Dati biografici
Clemente Rodríguez Tejerina nacque a Santa Olaja de la Varga, provincia e diocesi di León, il 23 Luglio del 1918. Sua sorella Josefa, religiosa della Sacra Famiglia di Bourdeaux, ci dice: “la condizione socio-economica della mia famiglia era semplce, era quella di chi lavorava nei campi”. Erano dodici fratelli, dei quali sei consacrati: due Cappuccini, due religiose della Sacra Famiglia e due Oblati: Clemente e Miguel. Solo questo datto dà idea della dimensione religiosa della famiglia. Sua madre era una donna molto religiosa e, benché non avesse avuto una grande istruzione, aveva letto molti libri che le procurarono una buona formazione religiosa che cercava di inculcare ai suoi figli.
“Tutte le notti, scrive Maruja, sorella di Clemente, ci riuniva, tutti i fratelli, nella sala da pranzo e pregava offrendo i suoi figli al Sacro Cuore. Inoltre chiedeva la perseveranza di tutti noi. Apparteneva all’associazione delle “Maríe dei Sacrari” e le feste eucaristiche avevano per lei un’importanza molto singolare, tanto da far partecipare tutti noi figli alla preparazione degli altari, curando fino ai più piccoli dettagli, mostrando in tutto ciò un grande amore al Signore.”
In questo calore cassalingo subito Clemente cominciò ad essrre cosciente della propria vocazione. Così, a solo 11 ani esce dalla casa paterna per andare al seminoario minore que gli Oblati avevano a Urnieta (Guipúzcoa). Il 5 Luglio del 1934 cominció il noviziado a Las Arenas (Vizcaya) e fece la sua prima oblazione il 16 Luglio del 1935, giorno emozionante, poichè tutti i neo-professi uscirono piangendo. Lo stesso giorno viaggiarono di notte in treno fino a Pozuelo (Madrid) e, trascorso il tempo delle vacanze in comunità, Clemente cominciò i suoi studi ecclesiastici. Si dedicava con molta serietà alla sua formazione religiosa e intellettuale. Nel carattere era tutto bontà e mansuetudine. Non pestava con rumore, pestava con sicurezza. Era l’uomo buono e servizievole.
Detenzione e martirio
Appena terminato il primo corso, il 16 Luglio del 1936, Clemente rinnovó i suoi voti e sei giorni più tardi, il 22 Luglio, fu rinchiuso con tutta la comunità nel proprio convento e, due giorni dopo, portato con tutti a Madrid, alla Direzione Generale di Sicurezza, per essere rimesso in libertà il giorno successivo.
Dopo essersi rifugiato prima nella casa provinciale e dopo che questa fu confiscata, si trasferì in una pensione. Il 15 ottobre del 1936 fu fermato di nuovo e portato al Carcere Modelo. Là incontra quegli Oblati che non aveva visto dalla fuga da Pozuelo e più in seguito, insieme ai suoi fratelli religiosi, sarà trasportato a San Antón. Da lì fu “portato via” insieme ad altri 12 Oblatos e martirizzato a Paracuellos del Jarama il 28 novembre del 1936. Era il più piccolo del gruppo: aveva solamente 18 anni.
Testimonianze
Clemente, come rimane detto, si rifugiò nella casa provinciale, che fu alla fine conquistata la domenica 9 Agosto. Così descrive il fatto il P. Delfín Monje, miracolosamente liberato mentre lo portavano a fucilarlo:
Alle undici e mezza della matina suonò il campanello della portineria. Un nutrito gruppo di maestri laici, armati di pistole, irruppe nel giardino e c’invitò “cortesemente” ad abbandonare il locale. Come il P. Esteban (Provinciale di Spagna) si lamentò dell’arbitrarietà di quel provvedimento, essendo noi sempre stati cittadini pacifici, essi gli risposero: “Crediamo che voi non abbiate commesso nulla, pero molti preti e frati l’hanno fatto; ed è quello che succede, gli uni pagano per gli altri”. Andando lasciammo i nuovi proprietari occupati nel collocare sul muro di cinta del giardino un enorme panno con questa iscrizione: “Pignorato per il Ministero delle Belle Arti”.
Josefa, la sorela di Clemente, potè visitarlo prima di essere espulsi della casa provinciale. Dalla conversazione con lui, potè dedurre l’interezza e lo spirito di fede che regnava in suo fratello e la sua chiara disposizione al martirio. Ci dice:
Stetti con lui durante alcuni momenti. Ricordo che gli domandai come stava d’animo e mi disse: “Siamo in pericolo e temiamo che ci separino; insieme, ci diamo coraggio gli uni agli altri. Con tutto, se bisogna morire, sono disposto, sicuro che Dio ci darà la forza di cui abbiamo bisogno per essere fedeli”. Queste sono le testuali parole di mio fratello che, pronunciate in quei momenti, non dimenticherò mai. Mentre stavamo parlando, venne il P. Francisco Esteban e mi chiese di andare via subito dato che la comunità si sentiva molto vigilata ed anche io rischiavo per la mia condizione di religiosa. Anche il Provinciale disse: “Qui periamo tutti”.
Sempre Josefa, grazie alla testimonianza di un compagno che stette con lui nella stessa prigione di San Antón, venne a sapere delle condizioni nelle quali fu Clemente:
Mi raccontò che li avevano depositati nella cantina, dove si trovavano le docce della scuola in cattive condizioni, la situazione era che frequentemente stavano coi piedi nell’acqua e che non avevano il minimo spazio vitale per muoversi. Mi diceva anche che non mangiavano tutti i giorni e che, sopra, quando i carcerieri portavano il rancio, si burlavano dei carcerati domandando: “Chi non ha mangiato ieri”? Mi disse anche che tutti quelli che stavano lìerano cattolici, che si univano e pregavano.
La stessa sorella, ignorando il fatto della sua morte, continuò a cercare di visitarlo nella prigione di San Antón. Vediamo come conobbe, dopo molte verifiche, la notizia della morte di Clemente:
L’ultima volta che cercai di vederlo fu a dicembre del 1936. Il miliziano di turno, con malo modo, mi disse di non ritornare là se non volevo rimanerci dentro. Siccome insistetti nel sapere se stava ancora nella prigione, mi rispose che se volevo sapere di Clemente mi dovevo recare alla calle Santa Barbara, al Ministero di Giustizia, e che in una sala enorme con cavalletti e tavole avrei trovate scatole strapiene di schede. Così lo feci e dopo una lunga ricerca, trovai una scheda che testualmente diceva: “Clemente Rodríguez Tejerina, messo in libertà il 28 di novembre del 1936″. Dopo essermi accertata che nessuno mi vedeva, presi la scheda ed andai al Consolato del Cile. Lì mi informarono che tutte le persone che erano state “messe in libertà”, tirandole fuori dalle prigioni, i giorni 27 e 28 novembre del 1936, erano state fucilate immediatamente a Paracuellos del Jarama. Da quel momento pensai che mio fratello era martire, perché egli era sicuro che l’andavano ad ammazzare e che la causa della morte non era altro che quella di essere un religioso.
Fonte:
|
|
www.martiripozuelo.wordpress.com
|
|