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Sacra Cintola Venerata a Prato

Festa: .

La Sacra Cintola, chiamata anche Sacro Cingolo, è considerata la cintura della Madonna ed è la reliquia più preziosa di Prato, fulcro della religiosità cittadina. È custodita nell'omonima cappella del Duomo e l'8 settembre, Natività di Maria, viene esposta con particolare solennità durante il Corteggio Storico. La Sacra Cintola è una sottile striscia (lunga 87 centimetri) di lana finissima di capra, di color verdolino, broccata in filo d'oro, gli estremi sono nascosti da una nappa su un lato e da una piegatura sul lato opposto (tenute da un nastrino in taffetà verde smeraldo), che la tradizione vuole che appartenesse alla Vergine Maria, che la diede a San Tommaso come prova della sua Assunzione in cielo. La cintola è un bene di tutta la città di Prato da quando nel 1348, si è stabilito che fosse di proprietà per 2/3 del Comune e per 1/3 della Diocesi, tre infatti sono le chiavi per aprire la custodia sotto l'altare: due detenute dal Comune ed una dalla Diocesi. La reliquia è ancora conservata nella Cappella del Sacro Cingolo, affrescata interamente da Agnolo Gaddi con le Storia di Maria Vergine e della Cintola stessa. Sopra l'altare settecentesco dove viene conservata la reliquia è collocata la piccola ed elegante statua della Madonna col Bambino, opera di Giovanni Pisano (1301).



È il simbolo religioso e civile di Prato. La Sacra Cintola, o Sacro Cingolo, è conservata nella cappella omonima della basilica cattedrale di Santo Stefano. La sottile striscia di lana – quasi un presagio per una città che sul tessile ha costruito la sua fortuna – è appunto la cintura che, secondo antiche tradizioni, la Vergine donò a san Tommaso al momento della sua assunzione.
Questo prezioso simbolo di unione tra cielo e terra, tra l’umano e il divino, ha costituito per secoli non solo il fulcro della religiosità pratese, ma anche l’elemento simbolico-devozionale che ha connotato la “pratesità”, giustificando e sostenendo le istanze di autonomia in campo civile, oltre che religioso, di Prato nei confronti delle vicine città di Firenze e Pistoia.

La reliquia
Numerose notizie storiche attestano fino dai primi secoli dell’Era cristiana la presenza di cinture della Vergine in varie chiese (le principali a Costantinopoli e Gerusalemme), probabilmente alla base di moltissime reliquie presenti in città europee. In nessuno di questi luoghi, però, la devozione per la reliquia ha avuto l’intensità e durata, e soprattutto un radicamento così profondo, come nel caso di Prato. Qui, infatti, la sacra Cintola assunse subito un importantissimo ruolo, civile e religioso, come il tesoro più prezioso della collettività.
Questo femminile, umanissimo oggetto, capace di evocare lo stretto legame tra la realtà terrena e l’aspirazione all’eternità, da circa otto secoli ha costituito il fulcro della religiosità, ma anche l’elemento simbolico-devozionale capace di tenere unito il territorio pratese e di sostenerne le esigenze di autonomia in campo religioso e civile nei confronti di Firenze e Pistoia, in un complesso intreccio di fede, devozione, storia e tradizione.
La Cintola è una sottile striscia (lunga 87 centimetri) di lana finissima di capra, di color verdolino, broccata in filo d’oro. È possibile che sia una reliquia derivata dalla perduta Cintura venerata a Gerusalemme già nel VI secolo, e che sia stata ottenuta mettendola a contatto con quella (secondo una pratica assai diffusa nel medioevo) oppure (col procedimento definito di immistione) ne potrebbe contenere piccole parti.
Come per molte altre reliquie di notevole venerazione, non è essenziale l’autenticità storica della Cintola, che poco può aggiungere al valore di fondo della reliquia, discendente dal suo rapporto con Maria, Madre di Dio e Madre della Chiesa. Il sacro Cingolo è da sempre un mezzo per cercare un contatto spirituale con la Vergine, e sottolinea il legame profondo dei pratesi verso Maria.

