Aveva cinque anni e andava all’asilo dalle venerande Suore Trinitarie. Qualcuno gli disse che le suore non avevano i capelli. Lui si domanda: “Ma sarà vero?”. Annodò uno spillo a un filo, poi ficcò lo spillo nel velo di una suora e... diede uno strattone. Grida, risate, scandalo, ma lui aveva visto che anche le suore avevano i capelli. La malcapitata Suora lo mandò subito a confessare “il grosso peccato”. Lui, già pentito, lo fece pubblicamente al parroco che faceva scuola di canto all’harmonium. Il buon prete non si tenne dal ridere di gusto, ma gli raccomandò di non farlo più, perché “Gesù non ne sarà contento”. Era l’argomento più forte per “domarlo”, perché lui di Gesù era già molto amico.
“Dio solo” Il “monello” si chiamava Gustave Chautard ed era nato a Briançon il 12 marzo 1858: intelligente e birichino, sostanzialmente buono, non dà alcun segno di vocazione “speciale”. È un ragazzo terribile e un chierichetto modello, uno studente volenteroso, ma sempre alla ricerca di burle a spese di qualcuno. La sua mamma è piissima, suo padre è senza fede. A Marsiglia dove prosegue gli studi, ormai adolescente, la sua fede che si è un po’ oscurata, si risveglia nel momento in cui si trova nell’alternativa di difenderla o di rinnegarla. Riscopre Gesù e comprende che Lui solo merita tutto. Si dedica a opere di apostolato: catechista irresistibile tra i saltimbanchi della fiera, dedica molto del suo tempo libero a far visita a vecchi e malati... E un giorno si accorge che Dio lo chiama per nome e lo vuole per Sé. Resiste finché può – 15 giorni – poi si arrende. Che cosa avrebbe fatto, dove sarebbe andato? Benedettino, gesuita, certosino? Un giorno, legge un vecchio libro sulla Trappa e ne vede uscire una luce forte e dolce. Decide: “Sarò trappista! Sarò nella milizia di San Bernardo”. L’Abbazia di Aiguebelle lo riceve a 19 anni e lo inizia alla vita monastica con i mezzi dell’Ufficio divino, di sante letture, del lavoro manuale, in silenzio. Il 6 maggio 1877, veste il bianco abito di Citeaux e prende il nome di Jean-Baptiste. Il suo primo comandamento è “Adora e cerca Dio solo” e “Cerca il Regno di Dio”. Di Dio si innamora alla lettera “ci sarà solo Lui – e Gesù Cristo, il Figlio di Dio” – nella sua vita. È appena professo e già è chiamato a tentare il salvataggio del suo monastero dalla rovina economica. Mandato a Parigi, non ottiene nulla, ma a “Santa Maria delle Vittorie”, mentre espone la sconfitta alla Madonna, uno sconosciuto lo ferma: “Un Trappista a Parigi? Che ci fate qui?”. Jean-Baptiste gli espone il suo problema e ne trova la soluzione. A 25 anni, è ordinato sacerdote e tocca il cielo con il dito per la gioia. Prima di salire all’altare, si è riconciliato con suo padre, che ora comincia ad avvicinarsi a Dio. Vorrebbe solo pregare e contemplare Dio, ma tutte le cariche più attive e gravose gli cadono sulle spalle.
Padre e uomo d’azione È amministratore di Aiguebelle e delle Suore Trappiste di Maibec. Fonda un nuovo noviziato, sistema meglio la clausura, amplia le dispense e la fabbrica del cioccolato per poter dare lavoro ai monaci. Nel 1877 è mandato abate a Chambarand e si occupa della ripresa di Citeaux, la culla dell’Ordine, la casa di San Bernardo. Finalmente, nel 1899, Dio lo pone al suo posto definitivo: Abate di Sept-Fons. Ma lui non ne vuole sapere e si ostina in un rifiuto senza sbocco. Cede solo quando Papa Leone XIII, interpellato dai superiori dell’Ordine, gli fa sapere che “il Santo Padre desidera che accetti”. Pone la lettera sul suo scrittoio, a ricordargli che è lì per purissima obbedienza e che pertanto Dio è obbligato a aiutarlo. Passerà alla storia come “l’Abate di Sept-Fons”, la grandiosa abbazia sulle rive della Besbre, fondata con la benedizione di San Bernardo in persona nel 1132, e che alla fine del XIX ospita una numerosa comunità e ha molte case filiali disseminate nel mondo. Della sua grande famiglia, l’Abate Chautard avrà cura di padre e madre insieme, raggiungendo tutti senza trascurare niente. Avrà cura speciale per i malati e per i più fragili, ripetendo come norma ai monaci: “Un religioso malato – e chiunque si consacri a Dio in monastero – non deve aver mai motivo di rimpiangere sua madre”. Quando di notte sente “un fratello” tossire, si alza e va a vedere di che cosa può aver bisogno, smentendo l’affermazione di Voltaire che “i religiosi convivono senza amarsi e muoiono senza compiangersi”. Istruisce e trascina con un infinito rispetto per le anime, che ama una per una, nell’amore vero – l’amore di Gesù che ha amato fino a immolare la vita per i suoi. Nell’estate 1898, è riuscito a riscattare l’abbazia di Citeaux dalle mani del governo francese, per farvi rinascere la vita consacrata. Ora, nel 1901, mentre i massoni Waldeck-Rousseau e Combes gettano nel panico le comunità religiose in Francia, Dom Chautard è incaricato di assumere la difesa dell’Ordine. Si presenta ai persecutori, cercando di illuminarli e di risvegliare la loro coscienza.
