Nacque il 7 ottobre 1916 a San Donato di Calenzano, in provincia di Firenze, da Gino, fabbro, e Albertina Donnini. Enrico era il secondogenito di quattro figli: Sandro, Ada e Maria Regina.
Origini e formazione
Nel 1927 entrò nel seminario fiorentino di Cestello, nel 1934 venne inviato a studiare al collegio Capranica a Roma; terminati gli studi liceali passò alla Gregoriana, dove ottenne la licenza in teologia con una tesi su Rosmini: la natura del peccato originale. Bartoletti riprendeva un tema tradizionale della teologia ottocentesca di impostazione gesuitica, ripercorrendo la polemica che il padre gesuita Perrone aveva condotto contro Rosmini a metà Ottocento, non ponendo in luce l’importanza delle proposte rosminiane. Al di là della impostazione molto tradizionale di questi studi va sottolineata una influenza sul piano educativo del rettore del Capranica, Cesare Federici, contrario alla retorica bellicista, così diffusa durante le guerre di Etiopia e di Spagna. Di più ampio rilievo per Bartoletti fu il rapporto con il padre spirituale del Capranica, Giulio Belvederi, amico di Angelo Giuseppe Roncalli, anch’egli accusato di modernismo ai primi del Novecento per aver sostenuto l’importanza della critica storica applicata alla Bibbia. Le sue meditazioni, ricche di riferimenti biblici, furono riprese e commentate dal giovane Bartoletti. Belvederi – che mostrava una acuta sensibilità liturgica celebrando la messa con l’altare rivolto al popolo ben prima delle riforme conciliari – lo avvicinò alla spiritualità benedettina e gli fece conoscere il volume di Columba Marmion Cristo ideale del monaco, un testo che avrebbe poi consigliato ai sacerdoti. Ma il rilievo della formazione romana per Bartoletti si evidenziò soprattutto nello studio all’Istituto biblico, dove fu allievo di Maximilian Zerwick e Agostino Bea; il tema centrale della sua formazione divenne la conoscenza della Scrittura, studiata con metodo critico-esegetico e con la convinzione che lo studio scientifico della Bibbia poteva assumere anche un grande rilievo spirituale. Il 23 luglio 1939 venne ordinato sacerdote dal card. Elia Dalla Costa, arcivescovo di Firenze, rimanendo a studiare al Biblico ancora per due anni conseguendo la licenza in Sacra Scrittura.
Ministero a Firenze
Dal 1941 fu richiamato a Firenze e nominato vicerettore del seminario minore di Montughi; dallo stesso anno insegnò Sacra Scrittura, ebraico e greco biblico nel corsi di teologia del seminario maggiore. Nel settembre 1943 divenne rettore del seminario minore; in questi mesi l’istituto fu adibito a luogo di ricovero provvisorio e smistamento per gli ebrei all’interno di una vasta azione di soccorso che lo stesso Dalla Costa aveva assunto in prima persona e che coinvolgeva molte strutture della diocesi. L’8 dicembre 1943, in seguito a una delazione, i tedeschi irruppero nel seminario e arrestarono tutti gli ebrei e anche Bartoletti, che poi fu rilasciato dopo un deciso intervento del cardinale. Il suo insegnamento rappresentò una rottura con la prassi tradizionale per il metodo scientifico nello studio della Scrittura, in una prospettiva di convergenza tra approccio critico-esegetico e lettura spirituale della Bibbia interpretata come storia della salvezza, con la critica alle impostazioni apologetiche e concordiste.
Il rapporto amichevole, attento e disponibile di Bartoletti con gli allievi, se fu accolto molto favorevolmente dai giovani, suscitò anche diffidenze. Dalla Costa aveva stima e fiducia in Bartoletti, anche se la severità e l’austerità erano le note caratteristiche del presule, che aveva una predicazione fortemente intessuta di riferimenti biblici e patristici. Ma l’impostazione che aveva dato agli studi dei seminari era quella più tradizionale e diffusa, modellata dalle riforme di Pio X; si sottolineava la separatezza della figura del prete, come uomo del sacro, rispetto al popolo fedele, e si richiamavano costantemente le cosiddette virtù passive, la pietà, l’umiltà, l’obbedienza. Ben presto si evidenziò una certa diffidenza verso i suoi metodi e qualche tensione con il rettore del seminario maggiore mons. Lorini. L’accusa era relativa all’attenzione per una cultura laica ritenuta eccessiva nella formazione del clero a scapito della docilità e della pietà. Nel 1948 Dalla Costa decise di togliere i giovani del liceo dal seminario minore e riaggregarli al maggiore, pensando di ridurre all’uniformità i due seminari, in realtà evidenziando una frattura. Nel 1952 a Firenze arrivò mons. Ilario Alcini come visitatore apostolico dei seminari fiorentini e invitò il cardinale a rimuovere il rettore del maggiore; Dalla Costa avrebbe seguito questa indicazione nel 1955, Bartoletti divenne allora rettore di entrambi i seminari ed ebbe anche l’incarico della predicazione dei ritiri spirituali mensili del clero.