Storia e storie della Cintola
La Storia della Cintola trae origine da antiche tradizioni del V-VI secolo; vi si narra che un angelo annunciò alla Vergine la morte, tre giorni prima dell’evento, e subito portò presso di lei da località diverse, prodigiosamente, tutti gli apostoli, escluso san Tommaso. Essi assitettero la Vergine fino al suo trapasso [da Museo, Niccolò del Mercia, Dormitio], quindi ne trasportarono il corpo nella valle di Giosafat e lo posero in un sepolcro chiuso da una grossa pietra. Subito dopo gli apostoli furono accecati da una forte luce, e nello stesso momento san Tommaso venne portato prodigiosamente dall’India sul Monte degli Ulivi. Di qui egli vide, dentro una luminosissima nube, la Vergine che veniva assunta in Cielo: la invocò e la Madonna gli gettò la propria cintura, in segno di benevolenza e a testimonianza dell’evento miracoloso.
La tradizione pratese (le cui versioni più antiche risalgono probabilmente al Duecento, basate su racconti tramandati oralmente) prosegue il racconto, riferendo che san Tommaso lasciò la Cintola ad un sacerdote, perché fosse venerata in una chiesa da costruire in onore della Madonna. Per timore dei Giudei, però, l’edificio non fu mai edificato, e per secoli la reliquia venne tramandata dai discendenti del sacerdote.
Intorno al 1140 Michele, un devoto pratese di modeste condizioni (la tradizione lo dice pellicciaio), giunse in pellegrinaggio a Gerusalemme, dove si innamorò di una fanciulla, Maria. La sposò in segreto all’insaputa del padre di lei, un sacerdote di rito orientale, e dovette perciò fuggire, dopo aver ricevuto in dono dalla madre di Maria un canestrino di giunchi marini che conteneva la reliquia .
Michele, tornato per nave in Italia, quindi a Prato nel 1141, non fece parola con nessuno della Cintura, e solo in punto di morte – intorno al 1172 – la donò a Uberto , proposto della pieve di Santo Stefano, svelandogliene l’origine. Le storie narrano poi dei dubbi del proposto e del prodigioso manifestarsi della reliquia, portata infine nella Pieve e esposta da allora alla venerazione del popolo.

Spostamenti e furti della reliquia
I documenti attestano che, almeno dalla metà del Duecento, il sacro Cingolo era conservato di fianco all’altar maggiore (in un apposito altare, almeno dal 1292). Le ostensioni pubbliche della reliquia erano regolate dagli Statuti del Comune (al quale spettavano parte delle chiavi necessarie per estrarla dall’altare), e si tenevano per Pasqua e l’8 settembre, Natività della Vergine. Solo più tardi si aggiunsero le ostensioni per Natale, quindi quella del primo maggio, infine il 15 agosto. Dalla fine del Duecento al 1336 il Comune, con imponenti demolizioni, realizzò la vasta piazza davanti alla chiesa, destinata a accogliere i pellegrini.
Nel 1312 ebbe luogo un tentativo di furto della reliquia, ad opera di Giovanni di Landetto detto Musciattino, che fu duramente punito col taglio delle mani e il rogo, sul Bisenzio. Dopo questo evento fu deciso di dare sistemazione più sicura alla reliquia, e si avviarono i vasti lavori per la realizzazione del transetto gotico della chiesa, conclusi solo intorno al 1365. Nel frattempo però, con un colpo di mano popolare sostenuto dal Comune, nel 1346 il sacro Cingolo era stato spostato dal coro, portandolo in un altare provvisorio in fondo chiesa; da allora le abbondanti rendite derivanti da lasciti e donazioni alla reliquia furono amministrate dall’Opera della Cintola (con reggenti eletti dal Comune).
Superate le controversie col proposto, l’Opera raccolse in breve la somma necessaria per sistemare definitivamente la reliquia in una nuova cappella, realizzata tra il 1386 e il 1390 vicina all’ingresso, e ornata nel 1392-95 dallo splendido ciclo di affreschi di Agnolo Gaddi con Storie di Maria e la Storia della Cintola. Il 4 aprile 1395 la reliquia venne trasferita nel nuovo altare (parte delle chiavi necessarie per estrarla erano conservate – coma avviene ancora oggi – dal Comune).
In base allo stesso progetto venne più tardi completata anche la nuova facciata, e realizzati infine il pulpito esterno di Donatello e Michelozzo, e il terrazzo interno, di Maso di Bartolomeo, destinati unicamente alle ostensioni della Cintola.
La Cintola fu conservata inizialmente in uno scrigno di avorio, poi nella splendida Cappella (1447 circa) di Maso di Bartolomeo. La reliquia, conservata piegata, veniva svolta e mostrata dal proposto, con le mani guantate, durante le ostensioni; per proteggerla maggiormente nel 1638 fu realizzato l’attuale reliquiario in cristallo di rocca.

