze le passa visitando i villaggi dell'interno, insieme a qualche giovane catechista che ha preparato.
È’ per lei la realizzazione semplice e concreta del Da mihi animas: raggiungere mamme e bambini sempre più numerosi, scoprire luoghi sconosciuti, capanne sperdute, seminare Cristo.
Manca però in comunità qualche cosa di essenziale, si avverte un disagio inespresso. «Soffro per le mie sorelle soffocate dalla fatica, ed è difficile dare quando non c'è recettività». Così ne parla in una lunga lettera al suo antico padre: Più invecchio, e più mi convinco che lo spirituale e il soprannaturale deve passare per l'umano. Se non si stabiliscono rapporti personali affettivi (sulla base paolina della reciproca accettazione, tolleranza, scambio di aiuti, riconoscimento, valori), la vita comunitaria diventa formalistica, e l'insoddisfazione si insinua pericolosamente a sgretolare entusiasmi. D'altra parte, anche i rapporti affettivi e fraterni personalizzati, ma limitati al piano umano, sono sterili per la crescita della carità. È necessario che siano innestati sulla fede e la consacrazione esclusiva al Signore, per diventare arricchenti per sé e per gli altri, e fecondi per il Regno di Dio...
Queste sono considerazioni generali, frutto di esperienza e di osservazione che sto meditando, in questa mia nuova posizione di radicale mutamento. A questo ero preparata e già mi ero predisposta contro il naturale urto di clima, di mezzi, di ambiente. Ciò che mi meraviglia profondamente è come si sia potuto organizzare una serie di attività e incombenze che condannano le suore veramente ai lavori forzati.
E conclude: Padre, lei mi conosce e sa che non mi sono mai risparmiata. Il lavoro mi piace, fa parte della mia necessità temperamentale e della convinzione, con don Bosco, che è un grande antidoto alle evasioni e alle crisi di vocazione. Ma quando il lavoro diventa estenuante, non santifica né migliora la persona. Sfinisce, rende irritabili e tesi, inaridisce e soffoca la vita spirituale.
Per orientare la mia povera vita non c'è altra strada, lo so. Ed è ciò che faccio ogni mattina aggrappandomi alla Croce e rinnovando con le lacrime e col sangue del cuore la mia totale consacrazione missionaria.
La mia volontà è di vedere Gesù e ascoltare Lui, superando le apparenze, con la certezza della fede.
Sono convinta che l'eroismo della continuità dello sforzo, nella semplicità dell'agire, è proprio il distintivo del martirio della vita religiosa [...] e bisogna imparare a sanguinare, quasi per abitudine, senza più farci caso, nell'oblio progressivo di noi stessi e non con l'illusoria (presuntuosa) pretesa di fare qualcosa di grande. Bisogna attingere quotidie et sine intermissione alle scaturigini dell'umiltà.
Nella Chiesa che soffre
II 25 giugno 1975 il Mozambico raggiunge l'indipendenza dal Portogallo. Cade il governo e sale al potere il partito comunista. La situazione, già precaria, si fa sempre più instabile. Di tanto in tanto qualche missionario è espulso, gettando un'onda di sgomento in tutti. Ma la Chiesa giovane africana resiste e cresce nella fede.
Suor Vera racconta nelle lettere agli amici le feste mariane vissute intensamente. Quest'anno la Madonna mi ha fatto il dono di un magnifico corso di esercizi spirituali predicati dal nostro vescovo (carismatico). Un pastore che irradia l'amore dello Spirito Santo e la santa passione di questo povero popolo mozambicano. Ci ha fatto riflettere a lungo sulla grazia di vivere la fede e la fedeltà in tempi e spazi difficili, di sopportare distacco, povertà, disprezzo del fatto religioso, spogliamento condiviso con tanti fratelli che soffrono, per essere degni di tuffarci nel mistero pasquale e di predicare con la vita Gesù Cristo crocifisso.
Giugno porta la bella solennità del Sacro Cuore.
Che tutto serva - scrive - a farci scoprire di più le finezze del suo amore e a corrispondervi. Certo il lavoro è molto, ma la salute è buona e il morale, (nonostante tutto), è alto. Sentiamo la pena di non poter evangelizzare, ma abbiamo la gioia di vedere che i cristiani fedeli sono molto fervorosi. È il seminario che è deserto, perché le condizioni sono impossibili.