Il suo rapporto con Firenze si era ampliato e arricchito fin dagli anni Quaranta; il seminario era divenuto un punto di riferimento sia per le celebrazioni liturgiche sia per gli approfondimenti biblici. Molto forte fu il rapporto con Giorgio La Pira, le sue iniziative politiche, e ancor più con Giulio Facibeni, fondatore dell’Opera della Divina Provvidenza Madonnina del Grappa all’interno della parrocchia di Rifredi e molto amato in città; Bartoletti divenne anche mediatore tra i due al momento della decisione assunta dal cardinale, nel 1955, di separare la parrocchia dall’Opera. La sua figura fu importante per la comunità dei sacerdoti che lavoravano con Facibeni.
Il 28 giugno 1958 Pio XII lo nominò vescovo titolare di Mindo e ausiliare dell’arcivescovo di Lucca, mons. Antonio Torrini. La sua nomina fu interpretata da molti come un promoveatur ut amoveatur; egli rappresentava un punto di riferimento importante nella Chiesa fiorentina, che era al centro di polemiche nel mondo cattolico per le iniziative anticonformiste di La Pira; anche altri sacerdoti come Balducci, Turoldo e Vannucci erano stati allontanati nello stesso periodo, le decisioni erano state prese dal S. Uffizio. Bartoletti fece il suo ingresso a Lucca il 13 settembre 1958 partecipando alla processione del Volto Santo, la più importante devozione cittadina, molto sentita dalla popolazione.
Vescovo di Lucca
La Chiesa lucchese, per storia e tradizione secolare, aveva mantenuto una sua forte autonomia nella società toscana. I fedeli e il clero erano molto legati alle tradizioni religiose, alla devozione mariana e dei santi, quelli locali in primo luogo. Una religiosità tradizionale, tipica di una ‘società cristiana’, molto sentita, che coincideva con una identità cittadina. Il clero aveva una formazione teologica rigidamente neotomista ed era molto legato alla Democrazia Cristiana (DC), come anche l’Azione cattolica. Il seminario era guidato secondo le indicazioni romane.
In questo ambiente apparentemente monolitico la figura di don Arturo Paoli era stata fin dai primi anni quaranta un punto di riferimento importante e innovativo per i giovani di Azione cattolica e per i gruppi intellettuali in particolare. Chiamato a Roma da Montini nel 1949 come viceassistente generale della Gioventù Italiana di Azione Cattolica (GIAC), Paoli fu coinvolto nella crisi dei giovani dell’Azione cattolica del 1953-54, costretto alle dimissioni e allontanato, nominato cappellano di una nave di emigranti in Argentina. Tra i giovani questa crisi avrebbe avuto echi profondi, anche a Lucca, con allontanamenti e la formazione di alcuni gruppi più autonomi rispetto alla gerarchia. Analoga figura di eccezione, nel panorama ecclesiastico lucchese è quella di don Sirio Politi, che nel 1956 decise di andare a lavorare in un cantiere della Darsena viareggina, con il consenso del vescovo, anche se con una sostanziale incomprensione delle sue posizioni da parte del clero.
