Figlia di una famiglia amante della bellezza
Olga Pérez-Monteserín Núñez nacque a Parigi il 13 marzo 1913. Era figlia di Demetrio Pérez-Monteserín y González Blanco, pittore, e Carmen Núñez Goy, discendenti di autorevoli famiglie della città di Astorga; fu preceduta dal fratello Eduardo e seguita dalla sorella Raquel Bertha.
Venne battezzata il 5 luglio 1913 nella chiesa parigina di San Francesco Saverio, coi nomi di Paz Asunción Carmen Olga. A sette anni si trasferì definitivamente con la famiglia ad Astorga, località a cui suo padre era rimasto molto legato.
I suoi familiari erano cattolici, ma non molto religiosi. In compenso, educarono i figli stimolandoli alla conoscenza dell’arte e della bellezza. Olga divenne presto una ragazza gioiosa, ottimista e sorridente, come frutto dell’educazione ricevuta.
Infermiera volontaria
Dopo lo scoppio della guerra civile spagnola, con l’aumentare del numero dei feriti e dei morti, il presidente della Croce Rossa di Astorga chiese di poter avviare un corso per infermiere, che cominciò a metà del mese di agosto.
Olga s’iscrisse insieme alla sua amica María Pilar Gullón Yturriaga, alla sorella di lei, María del Carmen, e a Octavia Iglesias Blanco, loro cugina di secondo grado. Tutte erano mosse dal desiderio di soccorrere e confortare quanti, a causa della guerra, erano in situazioni di bisogno.
Al fronte
A settembre, appena ebbero concluso il corso e svolto le necessarie esercitazioni pratiche, le giovani furono pronte per rendersi utili sul campo di battaglia. L’8 ottobre 1936, Pilar, Octavia e Olga arrivarono nelle Asturie, incaricate del soccorso ai feriti nel piccolo ospedale di Somiedo, a centoventi chilometri da Astorga: era in un luogo d’importanza strategica, perché si trovava sul confine tra le Asturie, sotto il controllo repubblicano, e León, sottoposto all’Esercito nazionale. Inoltre, vi passava la strada che univa Ponferrada con le Asturie.
Nell’ospedale erano curati feriti dell’una e dell’altra fazione, senza distinzione. Le squadre delle infermiere avevano turni di otto giorni; tuttavia, al termine del loro primo turno, Olga e le altre rimasero volontariamente, senza essere sostituite.
L’attacco all’ospedale
Intanto, il 23 di agosto, l’Esercito nazionale aveva occupato Puerto de Somiedo, mentre i miliziani si erano collocati a Pola de Somiedo, a dodici chilometri di distanza. Il 22 ottobre diedero l’assalto, conquistando Puerto de Somiedo nella notte tra il 26 e il 27, quindi occuparono militarmente l’ospedale. Né il medico né Olga e le amiche, pur avendo la possibilità di scappare, scelsero di farlo, per non abbandonare i pazienti e assisterli fino alla fine.
Appena i miliziani arrivarono, fucilarono i soldati feriti. Altri ventuno riuscirono a fuggire, mentre i rimanenti, circa settanta, insieme al medico e alle tre infermiere, furono arrestati. I capi e i soldati catturati vennero portati a Gijón e assegnati al Dipartimento di Guerra del Comitato Provinciale del Fronte Popolare, mentre i comandanti militari, il cappellano, il medico e le infermiere vennero condotti a piedi a Pola de Somiedo, per essere consegnati al Comitato di Guerra.
Presso il Comitato di Pola vennero fucilati alcuni superiori militari dell’Esercito nazionale, in modo sommario. Vennero anche assassinati il cappellano don Pío Fernández e, presso il ponte Uriz, fuori città, il dottor Luis Viñuela e un altro prigioniero, i cui cadaveri vennero poi bruciati ed esposti come monito.
Una notte di torture e di preghiere
Olga, Pilar e Octavia vennero invece condotte nella casa del medico del luogo e consegnate ai miliziani, che le torturarono e le violentarono per tutta la notte. Intanto un’automobile, sulla quale era stato posto il cadavere del cappellano, girava intorno all’abitazione, in modo tale che, col rumore prodotto, si coprissero le grida delle infermiere.
