Figlio di Giovanni e Paolina Paganelli, Carlo nacque a Collelungo, all’epoca frazione del comune di San Miniato (dal 1928, di Palaia), in provincia di Pisa, il 27 settembre 1927. Già l’indomani, venne battezzato nella cappellina del paese, dedicata a san Bonagiunta Manetti, uno dei Sette Fondatori dei Servi di Maria; ricevette i nomi di Carlo Giacomo Raffaele Maria.
Appena la madre lo rivide, quando fu portato a casa dopo il Battesimo, vide che sullo zigomo destro aveva una ferita sanguinante, circondata da un livido. Il neonato fu condotto, in fin di vita, da uno zio chirurgo, la cui abilità, unita all’intercessione di santa Teresa di Gesù Bambino, scongiurò il peggio.
Crescendo, Carlo (che per tutti era Carlino) dimostrò una gran vivacità e curiosità, che si esplicava con le classiche domande sui “perché” della vita. La sua attrazione per le cose di Dio era tale che giocava a celebrare Messa con tanto di predica, a cui dovevano assistere quelli di casa.
A tre anni era solito dichiarare: «Mi farò Papa!», almeno finché la madre non gli fece presente che era una mira difficile. «Allora Cardinale?», domandò, ma anche allora gli fu risposto che era una pretesa eccessiva. Infine, dopo una visita col padre al convento carmelitano di Sant’Anna a Genova, pensò che avrebbe voluto entrare lì come semplice frate, dato che gli studi non l’entusiasmavano.
Forse aveva le idee un po’ confuse, perché alla nonna confidò che avrebbe voluto, terminate le elementari, entrare in Seminario, mentre allo zio Dado disse: «Io farò gli studi “diocesani”!». Nell’attesa di capire bene, iniziò a servire la Messa, anche se era così piccolo di statura da arrivare a fatica al Messale. Inoltre, una domenica, tornato da Messa, chiese alla madre un “piacere”: voleva essere iscritto tra i Fanciulli di Azione Cattolica.
I parenti si compiacevano della sua vivacità, ma, quando Carlo si comportava davvero male, riceveva i giusti rimproveri. Una volta rispose alla madre in questo tono: «Sono nato così, ma mi posso far santo!». Ad aiutarlo a correggersi, il sacramento della Penitenza, cui si accostò per la prima volta il 4 aprile 1934.
Qualche volta gli veniva concesso di giocare con i figli dei contadini, cui regalava i suoi giocattoli. Un giorno, mentre la signora Paolina lo osservava intrattenersi con un amico, Gino, lo udì pronunciare, con tono serio, un piccolo discorso sulle realtà ultime.
La vita di Carlo scorse tranquilla, fino al 19 settembre 1934. Quel mattino, si alzò come al solito, andò a Messa e mangiò con molto appetito. Dopo aver giocato, andò in bagno a lavarsi. Mentre la madre lo aiutava, notò una macchia di sangue sull’asciugamano, grande quanto una monetina. Candidamente, il figlio le rispose: «Stanotte io ho sputato sangue!».
Poco dopo, andò col padre in salotto, mentre la madre rimase in casa. Circa dieci minuti dopo, i due ritornarono: il signor Giovanni teneva tra le braccia il bambino, semisvenuto. Dopo averlo posato sul suo letto, notarono che aveva un livido sulla schiena, in corrispondenza del cuore. Improvvisamente, Carlino cominciò a gonfiarsi, poi si alzò ed espettorò del sangue.
La madre mandò subito a cercare dell’acqua di Lourdes, poi si chinò per abbracciarlo. Lui ricambiò e pronunciò, con voce quasi ultraterrena, il nome di Gesù. L’acqua arrivò, ma non si riuscì a fargliela inghiottire: il piccolo aveva già esalato l’ultimo respiro.
Nello sconvolgimento generale, il medico constatò la causa del decesso: una costola rotta gli aveva perforato il cuore. La causa venne fatta ricondurre a un urto che Carlo aveva preso mentre, sotto gli occhi del padre, stava facendo girare una mola per affilare coltelli e forbici.
La cappellina del suo Battesimo, che avrebbe dovuto ospitare anche la sua Prima Comunione, fu invece la sua camera ardente. La sua tomba, nel cimitero di Agliate, venne allestita dagli zii: si trattava di un monumento funebre, simile ad un altare, che ospitava sul retro la figura dipinta di Gesù adolescente. Sul petto, aveva una croce rossa, che indicava con la sinistra, mentre con la destra invitava a leggere la frase: «Sinite parvulos venire ad me: talium enim est regnum Dei» («Lasciate che i bambini vengano a me: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio», cfr. Mc 10, 14). Sullo sfondo, una veduta del paese di Collelungo.
Dopo la pubblicazione dei ricordi della madre, intitolati «Figlio amoroso giglio» (ripubblicati dalle Edizioni Paoline nel 1963, per la collana «Fiori di Cielo»), giunsero numerosissimi attestati di stima verso Carlino Paganelli, il cui nome vive oggi nella scuola dell’infanzia della parrocchia di san Michele Arcangelo a Staffoli, in provincia di Pisa, che i genitori del bambino contribuirono a costruire.
Autore: Emilia Flocchini
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