Bartoletti venne nominato vescovo ausiliare, senza alcun potere effettivo di governo. Le sue possibilità di azione erano molto limitate, non poteva influire sul seminario. Iniziò la sua attività pastorale dedicandosi ai laureati cattolici e all’Azione cattolica, con incontri e lezioni sulla Bibbia, cercando di farla conoscere in modo approfondito e divenendo un punto di riferimento per molti. Per la sua profonda competenza biblica Montini nel 1959 lo chiamò a parlare alla missione di Milano sul tema La Bibbia parola divina e umana. Inoltre si dedicava alla catechesi e ai rapporti con il clero. La convivenza con il vescovo Torrini non fu facile, per la diversità di formazione e orientamenti; nella visita ad limina del 1960 questo «difficile rapporto» (In spe fortitudo. Diario spirituale, 1933-1975,a cura di M. Brunini, 2013, p. 145)venne esposto al pontefice Giovanni XXIII. Nel 1962 il card. Carlo Confalonieri, segretario della congregazione Concistoriale, inviò due lettere identiche ai due vescovi, conferendo a entrambi il titolo di vescovi residenziali, quindi con eguali poteri. Questo documento evidenziava il desiderio romano di rafforzare la posizione di Bartoletti, ma è significativo il fatto che a Lucca quel testo non fosse nemmeno notificato al cancelliere. Bartoletti voleva evitare un dualismo che avrebbe potuto creare ulteriori difficoltà. Nel gennaio 1963 venne nominato vicario generale, nel 1966 amministratore apostolico sede plena.
All’annuncio del Concilio la sua reazione fu cauta; il suo votum, espresso come vescovo di Lucca, seguiva la linea tipica dei vescovi italiani: riaffermare dottrina e disciplina nei rapporti tra clero e laici, riprendere una sintesi degli errori moderni con la condanna del relativismo, ripristino del potere episcopale; unica nota nuova e in controtendenza sembrava la richiesta di un rafforzamento delle conferenze episcopali. Altra novità rispetto all’episcopato italiano era l’apertura di un ampio dibattito tra il clero e i laici della diocesi in preparazione del Concilio. Durante i lavori conciliari, dal suo diario, affiorava una progressiva apertura e maturazione; vedeva l’emergere di due tendenze, «romana e straniera», e si orientava verso le aperture dei vescovi nordeuropei, notava alcuni limiti dell’episcopato italiano; sottolineava l’importanza della riscoperta della Bibbia, della riforma liturgica, di un rinnovato rapporto con il mondo moderno e della libertà religiosa, anche se non intervenne in assemblea, né nelle commissioni, neppure con interventi scritti. In quegli anni a Lucca si impegnò per diffondere i temi dei dibattiti conciliari, incontrando anche alcune resistenze da una parte del clero e dei membri della curia. Molta attenzione venne dedicata a spiegare l’importanza della riforma liturgica e poi alla sua attuazione, con la formazione degli animatori liturgici. Nell’azione pastorale era fortemente ribadito il primato della Parola di Dio nella vita della Chiesa, secondo le linee del documento conciliare Dei verbum. Dell’Azione cattolica si sottolineava il rilievo ecclesiale e non solo il ruolo politico in chiave anticomunista, come avveniva di fatto in grande prevalenza, in Italia e a Lucca.
Dal 1965 e dal 1966, come amministratore apostolico, si accentuò il suo impegno per l’aggiornamento del clero, per il quale organizzò centri estivi residenziali invitando i docenti dell’Istituto biblico e teologi di rilievo italiani e stranieri. Costituì il consiglio pastorale e quello presbiterale. Per il seminario scelse come rettore mons. Bruno Tommasi che introdusse novità di rilievo nella vita seminariale, con l’attenzione a una vita comunitaria, alla formazione liturgica, allo studio biblico-teologico; come vescovo Bartoletti fu molto presente in seminario. Una parte del clero criticava queste innovazioni. Come vicario per la diocesi la sua scelta non si rivolse ai sacerdoti più vicini, ma optò per Miro Dati, che era lontano dalle sue prospettive ma che poteva tranquillizzare i tanti sacerdoti più tradizionalisti. Bartoletti modificò anche la struttura delle visite pastorali, ponendo in primo piano la riforma liturgica, il dialogo con i laici e la visita ai malati e in secondo piano la verifica amministrativa. Nel 1968 in occasione delle elezioni politiche proibì di ridare vita ai Comitati civici, tentando di rendere autonoma l’Azione cattolica dalla DC, ma questa scelta non fu condivisa da tutti: con il nome di Impegno civico si ricostituì infatti un gruppo che svolgeva prevalentemente attività politico-elettorale. Bartoletti non intervenne, per non provocare fratture. La sua azione era prudente, paziente, evitava interventi di autorità preferendo un’azione di persuasione e di penetrazione a lunga scadenza. Una parte del clero opponeva la resistenza del silenzio alle sue proposte di rinnovamento. Tutta la sua azione era rivolta alla riforma della Chiesa e della sua pastorale; meno attento era alle questioni sociali; tentò di spostare l’Azione cattolica da un impegno direttamente politico a uno religioso ed ecclesiale; la sua azione non fu anticomunista né filo democristiana. Con la DC intratteneva rapporti personali con i responsabili lucchesi, ma non interferì in alcun modo nella dialettica delle correnti, né nella scelta dei candidati.
