Angelo Mascherpa nacque il 3 aprile 1878, in un ambiente singolare: l’abbazia di Chiaravalle, di cui i suoi genitori, Pietro Mascherpa e Rosa Sogni, erano custodi. Aveva un fratello maggiore, Emanuele: nato il 5 dicembre 1873, divenne poi un industriale nel settore dell’utensileria e delle macchine utensili e un attento benefattore.
Sin dagli otto anni, fu costretto ad andare a lavorare: tutte le mattine, a piedi o chiedendo un passaggio su qualche carretto, andava da Chiaravalle a Milano. La sua istruzione, perciò, si arrestò alla quinta elementare e, con tutta probabilità, frequentò dei corsi festivi o serali. L’unica difesa che il piccolo aveva contro le compagnie spiacevoli, lungo la strada e sul posto di lavoro, era invocare san Luigi Gonzaga, con la tradizionale preghiera «O Luigi Santo, di angelici costumi adorno...».
Sedicenne, trovò lavoro come operaio meccanico alle fabbriche Breda di Sesto San Giovanni. La paga era buona, il lavoro gli piaceva e i suoi genitori erano entusiasti di lui. Proprio quando la situazione sembrava favorevole, un incidente sul lavoro colpì Angelo: un’infezione gli causò l’amputazione prima del solo piede sinistro, poi di tutta la gamba. Con un’ulteriore operazione, perse anche il braccio sinistro.
Poteva sembrare un uomo a metà, ma il suo ingegno era decisamente vigile. Nei due anni che trascorse in ospedale, tra le operazioni e la riabilitazione, imparò da autodidatta ben cinque lingue, oltre ad alcuni rudimenti di elettrotecnica e di tipografia. La sua fame di cultura, però, gli fece rendere conto che non tutti i testi presenti in ospedale erano validi, anzi: alcuni gli sembravano in grado di contribuire al peggioramento della condizione dei degenti. Angelo aveva ormai deciso: appena dimesso, avrebbe dedicato la sua vita al Signore, per la diffusione di una stampa che non corrompesse le persone, bensì le elevasse.
Tornato alla Breda, ovviamente cambiò mansione, diventando telefonista. Chi lo vedeva nel suo ufficio restava stupito di fronte a come, con una sola mano e una gamba di legno, riuscisse a prendere appunti, ricevere telefonate e muoversi con una certa disinvoltura. Solo Angelo sapeva da dove trarre forza: dall’Eucaristia, che riceveva quotidianamente, e dalla sua adesione al Terz’Ordine di San Francesco, che l’aiutava ad avere uno stile di vita sobrio, ma non pauperistico.
Nel frattempo, non aveva dimenticato la promessa che aveva formulato in ospedale. Il suo primo collaboratore nella diffusione della buona stampa fu Giuseppe Gasparini, aiuto-telefonista, a cui si aggiunsero col tempo altri colleghi. Presto, l’ufficio dei due non bastò più a contenere i soci, quindi le riunioni si spostarono a casa di Angelo, in via San Gregorio 9 a Milano; curiosamente, si trovava proprio di fronte alla sede di «Avanti!», il quotidiano del Partito Socialista Italiano. Quando dovette cambiar casa, andando ad abitare in via Lazzaretto 8, i suoi soci non l’abbandonarono.
Insieme a loro, era convinto che la stampa cattolica non avrebbe dovuto circolare unicamente in canoniche, oratori e seminari, ma uscire per le strade e controbilanciare, se non vincere, quella di ben altra matrice. Eppure, la propaganda doveva cominciare proprio da lì: negli anni tra il 1906 e il 1910, i volontari batterono a tappeto le parrocchie e i circoli cattolici della città, riscuotendo non pochi successi.
Ma Angelo non era tipo da accontentarsi: interpellò il presidente della Federazione dei Circoli Cattolici milanesi, il cavalier Mario Ramelli, e organizzò una riunione per il 30 dicembre 1910, in via Dogana 2. Furono quelli la data e il luogo di nascita del «Comitato Amici della Stampa Cattolica», il cui presidente designato fu proprio Angelo Mascherpa.
Inizialmente, i giornali furono distribuiti gratuitamente o a prezzo ridotto, per aiutare principalmente gli operai. Quando, per forza di cose, si vennero a creare delle carenze nei fondi, fu il presidente stesso a colmarli, attingendo alle sue già magre finanze.
