Era il 15 agosto 1897, solennità di Maria Assunta, quando a Castagnole Lanze (Asti), nacque Giuseppe Rivella, figlio di agricoltori agiati. Fu festa grande per i suoi genitori; era un bel bambino che si dimostrò presto vivace, simpatico, affettuoso. La mamma gli fece conoscere Gesù... e Giuseppe lo scelse, come il compagno di strada per tutta la sua vita. Una giovinezza limpida e laboriosa accanto ai suoi genitori, tra la natia borgata Rivella e la parrocchia di San Pietro, dove ogni domenica l'amico Cristo l'attendeva per l'appuntamento luminoso dell'Eucaristia. Nella primavera del 1916 — l'Italia era in guerra dal Garda all'Isonzo — Giuseppe, 19 anni, fu arruolato nel reggimento di cavalleria «Lucca» e mandato prima a Saluzzo (Cuneo) poi in Albania, in Grecia, ed infine a Mantova. Finalmente stabile, gli ufficiali dell'esercito, per i suoi modi distinti, lo chiamarono a fare il cameriere alla loro mensa. Giuseppe aveva scoperto la sua « strada» per tutta la vita: sarebbe stato un cameriere di gran classe, raffinatissimo. Congedato dalla guerra, aprì un « caffè» prima a Savona, poi a Imperia dove strinse , amicizia con i Padri Passioni-sti della città. Intanto imparava le lingue straniere con estrema facilità. Dal 1925 al '28 si trasferì a San Remo: una vita brillante, sempre alla ribalta, in primo piano, ma la sua vita era tutta aperta all'irruzione di Dio nella sua anima. I primi trent'anni della sua vita sono limpidi e puri: cerca di realizzare i suoi sogni...
Un grande amore Giuseppe era solo: aveva sete d'amore, un cuore pieno di nostalgia. Sul suo orizzonte passarono alcuni volti limpidi di ragazze. Abbozzò un fidanzamento con la signorina Jolanda Favre, ma era insoddisfatto, cercava più in alto: il cuore aveva sete di infinito, oltre l'amore umano. «Le ragazze mi rapivano, incantando il mio cuore, ma io guardavo più in là» — scrisse nel suo diario. Genova, 5 febbraio 1929. Giuseppe, passando per la strada, si trovò ad avere tra le mani l'invito per una giornata di spiritualità mariana, in una chiesa del centro. Ci andò e fu un'illuminazione: scoprì che poteva consacrarsi tutto al Cristo, per le mani di Maria, nello spirito della «vera devozione» di Luigi Grignon de Montfort. E così, dopo essersi preparato con impegno, Giuseppe Rivella diventò consacrato, «lo schiavo » come allora si diceva, di Maria. Aveva trovato l'amore che lui cercava: Gesù l'unico Amato e sua Madre. La scoperta di Maria lo portò da una buona vita cristiana alla santità «eroica»; fece di lui, nel suo ambiente di lavoro, un altro-Gesù, un testimone della fede che, per le strade del mondo, viveva i «consigli evangelici» con lo spirito di preghiera e di dedizione a Dio che i monaci vivono nei loro cenacoli. Il «Trattato della vera devozione a Maria» del Montfort, diventò la sua guida per tutta la vita. Sotto la direzione di Maria, il suo cameriere si sarebbe fatto santo, continuando a lavorare negli alberghi, come un monaco nella sua cella. Giuseppe Rivella, anche se qualche amico o compagno di lavoro lo giudicava uno «scemo», era felice di patire... e di vivere con quello stile di vita,lo stile di Maria che dona al mondo Gesù, che porta nel mondo Gesù.
Cristo ovunque Cercato per la sua gentilezza, prestò servizio nei più lussuosi alberghi d'Italia: Hotel Excelsior di Venezia, i più grandi alberghi di Roma. Tutte le mattine, prestissimo, partecipava alla Messa e si accostava alla Comunione. E poi all'albergo a lavorare. Parlava francese, inglese, spagnolo, ungherese, russo: una capacità di dialogare, la sua, con tutti. Ed ogni giorno, con l'ardore di un innamorato, recitava sette volte la corona del rosario. Nell'albergo lasciava ad ogni tavolino un'Ave Maria: per contare le «ave», gli serviva bene la fila dei tavolini. Con la sua delicatezza, riusciva a conoscere le anime dei clienti degli alberghi e dei caffè, spesso in cerca di avventure galanti in cui ammazzare il tempo e l'anima. Sulle orme di Maria, la Madre dell'Amore, Giuseppe Ri-velia comprese che la grandezza della vita è soltanto l'Amore. Scriveva: «L'Amore. Amare, essere innamorati ed essere contraccambiati al cento per cento, ecco la felicità. Quell'Amore che non domanda che di essere amato... Il contraccambio al cento per cento del nostro amore si trova solo in Dio: la creatura che lo ha raggiunto, non cerca un'altra creatura, perché già possiede la gioia». In questo amore totale, là tra le sale da biliardo e il tintinnio dei bicchieri, tra il suono dei concerti e il parlottare dei grossisti e le storie di peccato di tanti poveri esseri, Giuseppe Rivella si faceva santo.
