Dona Francisca, Brasile,25 ottobre 1908 - Feijão Miúdo, Brasile, 21 maggio 1924
Adílio Daronch nacque il 25 ottobre 1908 a Dona Francisca, cittadina dello Stato brasiliano del Rio Grande do Sul. Era il terzo degli otto figli di una coppia di origini italiane, precisamente dell’Agordino. Serio, educato e studioso, amava giocare a calcio e andare a cavallo. Con la famiglia si trasferì a Nonoai, dove divenne allievo della scuola fondata dal parroco, don Manuel Gómez González. Il sacerdote divenne molto amico della sua famiglia e più di una volta venne accompagnato da Adílio, che gli faceva da chierichetto, nei suoi lunghi viaggi pastorali. Fu così anche nel 1924, quando fu inviato in visita ad alcuni coloni brasiliani di origine tedesca nella foresta di Três Passos. Durante il viaggio, però, i due caddero in un’imboscata da parte di alcuni militari, che erano contrari all’azione evangelizzatrice e di promozione umana portata avanti da don Manuel. Lui e Adílio, che aveva sedici anni, vennero legati a due alberi e fucilati il 21 maggio 1924. Sono stati beatificati il 21 ottobre 2007, sotto il pontificato di papa Benedetto XVI. I loro resti mortali sono venerati presso la chieda parrocchiale di Nonoai, mentre la loro memoria liturgica cade il 21 maggio, giorno della loro nascita al Cielo.
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Mi sono, spesso, chiesto quale guadagno non sarebbe per la vita cristiana se l’anelito ardente alla santità neutralizzasse e sostituisse quell’aurea mediocritas che fa adagiare l’anima, troppo spesso, nelle mezze misure e in tanti piccoli compromessi. Quale recupero di vitalità non apporterebbe al nostro evangelizzare, alla nostra fede, al nostro sentirci Chiesa, al nostro essere testimoni credenti e credibili e al nostro appartenere a Cristo l’anelito ardente alla santità.
In un mondo sordo alla voce dell’amore i testimoni della fede ci aiutino a ri-scrivere, se necessario, una nuova antropologia, dove al posto della natura non ci sia la cultura; dove al posto dell’uomo in progress, dell’uomo indistinto, indifferenziato, dell’apolide, del cittadino asessuato, schiavo dell’economia e di questo disastroso nuovo ordine mondiale, ci sia l’uomo pienamente uomo. Intriso di Vangelo. Ci liberano da una questa «cultura libertaria», che è all’origine di questa società delle pulsioni e dell’io; di questa società egoistica e megalomane da cui proviene l’idea di una libertà irresponsabile e senza limiti che mercifica tutto. Per questo vale la pena invocarli ed imitarli.
Questi schizzi biografici presentano alcuni tratti della vita del beato martire Adílio Daronch ucciso in odium fidei insieme col suo parroco Don Emanuele Gómez González. Per quanto riguarda il giovane chierichetto, urge precisare, che i fatti esterni sono scarni e senza grande interesse di cronaca come avviene, normalmente, per un ragazzo di appena sedici anni; di lui, infatti, non sono rimaste tracce documentarie significative, ma i ricordi di due sue sorelle (Carmelinda Daronch Socal e Zolira Daronch Ziani), di altre persone che l’anno conosciuto, così come quello, per esempio, del suo barbaro assassino.
Facciamo un passo indietro: l’Italia è stata interessata dal fenomeno dell’emigrazione soprattutto nei secoli XIX e XX. Il fenomeno ha riguardato dapprima il Settentrione (Piemonte, Veneto e Friuli in particolare) e, dopo l’unità d’Italia verso il 1880, anche il Mezzogiorno (Calabria, Campania e Sicilia). Si trattò di un esodo che toccò tutte le regioni italiane. Tra il 1876 e il 1900 furono quasi nove milioni da tutto il Paese.
Tale fenomeno ebbe come destinazioni soprattutto l’America del sud e gli Stati Uniti. Negli Stati Uniti e in Brasile si caratterizzò prevalentemente come un’emigrazione di lungo periodo. Il Brasile ha oggi la più grande popolazione italiana fuori dall’Italia. Il picco massimo dell’emigrazione italiana in Brasile si ebbe tra il 1880 e il 1920. Furono le grandi “fazendas” la meta di agricoltori e braccianti italiani; in questi luoghi si lavorava la canna da zucchero ma sopratutto il caffè. Il lavoro era abbastanza duro. Non sono state poche, a tal proposito, le sofferenze in un ambiente abbastanza estraneo.
L’Agordino, infatti, poi, si è caratterizzato per una storica e massiccia emigrazione; in particolare l’emigrazione di molti nel Sud America. Il Brasile è stato, poi, certamente il paese che ne ha accolto il maggior numero.