Le prove, tuttavia, non tardarono a manifestarsi: alcuni aggregati del Comitato presero a insultare Angelo sia velatamente sia in maniera diretta, giungendo ad annullare la propria adesione. A causa di questo dispiacere e del lavoro a cui si sottoponeva, oltre a quello in ufficio, ebbe un esaurimento nervoso e venne costretto a riposo in casa. Un giorno chiese a sua madre, che l’accudiva, di partecipare alla Messa e di pregare per lui la Madonna di Pompei, cui era molto devoto. Poco dopo aver formulato quella richiesta, si riprese, del tutto guarito.
Tornò quindi a dedicarsi alla sua opera, ricevendo nel frattempo un aiuto insperato. Nel convento dei Cappuccini di corso Monforte, infatti, era da poco arrivato padre Giocondo da Vaglio, che a Bergamo, sua precedente destinazione, aveva fondato la locale Società della Buona Stampa. Anche nella città di sant’Ambrogio aveva proseguito in quell’ideale, contagiando il gruppo di Terziari di cui aveva preso a occuparsi. Fra di essi c’era un giovane amico di Mascherpa, che, appena ebbe udito il religioso esortare i fedeli circa la stampa cattolica, corse di filato da lui, gli riferì quel discorso e provvide a metterli in contatto.
Saputo che il cappuccino voleva fondare una società analoga a quella di Bergamo, Angelo chiese ed ottenne di poter unire ad essa i suoi collaboratori. La neonata Società milanese della Buona Stampa, quindi, ebbe i suoi primi uffici in via Kramer, presso il convento cappuccino. Nonostante i due andassero d’accordo, si crearono due fazioni tra gli aderenti, a seconda che si preferisse l’operato dell’uno o dell’altro. C’era anche chi dissentiva da entrambi, perché riteneva dannoso il costituirsi della Società.
Padre Giocondo, con una mossa ardita, decise allora di stendere uno Statuto e sottoporlo all’attenzione dell’Arcivescovo, il cardinal Andrea Carlo Ferrari (Beato dal 1987), il quale convocò lui e Mascherpa nel suo ufficio. Approvò lo Statuto e aggiunse al nome la qualifica di “diocesana”, con il preciso mandato di fondare una sezione della Società in ogni parrocchia. Il patrono era stato identificato dal cappuccino in san Paolo Apostolo, in significativa consonanza con quanto, in quegli stessi anni, don Giacomo Alberione (Beato dal 2003) stava compiendo ad Alba.
Angelo, però, non dimenticava i suoi vecchi colleghi operai: per tentare di cristianizzare la festa dei lavoratori, ben prima dell’istituzione della memoria di san Giuseppe Artigiano, fece stampare dei volantini che descrivevano come capitale e lavoro potessero andare d’accordo. Arrivò pure il vessillo ufficiale della Società, dono della contessa Antonietta Isola Stanga.
In mezzo a tante gioie, arrivò da Bergamo la notizia della morte di padre Giocondo, da tempo affetto da tubercolosi. Le sue ultime parole furono: «Stampate, stampate, diffondete...», rivolte a chi gli faceva notare la penuria di carta, dovuta, tra l’altro, all’imperversare della prima guerra mondiale.
Angelo si sentì quindi privato di un grande sostegno, ma non poteva lasciare il lavoro, suo unico mezzo di sostentamento. I suoi capi, dietro sua richiesta, gli ridussero l’orario d’ufficio, così poté dedicarsi ancora più intensamente alla causa che l’animava.
Il conflitto aveva inoltre strappato alla Buona Stampa parecchi giovani propagandisti, ma gli fece sorgere un’idea: intensificare l’intervento da parte delle donne, occupandosi, di persona o tramite membri fidati come la contessa Paolina Albani, pure lei terziaria francescana, della loro formazione. Un’altra categoria di collaboratori erano i cosiddetti “militini”, bambini e ragazzi che consegnavano i volantini e le comunicazioni ai soci, o aiutavano nelle mansioni d’ufficio. Anche le trincee divennero campo di apostolato: con l’ausilio dei buonastampisti che tornavano a casa in occasione dei brevi congedi, vennero diffusi libri, opuscoli e soprattutto fogli volanti, la cui produzione venne finanziata da una vendita benefica.
Sempre in tempo di guerra, sorsero tre nuove iniziative. La prima fu la costituzione del «Riparto Librario», ossia una selezione di letteratura di tutti i generi, seguita da due pubblicazioni: il settimanale «Crociata moderna», prima rivista interamente dedicata alla Buona Stampa, e il «Bollettino parrocchiale», illustrato e a prezzo contenuto.
