Rodallo di Caluso, Torino, 25 settembre 1751 - Castelrosso di Chivasso, Torino, 23 luglio 1816
Nato a Rodallo di Caluso il 25 settembre 1751, fu il primo parroco di Castelrosso, frazione di Chivasso. Rifulse per santità di vita, sapienza e zelo. Di sè dimentico, tutto sacrificò per i suoi parrocchiani. Fu padre amantissimo dei poveri. Resse la parrocchia dall'anno 1752 sino al 1816. Morì in concetto di santità il 23 luglio 1816 all'età di 64 anni.
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Un parroco fondatore che resse la sua parrocchia per ben 34 anni. Un campione di umiltà, esempio di zelo per il suo ministero, che “rifulse per santità di vita e dottrina”. Poche parole per tracciare la grande figura di don Vincenzo Amedeo Actis Dato, che visse a cavallo tra Sei e Settecento, in un piccolo borgo di campagna, non lontano da Torino. La sua memoria è ancora viva, il suo esempio - sebbene limitato al territorio in cui operò - ancora sprona confratelli sacerdoti e numerosi fedeli.
Vincenzo Amedeo nacque il 25 settembre 1751 a Rodallo di Caluso, in un’ottima famiglia di origini veneziane (o forse milanesi), da cui ebbe le solide basi su cui costruirà la sua vita. I familiari avevano in paese un ruolo attivo di amministratori, proprio negli anni in cui si poté portare a compimento la fondazione della parrocchia. Da antiche testimonianze sappiamo che il giovanissimo Vincenzo era predisposto allo studio e alle “cose di Dio”, per le quali si privava del tempo che poteva dedicare allo svago. Era precoce nell’apprendere, tanto che a soli 11 anni si decise di mandarlo ad Ivrea perché venisse istruito da un certo don Carlino. Proseguì quindi gli studi a Chivasso, sotto gli occhi premutosi e amorevoli di uno zio paterno, don Pietro Antonio Actis, e di un certo prof. Caffaro. Vincenzo si formò grazie a validi insegnanti, ma un ruolo fondamentale ricoprì la famiglia, attenta affinché crescesse di animo buono. A soli 16 anni vestì l’abito clericale, su concessione dell’arcivescovo di Torino Francesco Luserna di Rorà, dietro raccomandazione dei suoi maestri che di lui riferirono: “di ottimi costumi adorno e di pietà fornito”. L’arciprete Regis di Caluso si spinse persino a descriverlo come “risplendente di pietà, modestia e studio”.
Il 20 settembre 1767 Vincenzo ricevette l’abito e diede inizio al suo impegno parrocchiale: in settimana si dedicava allo studio, nei giorni di festa attendeva alle funzioni religiose. Un certo don Pansoja, il 18 giugno 1770, scrisse che il giovane “metteva tutto lo studio e lo zelo possibile per il decoro delle varie funzioni sacre”. Finalmente il 23 marzo 1776 venne ordinato prete e poté celebrare la prima Messa, non prima però d’aver seguito quindici giorni di esercizi spirituali.
Novello sacerdote, don Vincenzo dedicò i primi anni di apostolato, in particolare, al ministero della confessione. Erano in tanti, specialmente gente semplice, a cercarlo per riconciliarsi con Dio. Le sue doti però fecero sì che il parroco di Casalborgone, teologo Passera, lo volesse suo coadiutore: don Vincenzo aveva 27 anni. Raggiunse la nuova comunità nel gennaio 1778, dopo aver affrontato un viaggio nel rigore dell’inverno. Ben presto anche a Casalborgone riuscì a conquistare la stima di tutto il paese, molti lo paragonavano per zelo a san Luigi Gonzaga. Quegli anni furono importanti per la sua futura missione: dar vita ad una nuova parrocchia.
In Castelrosso, una frazione di Chivasso, da circa venti anni i fedeli chiedevano con insistenza di avere una parrocchia propria e il momento giunse quando il vescovo eporediese Ottavio Pochettini decise che quel delicato incarico sarebbe stato adeguatamente svolto da don Vincenzo. Lo zelo dei fedeli era ammirabile, pochi anni prima, nel 1758, la piccola chiesa di San Giovanni Battista fu ritenuta inadeguata alle necessità della popolazione e si costruì un nuovo edificio, dipendente però dalla parrocchia di Chivasso. Nel 1782 Castelrosso ebbe ufficialmente il suo primo parroco ma, come alle volte avviene, alcuni abitanti del posto risposero freddamente alla nomina di don Actis. Le virtù e l’umiltà del giovane sacerdote conquistarono pian piano tutti. Negli anni a venire, con sacrificio, mise a disposizione le proprie sostanze per rendere più accogliente la canonica. Si privò anche del necessario per aiutare i parrocchiani; sempre paziente, nessuno lo vide mai in collera.
Lo zelo instancabile logorò il fisico di don Vincenzo che un giorno fu colto da malore mentre celebrava la Messa. Era il 16 maggio 1816. Don Vincenzo, nei giorni seguenti, sostenuto da una invidiabile tranquillità, si preparò alla morte. Dall’8 giugno non riuscì più a raggiungere il confessionale, assalito da una forte febbre. Causa un’embolia celebrare ebbe poi difficoltà nell’uso della parola. Morì il 23 luglio 1816, nelle prime ore del pomeriggio, a soli 64 anni. Molti vennero a pregare davanti alla sua salma e per tre giorni non si poté procedere alla sepoltura. Fu eseguito un ritratto la cui copia moltissime famiglie vollero in casa. Si può affermare che in paese si aveva per il defunto parroco una autentica venerazione. Nel suo atto di morte leggiamo: “…governò il gregge a lui affidato con la più grande pietà, dottrina, largizione di beni e molto assidue amministrazione dei Sacramenti…. A sue spese eresse in parte dalle fondamenta e per il resto restaurò il presbiterio, lavorando giorno e notte per l’edificazione della chiesa parrocchiale”.
Le spoglie mortali di don Actis Dato, con le dovute autorizzazioni, furono tumulate davanti all’altare maggiore della sua parrocchia. A cento anni dalla morte si commemorò la sua figura, constatando quanto vivo fosse ancora il suo ricordo, trasmesso di generazione in generazione. Per decenni si raccontarono al suo riguardo alcuni aneddoti: la carità che aveva nel preparare la minestra ai poveri, alcune guarigioni che ottenne con la preghiera, le orazioni e penitenze per sventare il pericolo di una tempesta e persino la “moltiplicazione” dello zucchero per soccorrere una famiglia indigente.
Nel 1982, anno bicentenario di erezione della parrocchia di Castelrosso, i resti di don Actis furono riesumati e ricollocati presso il nuovo altare realizzato al centro del presbiterio. Anche Rodallo di Caluso volle una “reliquia” del suo benemerito concittadino che fu posta nella chiesa cimiteriale di san Rocco insieme ad un suo ritratto.
Autore: Daniele Bolognini
Note:
Per informazioni:
Parrocchia San Giovanni Battista e San Rocco
Via San Rocco, 1 - Castelrosso
10033 Chivasso (TO)
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