Sebastiano Daronch, nonno del beato, e Francesca Schena, nonna del piccolo Adílio, con i figli Luigi, Vincenzo, Giovanna Maria e Pietro (padre di Adílio), arrivarono in Brasile, nel gennaio, 1890, con la nave “Europa” all’Isola dei Fiori (Rio de Janeiro) e venne loro assegnato il lotto 519 della Linea 11, Nucleo Soturno dell’ex colonia Silveira Martins, località nella quale Francesca Schena si distinse come una brava ostetrica.
Pietro, il padre del nostro beato, all’età di 18 anni, si traferì a Dona Francisca (distante 30 km), per lavorare come apprendista calzolaio e sellaio. Il 15 gennaio 1905, contrasse matrimonio con Judithe (Ida) Segabinazzi, sestogenita dei coniugi Felippe e Praxedes Girardi (Giordani), nata il 2 febbraio 1884 a Silveira Martins. La cerimonia nuziale si svolse a Soturno e venne officiata dal parroco, P. Guido Spiesbenger, pallottino, e con testimoni Fiorenzo Dellamena e João Custódio Neto.
La coppia si stabilì a Dona Francisca. Ebbero tre figli, Herminia, Abílio e il nostro Adílio. Alcuni, anni dopo, però, la famiglia si trasferì a Passo Fundo, dove nacque Zolmira, ed inseguito si spostarono a Nonoai dove vennero alla luce Carmelinda, Annita, João e Vilma. Il padre del nostro piccolo beato morirà a Marcelino Ramos, il 5 maggio 1923, durante uno scontro armato tra opposte fazioni, la madre invece, morirà a Dona Francisca il 23 marzo 1932.
Adílio era un giovane serio, devoto e tranquillo. La sua vita era già stata segnata dalla morte del padre, e di conseguenza dall’incombere di quei problemi che investono, in situazioni simile, tutto il nucleo famigliare.
La sorella Zolmira ricorda che amava il calcio e andare a cavallo. Ne possedeva uno a cui era molto legato e che gli piaceva molto. Era un giovinetto educato e disciplinato, molto studioso. La stessa sorella, in una lettera a Don Arlindo Rubert annota: «[…]la mamma ci insegnò sempre la retta via, fino ali ultimi momenti della sua vita ci diceva: “Essere poveri non è difetto, poveri ma onesti”».
Adílio accompagnava volentieri, con gli amici João Marcondes Lajus, detto Nené Lajus, e Marco, Don Emanuele, nelle sue visite, servendo con piacere la Santa Messa. La famiglia di Adílio sia per la sua onestà che il suo spirito caritatevole era molto apprezzata e stimata.
Don Emanuele ricorse spesso ai buoni servigi della famiglia Daronch e mantenne con la stessa una sincera amicizia. Quando il sacerdote fondò la scuola, i figli di Pietro e Giuditta, furono suoi allievi, come pure alunni di catechismo. Fu, infatti, Don Emanuele a prepararli ai sacramenti. Adílio fece con lui la prima comunione.
Il clima famigliare era alquanto armonioso: la mamma aveva gran cura della famiglia, animava i figli allo studio e nella catechesi. I contatti del beato parroco con la famiglia Daronch si intensificarono maggiormente dopo la morte del padre di Adílio: lo zelante parroco prese a cuore la situazione non facile della famiglia.
Proprio per questa confidenza e per questo affetto, Giuditta, la mamma del piccolo chierichetto, acconsentì che il figlio accompagnasse don Emanuele in quel lungo viaggio durante il quale doveva visitare alcune comunità lontane affidate alla sua cura pastorale.
La viva testimonianza dei beati Don Emanuele Gómez González ed Adílio Daronch, sacerdote e chierichetto uccisi in odium fidei, in Brasile, il 21 maggio 1924 ci ricordano che la «la fede cristiana è – si potrebbe dire – una fede ostinata: ogni volta che s’imbatte con la morte proclama che la morte non ha l’ultima parola. E questo lo crediamo, lo affermiamo e vorremmo annunziarlo al mondo, perché sappiamo che c’è già stata una prima vittoria della vita sulla morte: nella risurrezione di Gesù Cristo» (cit. Sofia Cavalletti).
Adílio, nella sua semplicità ha esemplificare agli occhi della Chiesa e del mondo un’adolescenza riuscita, ovvero una figura dell’umano giovanile totalmente risolta nella forma del dono. Ha delineato in che modo possa e debba essere realizzata pienamente anche da parte di un ragazzo la logica pasquale che è il cuore del cristianesimo e la chiave dell’antropologia. Amare e donare si realizzano nell’offrire se stessi nelle mani di Dio come un canale attraverso il quale Gesù fa conoscere il suo amore al mondo. Sia anche per noi, così!
Autore: Andrea Maniglia
Note:
Per approfondire:
Andrea Maniglia, «Come Melograni! Beati Don Emanuele Gómez González e Adilio Daronch Martiri di Cristo», Tau Editrice 2016.
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