Il culto per la Cintola
Fin dalle origini – ma soprattutto dal Cinque-Seicento – oltre che nelle ostensioni solenni la Cintola fu spesso mostrata a papi, prelati, principi o personaggi della corte (la tradizione accenna anche alla presenza di san Francesco; sicuramente la venerò san Bernardino), ma fu anche esposta in caso di epidemie, maltempo, siccità, per supplicare l’aiuto della Madonna.
Se il culto popolare si mantenne fortissimo, la devozione della corte fiorentina diminuì notevolmente nel granducato lorenese; Pietro Leopoldo a fine Settecento riteneva il culto della Cintola una superstizione, e con lui concordava il vescovo di Pistoia e Prato Scipione dei Ricci. Ma bastò il sospetto che il vescovo volesse far demolire l’altare della Cintola a provocare nel 1787 un grave tumulto popolare; pochi anni dopo il Ricci si dimise dal suo incarico.
Nel corso dell’Ottocento non mancarono ostensioni straordinarie per ospiti illustri (Pio VII, Pio IX), e anche dopo l’Unità di Italia non venne meno il concorso dei magistrati cittadini alle ostensioni pubbliche, fino alla frattura del 1901, quando l’amministrazione pubblica, di sinistra, rifiutò di presenziarvi, e nel 1904 rese le chiavi dell’altare alla chiesa (le richiese solo nel 1931, dopo i Patti Lateranensi).
Ma ancora nel Novecento la religiosità pratese che si esprimeva nella pietà popolare è stata incentrata sulla sacra Cintola, come mostrano i due congressi mariani diocesani (1937, 1949), la grande processione del 1945, al termine della II Guerra mondiale, la Peregrinatio Mariae del 1949 o le recenti celebrazioni dell’anno mariano (1988), del 1995 (VI centenario della traslazione della Cintola nell’attuale cappella), del grande Giubileo del 2000, fino alle celebrazioni (2003-2004) per il 350° dell’istituzione della Diocesi di Prato, che sottolineano la persistente capacità della Cintola di legare, di stringere la comunità pratese alla Vergine, evidenziando il legame ancora saldo tra valori e simboli della storia civile e della tradizione religiosa pratese.

