Tarcisio nacque a Trento l’11 luglio 1920, quarto figlio di Mario Candotti e Maria Donati. Le informazioni circa la sua infanzia provengono da un suo resoconto autobiografico, riportato da don Eugenio Pilla nella biografia «Un fiore di Terrasanta», uscita per le Edizioni Paoline nel 1961.
Ricevette il Battesimo pochi giorni dopo la nascita perché si temeva per la sua salute, che sembrava cagionevole come quella della madre. La signora Maria, infatti, morì la sera del Natale 1921, a trentatré anni. Il signor Mario si risposò in seguito con Elvira Lunelli, che trattò sempre con gentilezza i figli del nuovo marito.
La Prima Comunione avvenne quando Tarcisio aveva sette anni: nel ringraziamento, chiese la grazia di diventare “un altro Cristo”. Per sua stessa ammissione, andava a Messa tutti i giorni, ma si comunicava varie volte a settimana. Venne poi il giorno della Cresima, che gli fu amministrata da monsignor Endrici, Arcivescovo-principe di Trento.
Dopo quei giorni importantissimi, trascorse le vacanze dell’estate 1928 in Val di Non, camminando per le valli e rallegrandosi di sentirsi più vicino a Dio. A ciò l’aiutava il nonno, che l’accompagnava a pregare nelle chiese vicine.
Tornato dalle vacanze, si trasferì col padre, la madre acquisita e i fratelli nella periferia di Trento. L’anno dopo, frequentando la quarta elementare, iniziò a essere distratto e non molto diligente: trascorreva il tempo componendo poesie, tanto che in classe venne soprannominato “poetino”. Per questo, alla fine dell’anno, Tarcisio venne bocciato e dovette studiare sodo durante le vacanze, che i Candotti trascorsero vicino al Santuario mariano di Pinè, perché era da poco nato il piccolo Giulio, il quale, nel settembre di quell’anno, morì di malattia.
Ripetuta la quarta e superati gli esami di quinta, Tarcisio manifestò ai parenti il desiderio di entrare tra i Francescani, ma venne respinto: la “mamma” (nel suo racconto, il giovane la chiama così, tra virgolette), allora, gli suggerì di ripetere la quinta per riflettere meglio. Fu in quel periodo che, accompagnato dal padre, prese a frequentare la chiesa retta dai Salesiani nella sua città. In breve, la decisione fu presa: sarebbe diventato uno di loro.
Il 15 settembre 1933, tornato dalle vacanze, il ragazzo pranzò per l’ultima volta in famiglia, poi entrò nel Collegio salesiano. Pian piano si abituò alla nuova vita e si rese presto gradito sia ai compagni sia ai superiori. Il suo desiderio maggiore era partire missionario, precisamente per la Palestina, da dove i novizi scrivevano lettere piene di fervore.
Terminato l’aspirantato nell’estate 1938, Tarcisio colse ogni occasione possibile per strappare, per sé e per i compagni, il permesso di partire. Visto che l’Ispettore del Veneto era contrario, gli aspiranti scrissero direttamente a Torino, da dove ricevettero l’assenso. Anche i Candotti furono d’accordo e lo lasciarono partire il 25 ottobre 1938. Non l’avrebbero mai più rivisto vivo, neppure alla vestizione, che si svolse non a Trento, bensì a Valdocco, nelle “camerette” di don Bosco, il 29 ottobre.
La partenza fu immediata: dopo un primo tratto in motonave da Genova a Haifa e un secondo via terra, Tarcisio e compagni giunsero il 4 novembre al noviziato, che all’epoca aveva sede a Cremisan, non lontano da Betlemme. Il giovane era, come ci si puà aspettare, pieno di buone intenzioni, che, a detta di quanti lo circondavano, concretizzò in un’intensa vita di preghiera e impegnandosi nello studio e nel lavoro manuale in vigna (Cremisan era, ed è tuttora, nota per i suoi vigneti), in base al motto salesiano “Temperanza e lavoro”.