Sin dal primo momento fu chiaro che le tre donne erano cristiane, anzi, inizialmente vennero scambiate per delle religiose. Alcune persone, infatti, andavano spesso a visitarle, chiedendo delle “tre suore”. La sentinella, indicandole, rispondeva: «Sono qui a pregare».
In quanto infermiere della Croce Rossa, era evidente che fossero al di sopra delle parti. A suscitare invece l’ira dei miliziani era che manifestassero apertamente la propria fede, perché pregavano e avevano con sé oggetti religiosi.
Per questo cercarono di far loro rinnegare Dio e la Patria, ma risposero: «Per Dio e per la Spagna si muore una volta sola». Gli stessi miliziani trattarono per intercedere a loro favore, sempre se avessero abbandonato le loro convinzioni, ma esse non lo fecero.
Il martirio
Il 28 ottobre 1936, verso mezzogiorno, le tre infermiere vennero condotte al luogo dell’esecuzione, un prato appena fuori città. Tre miliziane pretesero che i condannati passassero attraverso la città in quest’ordine: alle estremità i due falangisti, al centro del gruppo Pilar e, ai suoi fianchi, Ottavia e Olga.
I falangisti vennero fucilati per primi: appena caddero privi di vita, le infermiere vennero di nuovo sottoposte a pressioni, ma senza risultato. Le miliziane cercarono di obbligarle a gridare: «Viva la Russia», ma loro replicarono: «Viva Cristo Re» e «Viva la Spagna». Gli spari successivi furono diretti a Olga e a Octavia: Pilar, che era rimasta in piedi, fu trascinata a terra dalla loro caduta.
Le miliziane si spartirono quindi i loro vestiti, dei quali erano state spogliate in precedenza. I cadaveri rimasero abbandonati per un giorno intero sul luogo dell’esecuzione; vennero seppelliti nottetempo in una fossa comune scavata da alcuni abitanti del posto, obbligati a farlo dai miliziani.
La ricaduta sull’opinione pubblica
La notizia della morte delle infermiere circolò immediatamente: era la prima volta che tre esponenti della Croce Rossa venivano uccise in Europa, per di più da donne come loro e dopo aver subito violenza.
La Croce Rossa spagnola, insieme alla Croce Rossa internazionale, insistette presso il Governo perché venisse fatta giustizia. Il 10 febbraio 1937 emersero i primi dettagli sulla loro morte. Si dovette però aspettare il 30 gennaio 1938 perché i corpi venissero riesumati.
Il giorno seguente ottennero sepoltura privilegiata nella cattedrale di Astorga, dopo i solenni funerali presieduti dal vescovo monsignor Antonio Senso Lázaro, alla presenza di numerose associazioni cattoliche e non confessionali, capeggiate queste ultime dalla Croce Rossa. Il 28 giugno 1948 ebbero nuova sistemazione, sempre all’interno della cattedrale, precisamente nella cappella di San Giovanni Battista.
Demetrio, il padre di Olga, espresse la propria sofferenza per la morte della figlia, ventitreenne, in un dipinto intitolato «Il Volto Santo del dolore più grande», conservato presso il convento redentorista di Astorga.
La fama di martirio e la causa di beatificazione e canonizzazione
Olga e le sue compagne vennero subito circondate da fama di martirio. Tuttavia, la loro causa di beatificazione e canonizzazione non fu avviata prima del 2005, anno in cui, il 30 novembre, venne concesso il nulla osta. Il processo diocesano si svolse quindi dal 24 marzo 2006 al 15 marzo 2007 presso la diocesi di Astorga.
Ottenuta la convalida giuridica il 4 giugno 2009, venne preparata la “Positio super martyrio”, consegnata nel 2016. La causa passò quindi ai Consultori Storici della Congregazione delle Cause dei Santi, che l’esaminarono il 9 febbraio 2016. Il 23 ottobre 2018 si svolse il Congresso Peculiare dei Consultori Teologi, seguito, il 2 giugno 2019, dalla Plenaria dei cardinali e dei vescovi membri della Congregazione delle Cause dei Santi.
La beatificazione
L’11 giugno 2019, ricevendo in udienza il cardinal Angelo Becciu, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, papa Francesco autorizzò la promulgazione del decreto con cui Olga e compagne venivano dichiarate martiri.
La loro beatificazione si svolse quindi il 29 maggio 2021 presso la cattedrale di Astorga, presieduta dal cardinal Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, come delegato del Santo Padre.
Autore: Emilia Flocchini
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