Un memento per questa Chiesa! Uniti in Cristo, siamo una comunità eterogenea di tante congregazioni, di tante razze e nazionalità, di tutte le età, profondamente unite nell'ascolto della Parola. Che esperienza vivificante e rinnovatrice!
Al suo amico e confessore confida: Non ho mai assaporato tanto come oggi la povertà, l'espropriamento, lo svuotamento di ogni altra ricchezza. In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum. Adesso sento che gli ho dato tutto e questo mi fa ricca. Prego perché la forza della fede e la luce della speranza ci faccia scoprire, nel misterioso disegno di Dio, la gioia di fare la sua volontà, in amore.
Intanto il governo procede alla nazionalizzazione delle scuole, dei collegi, delle stesse case dei religiosi. Molti missionari vengono espulsi dal Mozambico, altri chiedono di rimpatriare.
A corto di insegnanti, il governo comunista "offre", a chi rimane, un posto nelle scuole statali. Suor Vera rimane, accetta, senza paura. Dovrà insegnare in un liceo statale della capitale, Maputo, cosciente dei pericoli che incombono.
L'Africa ormai è la sua vita. Il vescovo vede in lei una valida collaboratrice nel seminare il vangelo, le affida l'insegnamento del latino ai giovani che frequentano il seminario e compiti di responsabilità nella conferenza mozambicana delle religiose.
A volte viene chiamata come interprete presso le ambasciate inglese, francese, spagnola, portoghese, in occasione di incontri con personalità della cultura. Inoltre collabora col giornale della Diocesi.
Ma all'Africa dona soprattutto il suo cuore appassionato per i poveri, gli adolescenti, i giovani catechisti.
Nelle pause dei suoi impegni scolastici visita gli indigeni nei villaggi abbandonati, affronta rischi, supera difficoltà per portare Gesù con l'evangelizzazione, l'ardore per la giustizia, per la promozione umana.
Nell'ultima sua lettera a don Valentini, suo maestro e padre, scrive: Ringrazi il Signore per me. Gli anni passano e io mi sento sempre più felice di appartenere al Signore, di poter lavorare per il suo Regno, di essere missionaria e di condividere una situazione di lotta e speranza con questa chiesa tanto provata.
Vorrei tanto che tutte le anime consacrate potessero cantare, dentro e fuori, questa riconoscenza a Dio per il dono della vocazione.
Buon Natale, padre! Le unisco un piccolo ricordo: è un portachiavi che viene da Fatima. L'accetti col fiore che simboleggia la verginità, come segno di affetto, riconoscenza, voti di ogni bene.
Martirio: l'ultima risposta
È’ la notte del 31 maggio 1984. Suor Vera si corica tardissimo. Vuole terminare due articoli per il giornale della diocesi che deve consegnare in tipografia. Prima ha ascoltato una giovane, ospite nel pensionato della casa.
Poi lavora fino alle due di notte, nella sua misera camera, adiacente al dormitorio delle pensionanti. La sua porta non è mai chiusa a chiave.
Sono le nove del mattino, e stranamente suor Vera è ancora in camera. Una sorella va a vedere. La trova stesa sul pavimento, adagiata su un fianco, in una pozza di sangue. È stata colpita alla testa con una grossa pietra che le ha fracassato il cranio.
Uccisa da chi? Perché? Chi ha armato la mano omicida?
Un silenzio di tomba e di omertà è sceso su questo orribile crimine, frutto di un fanatismo diabolico.
Una cosa è certa. Cristo ha donato a suor Vera la morte che si è meritata: il martirio. Come se si fosse scelto il vestito da sposa per andare incontro al suo Signore.
A suggello della sua vita, tra i suoi libri si sono trovate queste righe, quasi profetiche, come un testamento:
“Senza sosta, o Cristo, mi interpelli e mi domandi:
Tu chi dici che io sia?
Tu sei colui che mi ami
fino alla vita che non finisce.
Tu mi apri la via al rischio.
Tu mi precedi sul cammino della santità,
dove è felice colui che muore d'amore,
dove il martirio è l'ultima risposta.”
Autore: Suor Bruna Grassini
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