La Cappella della Cintola – Gli affreschi
Appena entrati in Cattedrale, la prima campata della navata sinistra è occupata dalla Cappella della Cintola, che sporge dal fianco della chiesa romanica, e fu realizzata nel 1386-90 su progetto di Lorenzo di Filippo, capomaestro del Duomo di Firenze, per collocarvi la Sacra Cintola (1395).
La cappella è coperta da due alte volte a crociera con costoloni, sorrette da eleganti peducci dorati, ed è interamente affrescata con Storie della Vergine e della Sacra Cintola, ciclo di sorprendente unità figurativa dipinto nel 1392-95 da Agnolo Gaddi (circa 1350-1396) e dalla sua bottega.
Dotato di una tecnica perfetta, il Gaddi riesce a ricreare narrazioni chiare, ricche di episodi e godibili nei particolari, dai colori luminosi e suggestivi. Le scene corali, piene di figure, assumono ritmi pacati, con felici note di paesaggio e quinte architettoniche. Le storie mariane appaiono più semplici, solide, con frequenti richiami alle stesse scene dipinte da Giotto, Taddeo Gaddi – padre di Agnolo – e ai cicli pittorici in Santa Croce a Firenze. Sono invece più libere e originali le composizioni della Storia della Cintola.
Le volte sono decorate con i Dottori della Chiesa e gli Evangelisti, mentre le storie della Vergine iniziano dalla lunetta verso la navata centrale e da quelle sulla parete occidentale, con la Cacciata di Giovacchino dal Tempio e l’Angelo che gli annuncia la prossima nascita di Maria (che mostrano un robusto plasticismo di ascendenza giottesca), l’Incontro presso la Porta Aurea e la Natività della Vergine (lunette della parete ovest).
Nel registro mediano della stessa parete iniziano le storie della Madonna: l’Andata al Tempio e il Matrimonio della Vergine, ricco di figure e di vivaci episodi rituali (come quello dei pretendenti delusi che spezzano il ramo loro assegnato, rimasto secco a differenza di quello di Giuseppe, rifiorito, o il tradizionale pugno augurale battuto sulla spalla di Giuseppe da un pretendente deluso); e inferiormente l’Annunciazione (una delle scene più equilibrate e maestose) e la Natività, con scene connesse (l’Annuncio ai pastori è uno dei primi “notturni” della pittura italiana).
La testata settentrionale, diversamente dalle altre, inizia dal basso la narrazione con un’ampia scena che presenta la morte della Madonna – la Dormitio Virginis – , semidistrutta dall’apertura nel ‘600 dell’armadio delle reliquie, che ha danneggiato anche l’Assunta che dà la Cintola a San Tommaso (bellissima la figura della Vergine, dal colore terso e luminoso); nella lunetta è affrescata l’Incoronazione della Vergine (composizione tradizionale ma nella parte centrale equilibratissima, dal tocco leggero e morbido).
La parete orientale è invece dedicata interamente alla Storia della Cintola. Nella prima lunetta sono San Tommaso che consegna la Cintola ad un sacerdote, e il Matrimonio di Michele e Maria, in Terrasanta; nell’altra la Nave con i due giovani di ritorno in Italia (composizione dinamica e maestosa, che si inserisce perfettamente nella lunetta, con un efficace gioco di curve e controcurve).
Nel registro di mezzo è il Ritorno di Michele a Prato, con una celebre, sintetica veduta della città (riconoscibili le mura con la Porta Fiorentina e il ponte Mercatale, sul Bisenzio, e all’interno l’edificio religioso e quello civile più importanti: la Pieve di Santo Stefano, riconoscibile dal campanile, e il Palazzo Pretorio, col torrione angolare che crollò nel 1532). Di fianco è Michele posto da due angeli ai piedi della cassapanca nella quale conservava la reliquia, dormendovi sopra con poca riverenza; la scena inferiore raffigura Michele che consegna la Cintola al proposto Uberto, mentre una processione porta la reliquia nella pieve di Santo Stefano – purtroppo l’immagine della chiesa fu distrutta dall’apertura della mostra per l’organo, nel 1454.

