Un modello di vita per i giovani del Paraguay
Il 12 luglio 2015, durante l’incontro di papa Francesco con i giovani del Paraguay, la venticinquenne Liz Pretes ha portato la sua testimonianza. Figlia unica, da due anni si prendeva cura della madre, affetta dal morbo di Alzheimer, e della nonna. Anche in questa condizione difficile, però, si sentiva accompagnata dai suoi amici della parrocchia. Durante le sue visite in ospedale si è imbattuta in Chiquitunga, quasi sua coetanea: «La sento vicina e la prendo come modello di vita», ha affermato.
Il fatto è che quest’altra ragazza è morta nel 1959, dopo essere entrata al Carmelo e averci vissuto per appena quattro anni. Nel suo Paese è molto conosciuta, per le grazie che le vengono attribuite ma, soprattutto, per la generosità con cui ha donato al Signore il meglio della sua vita.
I primi anni
María Felicia, questo il suo nome proprio, nacque a Villarrica del Espíritu Santo, capitale del distretto di Guairá, in Paraguay, il 12 gennaio 1925. Era la primogenita dei sette figli di Ramón Guggiari e Arminda Echeverría, benestanti. Fu battezzata nella cattedrale di Villarrica il 28 febbraio 1928. Il soprannome con cui era chiamata in famiglia e col quale sarebbe poi diventata famosa, Chiquitunga, le fu attribuito dal padre per via del suo fisico esile.
A cinque anni fu iscritta al corso pre-scolare della scuola «Maria Ausiliatrice», dove frequentò in seguito le elementari e apprese gli elementi della fede. Quello che imparò si tradusse ben presto nella carità verso i più poveri, come quando regalò un maglione, dono di suo padre, a una bambina infreddolita mentre tornava da scuola.
Un proposito diventato realtà
Dal giorno della sua Prima Comunione fece un passo ulteriore. Come scrisse ricordando quella circostanza: «Da allora viene il mio proposito di essere ogni volta migliore, più buona». Iniziò quindi a visitare ogni giorno Gesù nel Tabernacolo della sua parrocchia o della cappella della scuola, da sola o portando con sé altri bambini, come Amaru, la minore dei suoi fratelli.
Era anche molto affezionata ai genitori, come ricorda sua sorella Magalí: «Per un compleanno di papà cambiò le parole di canzoni famose e diede a ciascuna di noi un foglietto con il nuovo testo da cantare».
Socia di Azione Cattolica
Quando María Felicia ebbe sedici anni, in Paraguay venne restaurata l’Azione Cattolica. Vi aderì entusiasticamente e in parallelo cominciò quello che chiamò “il cammino della perfezione”, attuato mediante la preghiera intima e costante, l’ascesi gioiosa e la dedizione incondizionata verso bambini, giovani, anziani e ammalati, anche se incontrava l’opposizione della famiglia. Due anni dopo la sua adesione, compì la “consacrazione all’apostolato”, ossia il suo solenne impegno a dedicarsi alle attività caritative, cui aggiunse il proposito di verginità.
L’Eucaristia, fonte del suo apostolato
La fonte della sua dedizione era l’Eucaristia, che riceveva quotidianamente. Per dedicarsi in tranquillità agli studi in vista dell’abilitazione all’insegnamento, partecipava alla Messa del mattino, anche se doveva rimanere digiuna, secondo l’uso del tempo.
Per non far preoccupare il padre, che le raccomandava di prendersi cura del suo corpo, adottò uno stratagemma: si alzava prima di tutti, poi sporcava la tazza della colazione e cospargeva di briciole il suo posto a tavola, così da fingere di aver mangiato.
Uno stile sobrio
Il suo contegno esteriore ispirava semplicità: raccoglieva i lunghi capelli scuri in due trecce, non si truccava né indossava scarpe alte. Il suo indumento preferito era un grembiule bianco, per due motivi: le ricordava la necessità di avere un’anima pura e perché un abbigliamento consono alla sua classe sociale rischiava di tenerla lontana dai suoi amati poveri. Unico ornamento, un rametto di gelsomini del Paraguay, caratterizzati da fiori piccoli, ma dal profumo intenso.
