Lucia Solidoro nacque a Gallipoli il 10 febbraio 1910, neppure un mese era trascorso da quel 16 gennaio quando avvenne nel monastero gallipolino delle Carmelitane il miracolo di S. Teresa di Gesù Bambino che valse alla Santa l’onore degli altari. La casa di Lucia e il Carmelo erano collegati dal reticolo di stradine che caratterizzano l’antico centro storico della cittadina ionica. Lucia venne alla luce in una famiglia modesta, padre pescatore e madre sarta, all’ombra della Parrocchia di San Francesco d’Assisi. La povera abitazione era sulla Riviera Bartolomeo Diaz. Visse sin dai primi anni assimilando una Fede robusta e genuina che la condusse ad aderire al Terz’Ordine Francescano, ad impegnarsi come catechista e nel coro parrocchiale, distinguendosi per una condotta di vita semplice ed esemplare. Le sue doti umane e spirituali divennero ben presto note a molti compaesani. L’associazionismo cattolico era presente da tempi remoti in città, come testimoniano le belle chiese delle confraternite che si affacciano sul lungomare cittadino, e Lucia entrò nella Gioventù Femminile di Azione Cattolica e tra le “Dame” della Pia Opera dei Giovedì Eucaristici.
Dedicava le proprie giornate alla numerosa famiglia che negli anni venne colpita da gravi lutti. Era precisa, umile, col sorriso sulle labbra e una parola buona per tutti, visita e confortava gli infermi. Amava pregare a lungo in ginocchio in chiesa, con un’immobilità del corpo che era “slancio interiore”. Lunghe ore trascorreva davanti al tabernacolo, il venerdì, in particolare, digiunava. Aveva 19 anni quando, nel giorno dell’Immacolata, decise di fare voto di castità. Era una ragazza dolce e sorridente, con una bella voce e un ardente zelo religioso. Ogni venerdì faceva digiuno assoluto, portando quanto poteva prendere dalla sua mensa, a poveri e a malati. Può sembrare l’esistenza di una delle tante semplici donne sue contemporanee, intessuta di sacrifici, eppure Lucia ha lasciato una testimonianza straordinaria. L’anima pura di Lucia suscitò la gelosia del diavolo che la tormentò in vari modi, come scrisse in alcune lettere al padre confessore. Spesso il demonio la privò persino del sonno, non venne mai meno, però, il suo coraggio e anzi aumentò in lei il desiderio di una totale donazione a Cristo. Il tutto sempre coperto dal velo del silenzio. Sembrava una vita normale la sua, ma doveva invece sopportare molte sofferenze e, come si seppe dopo morte, sottoponeva il proprio corpo a penitenze per mezzo di cilici. Anche nel letto metteva frammenti di legna appuntiti. Non le era sufficiente dedicare quanto più tempo poteva alle orazioni, volle pure mortificare la carne per allontanarsi da pensieri mondani. Il parroco don Salvatore Siciliano conservò dopo la morte di Lucia gli strumenti di penitenza – oggi esposti in una teca in S. Francesco - e fu prezioso testimone della sua “santa” vita. Un Giovedì Santo, durante l’Adorazione in chiesa, si manifestarono improvvisi i sintomi della tisi, malattia a quei tempi assai diffusa. Lucia offrì la sua sofferenza a Cristo senza lamentarsi e anzi si presentò al parroco per dirgli, col sorriso sulle labbra: “Gesù ha esaudito le mie preghiere. Aveva intravisto che la salvezza della sua anima poteva realizzarsi con la sofferenza, guardando alla Passione di Cristo. Tante volte aveva osservato nella sua chiesa la statua, già nota come il Malladrone, il peccatore che crocifisso a fianco di Cristo non aveva voluto convertirsi. I peccatori ostinati erano certo per lei motivo di sofferenza.
Negli ultimi mesi di vita riuscì a dormire poche ore per notte, tormentata dai dolori della malattia. Intensificò preghiere e penitenze e prese l’abitudine di indossare un abito nero di sacco. Col passare del tempo fu costretta a trascorrere lunghe ore a letto, quel letto in cui accolse il canonico Giovanni Pepe che le amministrò il sacramento dell’Unzione degli infermi. Ebbe fino all’ultimo la certezza che avrebbe raggiunto Cristo, il suo Sposo Divino.
