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Peterhof, Russia, 18 giugno 1901 – Ekaterinburg, Russia, 17 luglio 1918
La granduchessa di Russia Anastasia Nikolaevna Romanov fu la quarta figlia femmina consecutiva nata dall’unione tra lo zar Nicola II Alexandrovich Romanov ed Alexandra Fedorovna. Alla sua nascita tutta la famiglia, genitori inclusi, furono alquanto contraddetti per l’ennesimo occasione persa di avere un erede maschio. Uno dei tanti significati del suo nome è “colei che spezza le catene” o “colei che apre le prigioni”, poiché per celebrare la sua nascita, il sovrano suo padre zar donò l'amnistia a tutti gli studenti che erano stati imprigionati per aver partecipato ai moti di protesta di San Pietroburgo e Mosca l'inverno precedente. Anche fu trucidata con l’intera famiglia dai bolscevichi il 17 luglio 1918, ma voci su una possibile sopravvivenza della granduchessa sono continuate per decenni, sino all'effettuazione dei test del DNA nel 1994 sui corpi rinvenuti ad Ekaterinburg. I risultati delle analisi appurarono che effettivamente si trattava dei resti dei Romanov, sebbene mancassero all’appello i corpi di Alessio e di una delle sorelle, probabilmente quello di Anastasia. E’ probabile che in seguito all’esecuzione fossero stati dati alle fiamme. La canonizzazione della famiglia imperiale, non quali veri e propri martiri, bensì annoverati tra “coloro che subirono la Passione”, è avvenuta il 19 ottobre 1981 ad opera della Chiesa Ortodossa Russa all’Estero ed infine il 15 agosto 2000 da parte del Patriarcato di Mosca.
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Nacque a Peterhof il 18 giugno 1901. Era la quartogenita degli Zar di tutte le Russie. I genitori, quando venne alla luce, erano piuttosto contrariati di avere una quarta figlia femmina; tuttavia, per celebrarne la nascita, l’Imperatore concesse l’amnistia a tutti gli studenti che erano stati incarcerati per aver partecipato ai moti di protesta di San Pietroburgo e Mosca l’inverno precedente. Proprio da questo fatto proviene il nome Anastasija, che significa «colei che rompe le catene», ma anche «risurrezione» (termine più volte ripreso nella questione della sua presunta sopravvivenza all’esecuzione della sua famiglia). I suoi soprannomi erano: Malenkaya, che significa «quella piccola» o «shvibzik», ovvero «monella». Infatti era di temperamento allegro e impertinente, la più vivace dell’intimo nucleo familiare di Nikolaj II. Molto legata al padre, al quale somigliava nei lineamenti del volto e nel carattere, aveva occhi azzurri e capelli color biondo ramato. Una governante, Margaretta Eagar, la descrisse come la bambina più carismatica che avesse mai visto.
Come gli altri figli dell’Imperatore, studiò in casa. La formazione iniziò all’età di otto anni e comprendeva le lingue francese, inglese e tedesca, storia, geografia, legge di Dio, scienza, arte, grammatica (che non sopportava), aritmetica, musica, danza. Come le sue sorelle fu allevata nel modo più sobrio e umile possibile. Per esempio, dormivano con brandine prive di cuscini, facevano un bagno freddo la mattina e uno caldo la sera, dove aggiungevano qualche goccia di profumo Coty, il preferito di Anastasia era quello alle violette. Se da piccole erano lavate con dei secchi dalla servitù, da grandi dovevano fare da sole. Le proprie camere erano personalmente messe in ordine. Quando non erano occupate, ricamavano oggetti da vendere in beneficenza. La domenica si vestivano elegantemente per i riti liturgici; mentre indossavano un abbigliamento speciale per giocare a palla con la loro zia, la duchessa Ol’ga, sorella di Nikolaj II. Anastasia era particolarmente cara alla zia, che dopo la sua morte dichiarò che le sembrava di sentire ancora la sua risata nella stanza.
Anastasia era cresciuta come una bambina vivace ed energica, acuta e brillante, come hanno confermato i suoi tutori Pierre Gilliard e Sydney Gibbes: non era particolarmente interessata alle lezioni, ma era intelligente e sapeva coprire le lacune con la recitazione. Era l’unica, come raccontano le testimonianze, a far sorridere le riservate sorelle maggiori Ol’ga e Tat’jana. Era però anche dispettosa: faceva scherzi ai servitori, a volte alzava le mani con i compagni di gioco e una volta tirò una palla di neve con un sasso all’interno alla sorella Tat’jana.
Cagionevole di salute, era affetta da dolori alla schiena ed era portatrice del gene dell’emofilia, con conseguenti disturbi della coagulazione del sangue. Insieme a Maria formava la «coppia piccola» e come la «coppia grande», formata dalle due sorelle maggiori, condividevano stanza, vestiti e confidenze. Crescendo, comunque, la coesione fra le quattro sorelle, si fece più intensa.
Anche Anastasija fu ingannata e spiritualmente rapita da Rasputin, al quale scrisse anche delle lettere. Quando venne dichiarata la guerra pianse. Durante la guerra una parte del palazzo imperiale fu adibito ad ospedale, dove trovarono ricovero i feriti. La Zarina e le figlie fecero da infermiere, mentre Anastasija e Marija, troppo giovani, divennero patrone dell’ospedale stesso: offrivano il proprio denaro per comprare medicine; leggevano ad alta voce per i feriti; lavoravano a maglia per loro; giocavano con loro a carte e dama; scrivevano sotto dettatura le loro lettere per la famiglia; cucivano indumenti, bende e fasciature. E a malincuore, con Marija, si allontanava perché richiamate allo studio.
Nel 1916 Anastasija scrisse: «Oggi ero seduta accanto a un nostro soldato, gli ho insegnato a leggere e gli è piaciuto molto […] Ha cominciato ad imparare a leggere e a scrivere qui in ospedale. Due sono morti in un incidente e ieri eravamo sedute accanto a loro».
Autore: Cristina Siccardi
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