Povero tra i poveri A notte alta, quando serviva a Roma presso il Caffè Colonna, era atteso nella vicina piazza, da un gruppo di silenziosi dietro le colonne: i suoi poveri. Tanti. Tutto il suo stipendio intero era per loro. Cuore grande, era tutto per i poveri. Per poter dar loro di più, aveva lasciato il suo piccolo appartamentino ed era andato a vivere presso una portineria. Ad un collega che non riusciva a comprarsi il cappotto per mancanza di denaro, un giorno d'inverno, Giuseppe regalò il suo appena comprato. Un'altra volta derubato di una somma notevole, non volle denunciare alcuno: «Mi dispiace per l'anima dei ladri — disse — io li perdono». C'erano in quegli anni tanti operai in cerca di lavoro a Roma e che guadagnavano poco. Giuseppe andava a cercarli nelle osterie più misere della città e condivideva con molti di loro, a sue spese, il pranzo, i vestiti, il denaro... Fu in uno di questi locali che incontrò il suo migliore amico, l'operaio Guido Papi. Era diventato quasi l'incarnazione della carità, per i più infelici. Nel suo cuore, sempre, la fiducia senza limiti, nel Dio che «sa che ci siamo». Lui stesso viveva in povertà estrema. Una valigia conteneva tutto il suo corredo di cameriere di gran classe, perché — diceva — « S. Francesco aveva meno di me».
Testimone laico del Dio-Amore Alla sua vita cristiana intensissima, Giuseppe Rivella aggiungeva le mortificazioni di un eremita. Mangiava pochissimo, portava continuamente le «catenelle» per ricordare a se stesso che era « schiavo » di Maria. Gli sarà tolta arrugginita, poco prima della morte. Durante la malattia l'aveva sempre portata ed era malato ai polmoni. Nel cuore ardeva il suo amore a Cristo e a sua Madre, l'Immacolata. Lui si sentiva «il cameriere dell'Immacolata». Diceva: «Io non ho che un sogno, vivere per Gesù e per l'Immacolata. Maria è il mio amore, la mia passione, Maria è tutto per me». «Perché stai nel mondo e non entri in convento? » — gli domandò un giorno, a bruciapelo, un amico. Gli rispose Giuseppe: «Ti dico che è bello vivere nel mondo per testimoniare il coraggio della lotta... Perciò io sto nell'albergo come potrei stare in convento, perché è qui che Dio vuole che io svolga la mia opera di bene e poiché sento che Dio mi vuole qui, sento che in convento non sarei a posto». E Giuseppe Rivella rimase là, libero apostolo del Signore, felice di amarlo e di proclamare con la vita, la sua misericordia, là dove Egli spesso è assente dal cuore degli uomini. Perché dove gli uomini sono più «abbandonati», lì dev'esserci il Cristo. Un giorno non potè reggere alla fatica. Sospeso il suo lavoro, lo ricoverarono in ospedale. Lo mandarono a godere il riposo in un clima più salubre. Non servì a nulla. 2 ottobre 1942: il giorno della sua morte. Calmo, sereno, ricevette il suo Gesù: era il primo venerdì del mese, sperava di morire di sabato, il giorno dedicato alla Madonna. Il volto pallidissimo ma non sciupato, appariva illuminato da una luce tersa di bontà, di chi aveva dato tutto. Con un filo di voce salutò il suo amico Guido: «Addio, vado in Paradiso». Poi reclinò il capo e morì sorridendo, mentre un piccolo fiotto di sangue gli imporporava le labbra e gli rigava lievemente la guancia sinistra, come un'ultima offerta d'amore. Così era vissuto, così era morto Giuseppe Rivella, un «santo laico», dopo aver speso tutta la sua giovane vita come un'ostia offerta al Dio vivo e un dono d'amore ai fratelli. Qualche tempo prima, aveva detto alla sorella Ugolina: « Vedi, la santità è fatta di tanti granellini di sabbia... Quando io non ci sarò più, benedite Dio per quanto Egli fa. Ringraziate la Madonna e cantate il Magnificat per me». Di lui disse l'irlandese Mons. Alberto Deane, Generale dei Passionisti a 38 anni, e poi, dal 1955 primo Vescovo di Villa Maria in Argentina: «Il cavaliere dell'Immacolata, Giuseppe Rivella, con la sua vita angelica, ha testimoniato che la santità è possibile dappertutto, anche negli ambienti più difficili. E noi tutti siamo chiamati alla santità. La devozione alla Madonna è il segreto della riuscita: se Maria ti guida, tu arrivi alla meta».
Autore: Paolo Risso
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