Alla CEI
Molto stimato all’interno dell’episcopato italiano, fu eletto con una votazione molto ampia per il Sinodo del 1971, di cui fu anche membro della Segreteria. Dal 1969 era nella commissione per la Dottrina della fede e la catechesi della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), dal 1972 ne divenne presidente. Nel 1972 Paolo VI lo nominò segretario generale della CEI e nel 1973 presidente della commissione internazionale di studio per la promozione della donna. Montini lo scelse, come altri vescovi di rilievo, per favorire una maturazione in senso conciliare nell’episcopato italiano. Divenne l’ispiratore e l’artefice dei piani pastorali dei primi anni Settanta. Tema centrale di queste proposte fu quello della ‘evangelizzazione’, messaggio centrale di diversi convegni che si tennero nei primi anni Settanta. Nel febbraio 1974 fu presentato il «Documento dell’episcopato italiano per la IV assemblea ordinaria del sinodo dei vescovi»: Evangelizzazione nel mondo contemporaneo, del quale Bartoletti fu il principale ispiratore. Il momento culminante di queste riflessioni sarebbe stato il convegno Evangelizzazione e promozione umana del 1976 (poi svoltosi dopo la sua morte), preparato con un ampio lavoro da un comitato preparatorio rappresentativo di tutte le realtà ecclesiali, nel quale erano stati coinvolti anche il gesuita padre Bartolomeo Sorge e laici, come Giuseppe Lazzati e Pietro Scoppola – quest’ultimo era stato uno dei promotori dei ‘cattolici democratici’ nel referendum del 1974.
Questi testi prendevano decisamente atto dei fenomeni di secolarizzazione della società italiana, e proponevano la «necessità di passare da una pastorale di sacramentalizzazione, valida in una situazione di ‘cristianità’, ad una pastorale di evangelizzazione, richiesta dai tempi nuovi»; si sottolineava anche che rinunciare alla prospettiva di cristianità comportava per la Chiesa l’assunzione di «mezzi poveri», non ponendo la propria fiducia nel «mezzi umani» (Enchiridion Cei,II, Bologna 1994, p. 360 e p. 384). Si affermava che la Chiesa per essere «credibile» doveva mostrarsi aperta a credenti e non credenti, rispettosa della libertà di tutti.
Ma accanto a queste linee, pur approvate, gran parte dell’episcopato italiano sembrava privilegiare logiche di contrapposizione. Una dicotomia che si sarebbe evidenziata sui temi del divorzio e della revisione del Concordato, posti all’ordine del giorno dalla vita politica. Bartoletti dovette cercare di conciliare le sue proposte con prospettive diverse e lontane: quelle oscillanti e non univoche del pontefice, quelle della segreteria di Stato e in particolare del sostituto Benelli, e quelle della CEI, dove una parte consistente dei vescovi seguiva ancora i modelli preconciliari. Come uomo di fiducia del papa, doveva svolgere un ruolo in qualche modo esorbitante dalla funzione di segretario della CEI, facendo da pontiere tra questa, la Curia romana e il pontefice. Così egli, che aveva sostenuto la necessità di una distinzione tra azione pastorale, Azione cattolica e vita politica si trovò a dover intervenire continuamente su temi politici, incontrando i segretari dei partiti, da Amintore Fanfani a Enrico Berlinguer e trovando una lucida collaborazione in Gianfranco Pompei, ambasciatore italiano presso la S. Sede. Questi aveva come consigliere ecclesiastico Clemente Riva, rosminiano, molto vicino a Bartoletti, che cercava di proporre soluzioni di mediazione e non di rottura.