Davanti al nemico Eccolo davanti al grande nemico, il ministro Clemenceau, detto “le Tigre”: quel monaco biancovestito che difende a fronte alta, senza paura il diritto di esistenza per sé e per i suoi, parla in modo così ardente che il terribile uomo di stato deve dirgli: “Ho capito l’ideale di un monaco e capisco anche come, quando lo si vive, se ne possa essere fieri. Consideratemi vostro amico”. Ed è di parola. Gesù, il vincitore del peccato e della morte, è infinitamente più forte di tutti i poveri Clemenceau della storia. Intanto, nell’imminenza dell’uragano, non attende con le mani in mano. Vivendo il periodo più eroico della sua vita, gira l’Europa e l’America per trovare e assicurare rifugio ai suoi figli nel caso di bisogno. Aveva voluto vivere solo con Dio, in monastero, e invece è sballottato per le vie del mondo, per servire i fratelli. Non perde mai l’unione con Dio, vivendo su un treno o su una nave, come nella cella del suo cenobio. Durante la prima guerra mondiale, si reca al fronte a far visita ai suoi monaci richiamati alle armi. Terminata la guerra, è di nuovo in viaggio, fino in Cina, in Giappone, negli Stati Uniti d’America, a visitare le comunità filiali, per aprirne di nuove, affinché l’adorazione a Dio, in unione a Gesù Crocifisso e Eucaristico, non abbia mai a mancare dovunque, e Lui sia sempre il primo e l’unico.
“L’anima di ogni apostolato” Celebra la Santa Messa in un albergo o su un treno, con la guerra o le bestie feroci a pochi passi. Predica con l’ardore di San Paolo, Gesù solo e Lui crocifisso. Dunque, con conferenze o “capitoli”, opuscoli, circolari, alimenta la fiamma dell’amore di Dio. Si dedica alla direzione spirituale dei suoi monaci, ma anche di sacerdoti e Vescovi, di povere anime lontane da Dio, affascinate dalla sua carità teologale, che pure lo rende non solo austero, ma gioioso, amabile, umano come può esserlo solo chi vive con Dio. In mezzo a tanta attività frenetica, ha una certezza sola: “Quelli che pregano e soffrono, giovano al mondo più di quelli che combattono”. Ma occorrono gli uni e gli altri. Con gli occhi ben aperti sul mondo e sugli uomini di Chiesa, Dom Chautard vede dilagare un’enorme stortura; “l’eresia dell’azione”. Secondo l’americanismo e il modernismo (dilagante ai suoi tempi, ma pure oggi come mai prima è stato), tutto sarebbe cambiato in meglio solo dall’azione dell’uomo senza che Dio debba intervenire, senza che la sua Grazia santificante, meritata dal sacrificio di Gesù e ottenuta dalla nostra preghiera e dalla vita interiore, abbia a vivificare e fecondare ogni iniziativa. Dom Chautard sa che “senza Gesù non si fa nulla” e che solo “chi è unito a Lui porta molto frutto” (Gv 15,5-6). Questo si alimenta solo con la preghiera e la abituale unione con Dio, nella immedesimazione in Lui: ciò è vero per tutti, tanto più per i sacerdoti, per i religiosi, per coloro che si dedicano alla salvezza delle anime. Nel 1921, fondendo insieme i suoi scritti e le sue conferenze, egli pubblica il suo capolavoro, "L’anima di ogni apostolato", in forma definitiva. Ma il libro era già uscito più di un decennio prima e rapidamente era diventato un best-seller, come L’imitazione di Cristo, o Storia di un’anima di Santa Teresa di Gesù Bambino, come lo sarebbe stato 'Cristo, vita dell’anima' di Dom Marmion. Ha un successo enorme. San Pio X lo teneva sul tavolo. Benedetto XV lo accoppiava ai libri di Dom Marmion. Il Card. Sevin lo definisce “il libro d’oro”. Vescovi di intere nazioni lo distribuiscono al loro Clero. Lo studiano gli studenti universitari e i loro docenti e persino capi di stato cattolici. Lo vivono e lo meditano i membri delle Associazioni di Azione Cattolica. Allo scrivente, fa assai piacere notare come uno dei modelli di vita interiore intensissima che anima tutto il suo apostolato presentati da Dom Chautard, sia proprio San Giovanni Bosco. Con questa “anima del suo apostolato”, – che è Gesù solo – Dom Chautard si dedica persino alla questione operaia con Leone Harmel e a ogni altra iniziativa che ha dell’incredibile. Anime smarrite e lontane, grazie a lui, ritrovano Dio. Non gli resta che compiere l’ultimo sacrificio: offrirsi vittima per le anime. Lo fa, nella certezza che Dio lo avrebbe preso in parola: “ A me tocca espiare, fare penitenza, a me essere come Gesù immolato”. Il 29 settembre 1935, sta per entrare “in capitolo” per dare l’abito a un giovane novizio. Sono venuti i suoi amici scouts a fargli festa. Dom Jean-Baptiste cade a terra, fulminato dall’infarto. Tra le mani ha un foglio con lo schema della meditazione che avrebbe tenuto: “Il tempo è breve, figlioli. È giunta l’ultima ora. State preparati”.
Autore: Paolo Risso
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