Speranza durante la guerra civile
A causa della guerra civile esplosa nel 1947, dovette penare non poco: suo padre e un fratello, Federico, vennero deportati a Posadas, in Argentina. Insorsero anche difficoltà economiche, tanto che casa sua venne ipotecata. Inoltre, ebbe problemi personali per la prosecuzione degli studi: il suo cognome paterno ricordava José Patricio Guggiari, ex presidente della Repubblica ed esponente del partito liberale (in effetti, era sua nipote), quindi le autorità accademiche le erano contrarie.
In tutto questo, non smarrì la speranza, invitando tutti a por fine alla lotta mediante il perdono e la riconciliazione. Alla fine, a causa della persecuzione politica, Ramón Guggiari, tornato dall’esilio, decise il trasferimento della famiglia nella capitale Asunción, compiuto nel febbraio 1950.
Ad Asunción
María Felicia, che aveva da poco raggiunto i venticinque anni, si ambientò in fretta. Per prima cosa aderì all’Azione Cattolica della nuova parrocchia, poi riprese gli studi per essere di sostegno in famiglia: insegnò dapprima nella scuola parrocchiale del Perpetuo Soccorso, nel quartiere di Barrio Obrero, poi in quella tenuta dai padri Redentoristi.
Gli impegni di apostolato si estesero quando venne chiamata ad assumersi responsabilità diocesane, pur senza trascurare i bambini piccoli, che prediligeva, e i prigionieri politici di qualsiasi fazione. Mentre in famiglia continuava ad essere sorridente e disponibile, alimentava la sua fede con le visite al Santissimo, la preghiera notturna e la recita del Rosario con la meditazione completa del quindici misteri.
L’incontro con Ángel Sauá Llanes
Il 23 aprile, pochi mesi dopo il suo arrivo nella capitale, ci fu per lei un incontro importante. Durante un’assemblea di Azione Cattolica nei pressi di Asunción prese la parola il Presidente della sezione Studenti, Ángel Sauá Llanes, laureando in Medicina e figlio di un immigrato musulmano nativo della Siria.
María Felicia intervenne più volte nel dibattito e, ben presto, fece amicizia col giovane. Iniziarono quindi ad andare insieme a prendersi cura degli ammalati, anche perché sarebbe stato pericoloso che una ragazza da sola si avventurasse nei quartieri poveri.
La vocazione di Ángel
Con il passare dei giorni, a Chiquitunga parve di provare un sentimento speciale per l’amico. Intensificò allora la preghiera, domandando continuamente al Signore se fosse nel suo volere che lei si sposasse. La risposta avvenne in maniera sorprendente, per bocca dello stesso Ángel Sauá.
Un giorno di maggio 1951 la prese in disparte e le confidò un segreto: aveva deciso di diventare sacerdote, per espiare le colpe di suo padre, che non voleva convertirsi. Lei, dopo averlo ascoltato attentamente, gli promise che avrebbe mantenuto il segreto e che avrebbe fatto di tutto per aiutarlo a realizzare quel sogno: «Starò al suo fianco – usava dagli del “lei” – giorno e notte, pregando e offrendo la mia vita perché lei possa essere, se Dio lo vuole, un santo sacerdote» e «se non potremo unirci qui sulla terra, ci uniremo un giorno in cielo, alla fine dei tempi».
Una grande amicizia spirituale
Per evitare lo scontro diretto con il signor Manuel, padre del giovane, i due progettarono un piano: una volta conclusi gli studi in Paraguay, Sauá sarebbe andato in Spagna per dei corsi post-laurea e lì avrebbe concretizzato la sua vocazione.
Da parte sua, il padre di María Felicia era convinto che si sarebbero fidanzati e che lui fosse un buon partito, perciò non si oppose più, come faceva a Villarrica, alle uscite caritative. Per sancire la loro offerta, il 1° ottobre, giorno del compleanno di Sauá, lui e l’amica si consacrarono all’Immacolata, compiendo una sorta di matrimonio mistico. Il 10 aprile partì per accompagnare suo padre in Terra Santa e in Siria, poi si diresse alla volta di Madrid.