In un primo momento, nell’agosto del 1973, il pontefice sembrava accettare questa prospettiva: «Teme che spingere al referendum sia invitare ad un eroismo pastoralmente inutile», scriveva Bartoletti nei suoi appunti (A. Riccardi, Dalla Chiese di Pio XII alla Chiesa italiana, in Un vescovo italiano del concilio, Enrico Bartoletti (1916 -1976), Genova 1988, p. 175). Anche sul Concordato, che Paolo VI giudicava «ferito mortalmente», sembravano aprirsi prospettive di revisione. Ma ben presto il pontefice diede indicazioni più restrittive, mentre una nota della segreteria di Stato era ancora più rigida. Anche nella CEI tali posizioni furono prevalenti: a una riunione del consiglio permanente del gennaio 1974 mons. Fiordelli avanzò la proposta di riattivare i Comitati civici come nel 1948. Bartoletti presentò una bozza molto articolata elaborata con i gesuiti de La Civiltà cattolica che riconosceva il rispetto della libertà di coscienza e del pluralismo politico, culturale, religioso. Questa bozza venne respinta e si nominò una commissione per un nuovo documento. Fallì in questo modo la mediazione di Bartoletti e di quei prelati che con lui avevano collaborato. Il pontefice si era allineato alle posizioni della DC di Fanfani, di Benelli e della segreteria di Stato e della CEI. Si provocava in realtà una lacerazione profonda all’interno della Chiesa italiana, dove non pochi cattolici, riuniti in un Comitato cattolici democratici, avrebbero rivendicato l’autonomia delle loro scelte, richiamando il Concilio e il rispetto della distinzione tra sfera civile e legge ecclesiastica. Il referendum del 1974 confermò quella mutata situazione culturale e sociale che era stata rievocata più volte, con un 59,1% dei No contrari all’abrogazione della legge e 40,9% dei Sì.
Anche sul Concordato, dopo una prima disponibilità del pontefice a una revisione significativa, di fronte all’opposizione della segreteria di Stato si ricrearono gli schieramenti che avevano portato al referendum. Le linee intransigenti avrebbero sempre più caratterizzato le posizioni della CEI e della S. Sede negli anni successivi, come sarebbe avvenuto anche per il referendum sull’aborto.
Nell’estate del 1975 Bartoletti venne incaricato da Paolo VI di intervenire presso gli uomini della DC per evitare le dimissioni di Fanfani, risultate poi inevitabili e seguite dall’elezione di Benigno Zaccagnini. Grande preoccupazione del pontefice era anche l’adesione ai partiti della sinistra di non pochi cattolici. Bartoletti era contrario a intromissioni della gerarchia nella politica italiana; nei suoi appunti annotava giudizi severi sulla realtà della DC, sullo scontro delle correnti, sulla lotta di potere, ma cercava comunque di mediare tra le diverse posizioni. Anche in segreteria di Stato analoghe divergenze si registrarono tra Casaroli e Benelli. Nello stesso anno Paolo VI gli ribadì la sua fiducia confermandolo come segretario della CEI.
Nel dicembre 1975 il consiglio permanente della CEI diffuse una dichiarazione sulla impossibilità di essere simultaneamente cristiani e marxisti, chiedendo ai cattolici una prova di «coerenza e di fede». La posizione di Bartoletti, come quella di chi proponeva una linea di dialogo e di confronto, era sempre più isolata. Quando tutte le possibilità di mediazione su questi temi sembravano esaurite, ottenne una riunione il 1° marzo con il pontefice, il card. Villot e Benelli; quest’ultimo era rimasto isolato e la posizione di Bartoletti sembrava rafforzata.
Nella notte tra il 1° e il 2 marzo fu colpito da infarto, morì il 5 marzo a 59 anni.
Bartoletti aveva sostenuto la necessità di un’evangelizzazione ispirata alle riforme conciliari in una Chiesa ancora legata ai modelli della cristianità. Se le sue analisi potevano essere accettate come prospettive teoriche e di lunga durata, sulle scelte concrete relative al mondo politico e ai rapporti Chiesa Stato le sue proposte non erano state accolte. Si è parlato di «un tentativo mancato» per la CEI (Faggioli, 2011, p. 325), anche se le prospettive delineate per una presenza ecclesiale rinnovata dal Concilio in una società attraversata da processi di secolarizzazione sempre più complessi, rimanevano come punti di riferimento, forse ancor più che nell’episcopato, nella realtà ecclesiale.
“Io navigo nell’amore. Amore del Padre che per me ha dato il suo Figlio; per me dispone amorevolmente tutta la mia vita, ed ogni circostanza della mia giornata. Amore del Figlio che per me è morto, è risorto, per me intercede presso Dio. Amore dello Spirito che mi santifica. Non certo le cose esterne; solo la mia povera libertà ha questo formidabile potere di separarmi dalla carità di Cristo. Vivere nella confidenza e nel ringraziamento. Fedeltà, fedeltà, fedeltà”.
Autore: Bruna Bocchini
Note:
Per maggiori informazioni: Arcidiocesi di Lucca, Via Arcivescovado 45, 55100 Lucca (LU). (email: diocesi@diocesilucca.it)
|