La mattina in cui morì chiese al padre le condizioni del tempo e questi, da esperto pescatore, le disse che quel giorno non sarebbe piovuto. Lucia gli rispose che quella sera sarebbe caduta su Gallipoli una gran pioggia, e così fu. Guardando il mare dalla finestra della sua modesta stanza, invocando il Crocifisso, pronunciò ancora: “Gesù mio, ti amo, ti amo…”, poi spirò. Era il 18 settembre 1933 e già quel giorno cominciarono i prodigi. Una donna intenta a preparare una corona di fiori per il feretro, avvertì intorno a sé come un volo di uccelli e un suono d’arpa. Si spaventò, poi capì che era l’anima di Lucia. Un’anziana carmelitana del Monastero di Santa Teresa disse: “Vi posso testimoniare che era un’anima eletta, una santa che ora è sicuramente in paradiso e prega e veglia su Gallipoli”. Il vescovo Gaetano Muller, che la conobbe, scrisse: “Fu sin che visse un purissimo giglio di castità virginale sbocciato e coltivato fra acerbissime spine di inaudite sofferenze, di sfibrante lavoro domestico, di penitenze e mortificazioni continue…”. Alle esequie partecipò tutta la città, a pochi giorni dalla morte il presule compose una preghiera in suo onore e concesse 50 giorni di indulgenza, sollecitando quanti conobbero Lucia a dare immediata testimonianza delle sue virtù.
La fama della “Santina di Gallipoli” non si spense, anzi molti iniziarono a chiederle grazie. La tomba nel cimitero cittadino spontaneamente si trasformò in altare: appare così anche oggi, adorna di fiori, piante e ceri. Si posseggono ben 127 lettere, scritte sino ai nostri giorni e conservate nell’archivio della parrocchia che «Parlano di grazie chieste e ricevute, invocano Lucia in momenti particolari, diverse lettere in cui Lucia appare in sogno». Provengono da varie località del Salento, ma anche da Bari, Taranto, Pescara, da Piemonte, Marche, Lazio, Sicilia, Lucania, Abruzzo. Spicca un evento miracoloso avvenuto nel 1976 in California (Stati Uniti), nel porto di Los Angeles: un gallipolino fu l’unico a salvarsi dall’esplosione di una petroliera su cui era imbarcato. Raccontò d’aver invocato l’aiuto della “santina” di Gallipoli.
La vita semplice, ma allo stesso tempo straordinaria, di Lucia nel 1995 ha ispirato un’opera teatrale ed è stata poi raccontata in una biografia nel 2012. Oggi è allo studio di una commissione per valutare l’apertura della causa di beatificazione.
Preghiera scritta il 4 ottobre 1934 da Mons. Muller, Vescovo di Gallipoli:
“Signore Iddio, ammirabile nella gloria ed onore di che coronaste i S.S. vostri e che avete le orecchie sempre aperte alle loro preghiere, che anzi siete corona loro ed abbondanti messe di gloria raccoglieste in essi, ascoltate l’umile preghiera che vi rivolgiamo per l’intercessione della nostra protettrice S. Agata, glorificate la Serva vostra Lucia, nostra dilettissima indimenticabile concittadina, perché siate Voi glorificato in lei e nei frutti di santificazione che i suoi ammirabili esempi produrranno.
Fu sin che visse un purissimo giglio di castità verginale sbocciato e coltivato fra acerbissime spine di inaudite sofferenze, di sfibrante lavoro domestico, di penitenze e mortificazioni continue; fate che il profumo soave del suo giglio verginale si spanda ed effonda sulla nostra cittadina da trarre molti al suo odore soave e rendere pura e casta la gioventù.
Fu una vera vittima d’amore immolata, consumata alla gloria vostra e per la conversione dei peccatori; fate che il fuoco divampante di questa carità, accenda molti cuori, che essi pure come vittima si immolino alla gloria vostra e plachino l’ira vostra.
Glorificate la Serva vostra e per la sua intercessione santificatici, siate in lei e per lei la luce delle menti nostre, il calore dei nostri cuori”.
E subito dopo:
“Concedo 50 giorni d’indulgenza in forma Ecclesiae consueta a chi devotamente recita la predetta preghiera. Gallipoli, 4 ottobre 1934. Gaetano Muller Vescovo di Gallipoli e Nardò”.
In calce un auspicio ed un invito:
“Sperando che s’inizi il processo canonico si pregano tutti coloro che ricevono grazie e favori di darne notizia al Parroco di S. Francesco d’Assisi – Gallipoli (Lecce)
Autore: Daniele Bolognini
Note:
Per maggiori informazioni:
Don Gigi De Rosa
Via Milelli, 6
73014 Gallipoli
dongigi.derosa@gmail.com
|