La vocazione di María Felicia
Chiquitunga gli scrisse molte lettere per incoraggiarlo. Dal canto suo, per dare sfogo alle sue preoccupazioni, iniziò la compilazione di un Diario intimo, anche perché si sentiva incerta sul proprio futuro. Ci volle un nuovo, inatteso incontro perché cominciasse a capire dove Dio la volesse.
Il 20 agosto 1952 si trovò a passare per l’Ospedale Spagnolo di Asunción, dov’era ricoverata madre Teresa Margherita del Sacro Cuore, priora del primo Carmelo paraguayano. Le parlò a lungo e ricevette consigli e incoraggiamenti, tanto da scrivere nel suo diario: «Ho trovato una madre».
Il 16 novembre Sauá le comunicò che sarebbe entrato in Seminario, ma anche lei era decisa a compiere qualche passo in più per discernere. Fece un corso di Esercizi spirituali e, dopo aver attentamente meditato il «Trattato della vera devozione alla Vergine Maria», il 9 settembre 1954 compì la sua consacrazione a Gesù per le mani di Maria, secondo lo schema dell’autore di quel libro, san Luigi Maria Grignion de Montfort.
La rivelazione
Nel frattempo, un mese dopo gli Esercizi, la ragazza dovette rivelare ai parenti che Sauá era in Seminario, durante la festa di fidanzamento di sua cugina Yaya. Tutti furono sconvolti: i genitori la minacciarono di aver infranto i rapporti con la famiglia del giovane.
Invece il padre di lui, furibondo, abbandonò il tetto coniugale, minacciandolo che sarebbe tornato solo se il figlio fosse rientrato anche lui. Alla fine tornò dalla moglie e dai figli la sera del 6 gennaio 1954: agli occhi dei diretti interessati, parve un miracolo, ottenuto dalle loro preghiere.
Nel Carmelo di Asunción
Durante un nuovo periodo di Esercizi, María Felicia prese la ferma decisione di entrare al Carmelo. Trovò di nuovo l’opposizione paterna, a cui si aggiunse quella dei sacerdoti, che vedevano in lei un sostegno utilissimo per l’Azione Cattolica diocesana, ma ormai aveva deciso.
Lei, che poco tempo prima aveva scritto: «Stare tranquilla mi uccide», andava a limitare la propria vita tra le quattro mura di un convento, la cui porta varcò il 2 febbraio 1955. Poco prima di entrare, aveva scritto l’ultima lettera a Sauá, per congedarsi da lui: «Fratello mio, arrivederci all’eternità!». Sapeva di aver trovato un amore ancora più grande, come confidò a una monaca: «Sono innamorata di Sauá, ma ancor più di Gesù».
Una nuova vita
La Priora madre Teresa Margherita riassunse così il comportamento della giovane agli inizi della sua nuova vita: «Grande spirito di sacrificio, carità, generosità», caratterizzato da «grande mansuetudine e gioia comunicativa, sempre vivace e scherzosa».
Eppure, prima della vestizione, fu presa dai dubbi: c’era tanto bisogno di lei nel mondo, quindi non avrebbe dovuto chiuderselo alle spalle. Affidandosi all’intercessione di san Giovanni della Croce, padre dell’Ordine Carmelitano, vinse come lui l’oscurità di quella notte della fede. Con la professione temporanea, il 15 agosto 1956, prese il nome di suor Maria Felicia di Gesù Sacramentato. Tre anni dopo, ormai prossima ai voti perpetui, ricevette una chiamata di ben altro tipo.
La malattia
Il 7 gennaio 1959 morì una sua sorella, soprannominata “Mañica”, affetta da epatite infettiva. Pochi giorni dopo, anche suor Maria Felicia apprese di essere affetta dallo stesso male e venne ricoverata. Il 22 marzo 1959, mercoledì della Settimana Santa, venne dimessa e rientrò in monastero, così da poter partecipare pienamente ai riti del Triduo.
Tuttavia, il Venerdì Santo, il cappellano, nell’atto di darle la Comunione, notò un livido sulla lingua: nel giro di tre giorni, cominciarono a moltiplicarsi macchie di sangue. Il martedì di Pasqua la priora convocò Federico Guggiari, fratello di suor Maria Felicia e medico, che, sgomento, esclamò: «Sono medico e non posso salvare mia sorella!». Le aveva diagnosticato la purpura, segno di un’infezione ormai in atto all’interno del corpo.