Proprio a causa di alcuni articoli pubblicati su «Crociata moderna» Angelo ebbe a che fare con le proteste dapprima degli “arditi” reduci della Grande Guerra, poi con i seguaci di Gabriele D’Annunzio. Discusse con loro, ma senza usare toni accesi, lasciandoli meravigliati.
Per due mesi, la Società fu ospitata nella sala da biliardo dell’oratorio della parrocchia di San Francesco di Paola in via Moscova. Quando rischiò di essere assorbita da vari enti, il suo fondatore la difese recandosi personalmente a Roma. Ormai, come amava ripetere, la Buona Stampa era diventata la sua “sposa", tanto che aveva deciso di restare celibe per dedicarsi interamente ad essa.
Finalmente la nuova sede fu trovata, al pian terreno della cosiddetta “Casa Rossa” in corso Venezia 57. L’ingresso avvenne il 29 settembre 1921, ma fu preceduto da un momento di crisi. Nell’annuale congresso della Buona Stampa, si era discusso circa la riforma dello Statuto, nel punto che riguardava la nomina del presidente, di competenza dell’Arcivescovo di Milano. A un suo collaboratore, il commendator Piero Varighi, Mascherpa confidò: «Mi preme solo una cosa, salvare la Buona Stampa. Rinuncio a qualsiasi carica; mi tenga come milite [membro di grado inferiore], ma mi lasci lavorare!». La tempesta passò con l’elezione di un nuovo presidente, mentre lui rimase in qualità di vicepresidente. A sancire il ritorno della calma fu la visita del successore di Ferrari, il cardinal Achille Ratti, che benedisse l’opera.
Ma anche la Casa Rossa dovette essere abbandonata due anni dopo: nella fretta di sistemare le cose, Angelo non aveva steso un regolare contratto d’affitto. La nuova destinazione fu in via San Fedele, oggi via Adalberto Catena, al civico 4. Il 1923, però, portò anche una nuova idea: un pellegrinaggio a Roma, per ringraziare personalmente il cardinal Ratti, da poco diventato papa Pio XI, con trecento buonastampisti.
In realtà Angelo, da qualche tempo, stava iniziando a non sentirsi bene: a volte si sentiva soffocare, altre si stancava tanto da doversi sedere appena giungeva sul luogo di qualche riunione. Solo nel gennaio 1924 manifestò agli amici la sua spossatezza, ma riuscì a recuperare le energie per organizzare, il 20 aprile, una fiera della Buona Stampa, che non andò come sperato: le vendite furono scarsissime. Sconvolto per l’andamento della manifestazione, ebbe un collasso e venne soccorso dai suoi giovani collaboratori.
A fine mese, esaurite le visite, si ritrovò completamente solo. Dopo tre giorni venne a trovarlo l’amico Gasparini, a cui diede una consegna perentoria: «Fa’ ciò che ti dice il cuore». Il medico che lo visitò riscontrò una broncopolmonite con febbre alta.
Venne quindi ricoverato in ospedale, dove presumibilmente ricevette i conforti religiosi. Sabato 3 maggio 1924 sembrò riprendersi: con un filo di voce, salutò i presenti e s’interessò di alcuni affari urgenti della Società. «Ordinate la carta», disse a chi l’interpellava circa l’opportunità di quell’acquisto. «Mezzo vagone?», domandò il suo interlocutore. «No... no... che piccole idee sempre! Un vagone!».
Verso le sei di sera, chiuse gli occhi e tacque per una mezz’ora. Il suo respiro si affievolì, fino a cessare del tutto, mentre la testa si piegò leggermente.
I funerali si svolsero nella chiesa di San Fedele, alla presenza di un gran numero di amici e conoscenti. La salma di Angelo, portata a spalla dai suoi giovani, venne poi seppellita al Campo 1, tomba numero 69, del cimitero milanese di Musocco.
Dieci anni dopo la sua morte, la Società Buona Stampa, divenuta un Segretariato della Giunta Diocesana di Azione Cattolica, pubblicò una sua biografia. Oggi, invece, è un Coordinamento alle dipendenze dell’Ufficio Comunicazioni Sociali dell’Arcidiocesi di Milano, i cui membri riscoprono solo ora la figura del proprio fondatore.
Autore: Emilia Flocchini
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