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Sant' Avvakum Sacerdote e martire

Festa: 2 dicembre (Chiese Orientali)

1620 - 1682


E' senz'altro il più celebre e venerato santo della Chiesa dei Vecchi Credenti russi, all'origine della sepa­razione dal Patriarcato di Mosca, e un illustre scrittore. Nacque nella famiglia di un sacerdote di Grigoro-vo, nel circondario Zakudemskij del distretto di Niznij Novgorod (ora distretto di Bol'semuraskinskij nella regione di Niznij Novgorod). Il padre, Pétr, ave­va il vizio del bere; la madre, Maria (che in seguito se­guirà la via monastica col nome di Marta), si distin­gueva per la devozione e la pietà e allevò il figlio nel umor di Dio.
Un giorno che si trovò ad assistere alla fine di una bestia nel cortile di un vicino, Avvakum capì l'irreversibilità della morte e decise di alzarsi ogni notte per pregare. Allorché la madre decise di fargli prendere moglie, supplicò a lungo la Madre di Dio di dargli una com­pagna di vita che lo aiutasse a tendere alla salvezza. Così nel 1638, a 17 anni, sposò la figlia quattordicen­ne del fabbro locale, Anastasia Markovna, appena rimasta orfana e che fu per lui una fedele compagna e un'amica in tutte le sue imprese e in ogni sua vicenda, fino all'ultimo esilio di Pustozersk. A 21 anni fu ordi­nato diacono e due anni più tardi (nel 1644) sacerdo­te a Lopatisci.
Fin dall'inizio del suo ministero, Avvakum rivelò le qualità che lo avrebbero contraddistinto per tutta la vita: lo zelo nell'adempimento delle norme canoniche, la fermezza nel sostenere la verità, una forza spirituale sorprendente e una volontà inesauribile. Difese con coraggio una fanciulla rapita alla madre vedova da un uomo potente, sopportando per questo le percosse e scampando alla morte per miracolo: per due volte la pistola di quell'uomo, che voleva ucciderlo sparandogli, si inceppò. Per zelo religioso, Avvakum era solito fare a pezzi le cetre e i giochi di maghi e saltimbanchi, scac­ciare gli orsi danzanti; una volta fu gettato nel Volga da una barca su ordine di un boiaro, per aver rifiutato di benedire il figlio di questi che si radeva la barba secondo l'uso occidentale, contro la tradizione orto­dossa. Per la sua predicazione radicale dell'ascetismo e della devozione, e per aver rimproverato a uno dei capi del villaggio di essere un mentitore, Avvakum fu malmenato e scacciato dal paese. Si rifugiò allora a Mo­sca, dove ebbe potenti protettori, quali Ivan Neronov e Stefan Vonifat'ev, confessore dello zar, presso la cui corte introdusse Avvakum. Poco tempo dopo, questi ritornò a Lopatisci con un decreto dello zar, ma fu nuovamente scacciato nel 1648 per il suo zelo e la sua pietà. In quel tempo Avvakum fu in rapporto con l'ambiente influente dei Bogoljubcy («amanti di Dio»), animato dal Neronov, i quali intendevano riformare la vita ecclesiastica russa, dittondere la predicazione, ordinare il culto e ap­profondire la pietà e la religiosità del popolo; il movimento era inviso alle autorità e al clero, che non con­dividevano tale fervore.
Nel 1652, Avvakum viene nominato protopope (arciprete) della città di Jur'evec. Qui, dopo soli due mesi, per aver imposto il canto liturgico a una sola voce (il che rendeva il rito molto più lungo), si rese talmente inviso al popolo e al clero locale che un giorno fu trascinato fuori della chiesa e percosso in maniera talmente bru­tale da esser costretto a nascondersi, abbandonando momentaneamente la famiglia. Ritornò a Mosca e vi fe­ce ritornare anche i suoi; in città, celebrava nella chie­sa della Madre di Dio di Kazan', sulla Piazza Rossa.
A causa delle dure critiche da lui mosse alle innova­zioni liturgiche stabilite dal patriarca Nikon (febb. 1653), Avvakum fu arrestato durante la celebrazione della ve­glia notturna, e per un mese fu rinchiuso nel monaste­ro di Andronico di Mosca, incatenato in una cella buia. Trascorsi tre giorni senza pane né acqua, gli apparve un angelo (o un uomo) che dopo avergli dato da mangia­re sparì immediatamente senza aprire le porte. Dopo un mese fu esiliato con la famiglia a Tobol'sk, in Sibe­ria; non fu ridotto allo stato laicale solo grazie all'inte­ressamento dello zar Aleksej Michajlovic, che nutriva nei confronti di Avvakum un sentimento di riverente stima.