La Cappella della Cintola – Altare, Madonna del Pisano e cancellata
Al centro della cappella, isolato, è il bell’altare settecentesco, in marmi pregiati e argento, del 1745-60. Il gradino concavo in argento crea uno spazio convergente verso la statuetta in marmo bianco della Madonna col Bambino, uno dei maggiori capolavori di Giovanni Pisano, di esecuzione essenziale ma estremamente raffinata: la Vergine è avvolta in un ampio mantello le cui pieghe dense e nervose tolgono consistenza alla figura, creando un moto ascendente, quasi una spirale compressa che trova sfogo e conclusione nel colloquio di sguardi tra la Madre e il Bambino – motivo caro a Giovanni Pisano – . La statuetta, che raffigura probabilmente un’incoronazione della Vergine, venne realizzata nel 1300 circa per il precedente altare della Cintola, e pensata forse in posizione isolata, come mostrano le innumerevoli vedute, diversificate e dinamiche, che la caratterizzano.
Il paliotto dell’altare è costituito da un pregevole rilievo in bronzo dal modellato energico e sintetico, raffigurante la Dormitio Virginis, realizzato nel 1983 da Emilio Greco (1913-1995): la Vergine appare addormentata nel temporaneo sonno della morte, ed è sostenuta da Fede, Speranza e Carità, virtù delle quali Maria è esempio perfetto.
La cappella, nei due lati verso la chiesa, è racchiusa da una splendida cancellata in bronzo, vero capolavoro rinascimentale, su progetto di Maso di Bartolomeo (1438-42), proseguita da Antonio di Cola e conclusa da Pasquino da Montepulciano nel 1468.
Maso rivitalizza il motivo del quadrilobo gotico, arricchendolo di spunti naturalistici (le gemme, serti di alloro, cinghiette. L’abile fonditore eseguì anche il primo fregio sulla sinistra con un solenne, carnoso stelo ondulato con puttini. Il fregio opposto , accanto alla colonna, mostra invece forme leggere e aggraziate, di gusto ghibertiano, ed è opera di Antonio di Cola. Forme più taglienti, con richiami al Verrocchio, mostra infine il fregio orizzontale con palmette e candelieri, di Pasquino.

Il Tesoro della Reliquia
Oltre alle opere d’arte che si riferiscono alle storie della Cintola, presso la Cattedrale di Prato si conservano molti oggetti, spesso di altissima qualità, direttamente legati alla reliquia. Per primi i reliquiari della Cintola: il più antico conservato è la Capsella (1447 ca) di Maso di Bartolomeo, collaboratore di Donatello (esposta nel Museo dell’Opera del Duomo). Il prezioso scrigno in rame dorato, osso e corno, rielabora il motivo donatelliano della danza di putti all’interno di un tempietto, e si caratterizza per la completa, precocissima assenza di elementi gotici e per il respiro monumentale – nonostante le dimensioni contenute – che ne fanno un capolavoro, non solo a livello di oreficeria. La capsella fu sostituita nel 1633 da un reliquiario in argento, poi usato come contenitore del nuovo reliquiario in cristallo di rocca, argento dorato e smalti, opera raffinatissima eseguita a Milano nel 1638, e ancora contenuta, come il reliquiario del 1633, nell’altare della cappella.
Nel Museo dell’Opera del Duomo si conserva un Guanto in seta, cinquecentesco, utilizzato per l’ostensione della reliquia, insieme a vari oggetti del corredo della Cappella della Cintola: una coppia di turiboli del 1689, due navicelle settecentesche, un bel messale (1745) con leggio (1750, trasformato nel 1849), una Pace del 1632, e due corone settecentesche per la statua di Giovanni Pisano, presentata in copia nel Museo con vesti ottocentesche.
Infatti gli antichi inventari descrivono almeno dalla metà del Trecento le vesti (talvolta ricostruibili ) che venivano poste sulla statua. Tale uso durò fino alla prima metà del XX secolo, e ancora restano interessanti mantelline e “dalmatiche” del ‘600-‘800.