La gioia che provava nel celebrare i misteri della vita di Gesù nei luoghi stessi dove si erano compiuti si esprimeva nelle lettere a casa e nei componimenti scolastici: era infatti dotato di una buona capacità di scrittura, che i professori elogiavano moltissimo. Un’altra dote di cui faceva uso, ma solo per lodare Dio, era il canto: accompagnava con la sua voce sia le funzioni solenni sia i momenti di ricreazione.
il 5 novembre 1939, ad un anno esatto dall’arrivo, Tarcisio, insieme ai compagni, pronunciò la formula dei voti temporanei triennali. Per arrivare preparato a quelli perpetui, stilò una Regola di vita in sette punti, soffermandosi in particolare sui consigli evangelici (fra questi, si concentrò sulla castità) e sulla virtù dell’umiltà.
I giovani novizi sapevano di mirare a una terra provata da conflitti, ma presto si trovarono coinvolti nella seconda guerra mondiale. Sin dalla notte dell’11 giugno 1940, giorno della discesa in guerra dell’Italia, i militari inglesi bloccarono la colonia salesiana e, due giorni dopo, diedero l’ordine di abbandonarla. Il 14 giugno, tutti gli italiani residenti a Cremisan furono trasferiti presso l’Orfanotrofio Sacro Cuore di Betlemme, gestito sempre dai Salesiani, che cambiò nome in “Campo n. 10”.
Pur nel clima bellico, Tarcisio proseguì il suo studentato teologico e trovava consolazione nel pensare, come si usava al tempo, che Gesù era anche lui prigioniero, ma nel Tabernacolo. Terminato il secondo anno di Liceo, però, subì una nuova bocciatura perché era risultato insufficiente in latino e matematica. Fedele alla sua Regola di vita, il giovane la prese come una prova mandata da Dio per verificare la sua pazienza.
Agli esami di riparazione fu promosso, ma nell’iniziare il nuovo anno sembrava stranamente stanco. Il motivo era che soffriva da tempo di dolori al ventre, anche se li dissimulava col suo abituale sorriso. Ricoverato in infermeria, dovette aspettare una settimana l’arrivo di un medico, a causa di alcune complicazioni burocratiche. Si supponeva che ad affliggerlo fosse un’appendicite, che, se trascurata, poteva degenerare in peritonite.
Il mattino del 21 ottobre 1941 il suo Maestro di noviziato, don Eraldo Derossi (che più tardi fu il suo primo biografo), andando a trovarlo, si rese conto che era prossimo alla morte. Finalmente giunse al Campo il dottor Champenois, primario dell’ospedale francese di Betlemme, il quale ordinò che il malato fosse operato d’urgenza. Verso le 20, venne collocato su di una barella, in attesa dell’ambulanza. Il suo aspetto, però, era calmo e sereno.
L’operazione confermò la diagnosi, così i confratelli si prepararono al peggio, moltiplicando allo stesso tempo i turni di preghiera. L’indomani un suo amico, Biasoli, ottenne dal comandante inglese il permesso di andare a trovarlo. Lo vide sereno, da poco raggiunto dalla notizia che suo fratello Silvano avrebbe presto vestito la talare nel Seminario diocesano di Trento.
Dopo essersi confessato, Tarcisio chiese all’amico: «Devo proprio morire, Biasoli?». Al vederlo rattristarsi, aggiunse: «Sono contento, sai, di morire!». La sua gioia aumentò quando ricevette il Viatico e, poco dopo, chiese l’Unzione degli infermi.
Il giovane morì dopo la mezzanotte del 22 ottobre, baciando il Crocifisso e ripetendo a stento, ma sforzandosi di sorridere ancora, le giaculatorie che il sacerdote e Biasioli gli suggerivano. Le ultime parole che l’amico udì furono i nomi di Gesù e Maria, nel tentativo di pronunciare la preghiera «Gesù, Giuseppe e Maria, spiri in pace con voi l’anima mia». Il suo corpo, accompagnato dai confratelli e dai superiori, venne riportato all’Orfanotrofio del Sacro Cuore e sepolto nella cripta sottostante.
Autore: Emilia Flocchini
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