Nel 1656, da Tobol'sk fu mandato assieme alla fa­miglia in Dauria, con la spedizione del voivoda Paskov. Avvakum perse in questa circostanza due figli e patì insieme con i suoi ogni sorta di privazioni e di difficoltà: il fred­do, la fame, gli attacchi degli indigeni, e la crudeltà del­lo stesso dispotico voivoda il quale, tuttavia, finì per convertirsi, fece penitenza, e, per volontà di Avvakum, torna­to a Mosca, si fece monaco e morì in pace con Dio.
Grazie all'intervento di amici influenti, nel 1661 Avvakum ottenne il permesso di ritornare a Mosca. Il viaggio di ritorno durò circa tre anni durante i quali egli predicò con grande energia contro le innovazioni del patriar­ca Nikon. Giunto nella capitale nel 1664, riaffermò la propria posizione di rifiuto delle riforme, non accettò alcun compromesso; per questa ragione venne rispe­dito in esilio nella regione del Mezen', da dove ritor­nerà solo per il concilio del 1666, che lancerà l'anate­ma definitivo contro il vecchio rito. Rifiutate le deci­sioni del concilio, il 13 magg. dello stesso anno Avvakum fu scomunicato; per tutta risposta egli maledisse il con­cilio e fu l'unico dei confessori della Vecchia fede a ri­manere fedele sino alla fine, rifiutando di fare peni­tenza (fecero invece penitenza anche i capi della Vec­chia fede, il diacono Teodoro, Niceta Dobrynin e Neronov, mentre il sacerdote martire Lazzaro fu giudi­cato dal concilio più tardi).
A partire dal 1667, Avvakum fu imprigionato assieme ai suoi compagni, il diacono Teodoro, il monaco Epifanio e il sacerdote Lazzaro, nel carcere di Pustozersk, dove scrisse più di 40 opere, tra le quali la celebre Vita. Da Pustozersk, assieme ai compagni potè dirigere la vita delle comunità dei Vecchi credenti. Col pretesto di aver calunniato la casa reale (ma di fatto per la loro predicazione della verità e la difesa delle antiche tradi­zioni e dei princìpi dell'ortodossia), Avvakum e i suoi tre com­pagni, Teodoro, Lazzaro ed Epifanio, furono condannati e arsi sul rogo il Venerdì santo dell'anno 1682. La tradizione dei Vecchi Credenti sostiene che Avvakum prima di morire abbia sollevato la mano destra con le due dita congiunte per il segno della croce alla maniera antica bizantina, e abbia gridato dal rogo, a coloro che assi­stevano alla pena, che avrebbero evitato la morte eter­na solo se si fossero segnati in quel modo.
La figura di Avvakum è di importanza capitale nella sto­ria della spiritualità russa come esempio di santità russa medievale. Egli è un caratteristico zelante di­fensore della fede dell'antica Moscovia, del tipo di Giuseppe di Volokolamsk, l'ultimo rappresen­tante del clero russo antico anteriore allo scisma. Avvakum credeva fermamente nell'unicità della missione spiri­tuale del popolo russo e lottava accanitamente contro tutto ciò che era estraneo e laico. Seguendo l'esempio di Massimo il Greco, sostenne la superiorità del­la saggezza spirituale nei confronti della filosofia lai­ca. La semplicità e la pietà del popolo russo erano per lui infinitamente più importanti del pensiero greco, sia pure teologico. Nella sua polemica con gli innova­tori si basava sulla considerazione che se tutti i santi russi precedenti avevano osservato i riti antichi e si erano salvati, le loro stesse persone costituivano sacri e immutabili dogmi di fede. D'accordo con i contem­poranei Bogoljubcy, sosteneva l'idea di «Mosca, terza Roma», ultimo regno ortodosso del mondo.