La morte
Nuovamente condotta in ospedale, la giovane suora cominciò il suo ultimo tratto di strada, ma senza perdere il sorriso. Nelle otto lettere scritte alla madre priora e alla comunità manifestò continuamente il desiderio di riprendere la vita comunitaria e si firmava “la desterradita” (“la piccola esule”).
Il 28 aprile 1959, alle 4 e 10 del mattino, chiese che le venisse letta la poesia di santa Teresa d’Avila «Muoio perché non muoio». Infine, circondata dai suoi cari, pronunciò le sue ultime parole: «Gesù, ti amo! Che dolce incontro! Vergine Maria!». Aveva trentaquattro anni. Venne sepolta nel cimitero della “Recoleta” ad Asunción, ma dal 28 aprile 1993 riposa nella cappella del Carmelo dove visse per tre anni. Nel 2011, durante la ricognizione dei suoi resti mortali, fu rinvenuto il suo cervello pietrificato: fatto eccezionale, dato che gli organi molli tendono a decomporsi prima degli altri.
La causa di beatificazione fino al decreto sulle virtù eroiche
Il racconto della sua vita e della sua offerta si divulgò in tutto il Paraguay, tanto da portare all’apertura della sua causa di beatificazione. Ottenuto il nulla osta da parte della Santa Sede il 17 luglio 1997, è stata aperta l’inchiesta diocesana presso la diocesi di Asunción, dal 13 dicembre 1997 al 28 aprile 2000, i cui atti sono stati convalidati il 22 febbraio 2002. La “Positio super virtutibus” è stata trasmessa a Roma nel 2004.
Dopo il congresso peculiare dei consultori teologi, il 20 marzo 2009, e il parere affermativo dei cardinali e vescovi membri della Congregazione vaticana per le Cause dei Santi, l’8 febbraio 2010, è stato promulgato il 27 marzo 2010 il decreto, firmato da papa Benedetto XVI, che dichiarava l’eroicità delle sue virtù.
Il miracolo e la beatificazione
Dal 19 aprile 2005 al 27 aprile 2007, presso la diocesi di Asunción, si è svolto il processo su un presunto miracolo attribuito alla sua intercessione, ossia la guarigione di un neonato, Ángel Ramón, venuto alla luce a Ycuamandyjú coi segni dell’asfissia. Dopo circa 30 minuti, a seguito di un’invocazione a suor Maria Felicia rivolta dall’ostetrica Blanca Durante, il piccolo cominciò a respirare.
Il 1° giugno 2017 la Consulta medica della Congregazione delle Cause dei Santi aveva dichiarato l’inspiegabilità scientifica dell’accaduto, mentre il 30 novembre successivo furono i Consultori Teologi a confermare l’intervento di suor Maria Felicia a favore del bambino.
Il 6 marzo 2018, papa Francesco ha riconosciuto il fatto come miracoloso, aprendo la strada alla beatificazione della giovane monaca. La celebrazione si è svolta il 23 giugno 2018, nello Stadio Generale Pablo Rojas del Barrio Obrero di Asunción, presieduta dal cardinal Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, come delegato del Santo Padre.
«Tutto ti offro, Signore!»
«Tutto ti offro, Signore!» fu il motto di suor Maria Felicia, che realmente ed eroicamente ha donato tutta sé stessa per la Chiesa, sia nei poveri sia nei sacerdoti, come sperava diventasse il suo caro amico.
Papa Francesco ai giovani paraguayani ha parlato a braccio, ma nel discorso scritto, riferendosi a Chiquitunga, ha scritto: «Ella, come tanti altri, ci mostra che il cammino delle Beatitudini è un cammino di pienezza, un cammino possibile, reale. Che riempie il cuore. Essi sono i nostri amici e modelli che hanno ormai terminato di giocare in questo “campo”, ma diventano quei giocatori indispensabili che uno osserva per dare il meglio di sé. Essi sono la prova che Gesù non è un “venditore di fumo”, che la sua proposta è di pienezza. Ma, soprattutto, è una proposta di amicizia, di vera amicizia, quell’amicizia di cui tutti abbiamo bisogno».
Autore: Emilia Flocchini
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