La Cintola nell’area Pratese
La più antica opera pratese conservata che faccia riferimento alla reliquia è una Assunta che dà la Cintola a Tommaso, miniatura degli inizi del XIV secolo, forse della bottega di Pacino di Buonaguida, in un antifonario dell’Archivio del Capitolo. Degli affreschi dipinti da Bettino nel 1313 in Cattedrale, a ricordo del furto dell’anno precedente, non restano che tracce, mentre si è conservata, proveniente dalla stessa chiesa (ora nelle raccolte del Museo Civico), la deliziosa predella con la Storia della Cintola, parte della dispersa pala dipinta nel 1337-38 dal fiorentino Bernardo Daddi. I sette episodi (Gli apostoli intorno al sepolcro vuoto della Vergine; San Tommaso e gli apostoli consegnano ad un sacerdote la Cintura; Michele da Prato sposa in segreto Maria; Michele ha in dono dalla madre di Maria la Cintola; Il ritorno per mare di Michele e Maria; Michele, che dorme sulla cassa contenente la reliquia, è posto ai piedi di questa da due angeli; Michele, in punto di morte, consegna la Cintola al proposto Uberto si caratterizzano per la piacevolissima e vivace vena narrativa ed il colore brillante, con inflessioni gotiche di gusto senese.
La storia della Cintola è narrata anche nel ciclo di affreschi di Agnolo Gaddi per la Cappella della Cintola (link a sezione precedente), nel 1392-95, con tecnica perfetta e narrazioni ricche di particolari. Alcune scene erano state riproposte anche nei rilievi in marmo bianco eseguiti nel 1355-60 dal senese Niccolò del Mercia per un pulpito esterno e per il corrispondente parapetto interno alla chiesa, dai quali mostrare la Cintola ai pellegrini raccolti nella piazza e nella Pieve. Le due scene principali raffigurano l’Assunta che dà la Cintola a San Tommaso , e la Dormitio Virginis (gli apostoli intorno alla salma della Vergine), mentre le due minori rappresentano San Tommaso che consegna la Cintola a un sacerdote, e l’Incoronazione della Vergine (rimasto incompiuto). Nei vivaci rilievi le figure, pur realizzate su un unico piano, sono rese pittoricamente più mosse e vibranti grazie allo scavo profondo del marmo, che crea netti contrasti di luce.
Alcuni eventi prodigiosi narrati nelle più antiche storie della Cintola furono dipinti nella seconda metà del Cinquecento nella cappellina della residenza dei proposti (attuale Palazzo Vescovile) di fianco alla Cattedrale. Tali decorazioni, assai deperite, sono state recentemente recuperate; nella stessa cappellina è anche una tela di Domenico Frilli Croci, del 1608, con il Beato Franco da Pistoia che mostra il sacro Cingolo, opera accurata e vivace nella materia levigata e compatta delle figure, con ricordi del Passignano e del Cigoli.
Una simile scena con l’Ostensione come avveniva prima della sistemazione della Cintola nel reliquiario in cristallo di rocca (1638), è descritta in modo ancor più fedele in un dipinto di Giovan Pietro Naldini (1630 ca.), in collezione privata. La Cintola è mostrata ai fedeli dal proposto (Filippo Salviati), che la sostiene con guanti di seta. Nella cappella, parata di tessuti pregiati, trovano posto i magistrati del Comune e i sacerdoti del Capitolo.
Molte sono, infine, le opere pratesi che presentano l’Assunta che dà la Cintola a san Tommaso: in Cattedrale la lunetta nella vetrata della cappella maggiore, eseguita nel 1459 su disegno di Filippo Lippi; un rilievo di Antonio del Rossellino per il pulpito interno (1470 ca.) e la bella tavola di Ridolfo Ghirlandaio (1508) nel terrazzo interno in controfacciata, opera dai colori intensi e luminosi, con ricordi di Fra Bartolomeo, Perugino e Raffaello giovane (nel felice rapporto tra figure e paesaggio).
Nel territorio pratese ricordiamo l’Assunta affrescata nel coro di San Niccolò a Prato da Pietro di Miniato (1415 circa), quella del Museo Civico, commissionata a Filippo Lippi intorno al 1456 dal monastero di Santa Margherita ed eseguita dalla bottega negli anni seguenti, e ancora le pale dello Stradano nella pieve di San Giovanni a Montemurlo (1590) e di Santi di Tito, del 1600, per l’oratorio dei Vivorati sul Cantaccio (nella Galleria di Palazzo degli Alberti). Il motivo dell’Assunta che dà la Cintola è riproposto, infine, anche sul retro di una notevole croce processionale in argento, del primo Seicento, conservata nel Museo di Pittura Murale in S. Domenico.


Fonte:
www.diocesiprato.it

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Aggiunto/modificato il 2021-09-09

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