Per la sua psicologia e la forza della sua personalità, Avvakum è stato spesso paragonato ai grandi riformatori oc­cidentali, come Calvino e soprattutto Lutero. Egli era ben cosciente della propria vocazione e del proprio ca­risma, che si manifestava nella forza della predicazione, nella gran quantità di miracoli, visioni e guarigioni, e nell'indiscussa autorità morale presso i numerosissimi figli spirituali. Amava citare l'espressione di Giovanni Crisostomo secondo la quale il potere del sacerdote è superiore a quello del re. Nella supplica allo zar scrive: «Tu, nella tua libertà, sei padrone solamente della ter­ra russa; a me il Figlio di Dio, nella mia prigionia, ha sottomesso il cielo e la terra».
In quanto ideologo e ispiratore della Chiesa dei Vecchi Credenti, Avvakum rappresenta la corrente modera­ta, ovvero (secondo l'espressione di S. Zen'kovskij) conservatrice, detta popovscina. Diversamente dal suo compagno, il diacono Teodoro, Avvakum non vedeva, nel­l'allontanamento dei vescovi russi dalle tradizioni de­gli antichi, un segno dell'avvento dell'Anticristo, né tantomeno la venuta dell'Anticristo spirituale, signifi­cante la definitiva vittoria delle forze del male e la fi­ne della grazia; egli può, al contrario, essere visto co­me precursore e fondatore dell'ala ottimistica dei Vecchi Credenti. Avvakum giunse a sostenere la legittimità dell'accettazione di nuovi sacerdoti per il servizio alle comunità dei Vecchi Credenti, a condizione che que­sti seguissero i canoni antichi e ripudiassero le inno­vazioni: tale posizione fa di lui l'iniziatore della cor­rente dei popovcy. Avvakum non credette mai che il fatto che lo Stato russo avesse perso l'ortodossia significasse la fine della Chiesa sulla terra; anzi, credette e sperò si­no alla fine nel ritorno della Chiesa russa alle tradizioni dei padri. Interessante è il fatto che Avvakum abbia ri­tenuto lecita e sostenuto la pratica dell'autoimmolazione col fuoco, anche con citazioni ed esempi tratti da Vite di santi antichi che in tal modo erano sfuggi­ti alle mani dei persecutori.
Fino alla metà del XIX secolo le opere di Avvakum esiste­vano solo in codici appartenenti ai Vecchi Credenti e non erano considerate dal punto di vista del loro valore letterario. La Vita di Avvakum scritta da lui stesso, i suoi insegnamenti, le suppliche e le lettere sono redatti in una lingua viva, brillante ed espressiva. Oggi Avvakum è considerato il primo scrittore russo antico ad aver inserito nella lingua letteraria elementi del linguaggio po­polare, con grande effetto e successo. Le sue opere avrebbero potuto determinare lo sviluppo successivo delle lettere russe, se all'epoca non fosse stata così forte l'influenza dei modelli della letteratura occidentale polacco-latina. Il genio letterario di Avvakum fu ammirato dai più grandi scrittori russi, quali: Turgenev, Dostoevskij Tolstoj, Leskov; su Avvakum sono state composte molte ope­re in prosa e in versi, sono stati condotti molti studi cri­tici. Il più grande specialista delle opere di Avvakum, V.L. Malysev, ha curato un'interessante antologia di valuta­zioni di scrittori russi sui suoi lavori.
Formalmente la canonizzazione di Avvakum è avvenuta, assieme a quella della maggioranza degli altri più in­signi martiri della Vecchia fede del XVII secolo, durante il concilio della gerarchia di Belaja Krinica del 1916, benché la questione della sua canonizzazione esistesse da molto tempo prima. La venerazione del santo, comune a tutte le diverse comunità dei Vecchi Credenti, cominciò a svilupparsi subito dopo il suo martirio. L'ufficio di Avvakum più conosciuto (kanon) è sta­to composto con grande probabilità dal vescovo In­nocenzo (Usov); le numerose icone del santo cominciarono a essere dipinte a partire dal XVIII secolo.
Avvakum ha due memorie liturgiche: il 14 apr., assieme agli altri martiri di Pustozersk, e il 2 dic.


Autore:
Dmitrij Kanaev


Fonte:
Bibliotheca Sanctorum Orientalium

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Aggiunto/modificato il 2009-04-16

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