L’episcopato di Niceta, vescovo di Aquileia (455?-485?), viene dai Cataloghi episcopali attribuito ad anni che seguono un vescovo di nome Secondo, il quale probabilmente assistette del tutto impotente alla devastazione della città di Aquileia ad opera di Attila e dei suoi Unni (18 luglio 452), anche se il Chronicon Altinate colloca quel disastro proprio al tempo di Niceta All’episcopato di Niceta dovette seguire quello di un Marcelliano, che dovrebbe aver retto la Chiesa di Aquileia fino al 504.
Il nome di Niceta compare in una lettera inviata da papa Leone Magno il 21 marzo 458 (Regressus ad nos): dalla stessa lettera si ricava che nel 447 era vescovo di Aquileia un Gennaro). La lettera del papa era indirizzata al vescovo metropolita della provincia della “Venetia” e consigliava, tra l’altro, al vescovo di Altino di attenersi alle disposizioni del suo metropolita. Il vescovo di Aquileia esercitava già da qualche decennio la sua autorità su una provincia ecclesiastica molto vasta che non coincideva verso occidente con la provincia della “Venetia et Histria” ma si estendeva ben oltre le Alpi, fino al Danubio. Le risposte di papa Leone Magno riguardavano esigenze imposte dalle deportazioni patite dalla popolazione a seguito dell’incursione attilana ma anche da altre situazioni derivate dal sopravvenire di genti non cristiane o di genti ariane, probabilmente gote. La distruzione di Aquileia, descritta da Giordane in termini molto chiari («Invadunt civitatem, spoliant, dividunt vastantque crudeliter ita ut vix eius vestigia ut appareant reliquerunt»), aveva lasciato conseguenze gravissime di varia natura, ma soprattutto morali e giuridiche, a cui il papa suggerì di far fronte adeguatamente. C’erano mogli che si erano risposate, avendo creduto morto il marito a lungo prigioniero, ma l’indissolubilità del matrimonio imponeva che, se il marito fosse ritornato a casa, venisse dichiarato nullo il secondo matrimonio e la coppia si ricostituisse. C’erano poi dei cattolici che avevano partecipato a banchetti idolatri e altri che si erano fatti battezzare dagli eretici: la paura da cui erano derivati questi comportamenti poteva giustificarli e perciò venne consigliata indulgenza, a patto che ci fosse il pentimento; in ogni caso non si dovevano ribattezzare coloro che non erano stati battezzati prima della prigionia, ma si sarebbero dovuti confermare.
Non è dato di sapere se Niceta sia ritornato presto nell’Aquileia distrutta. La tradizione vuole che avesse trovato rifugio a Grado, il che è quanto mai ragionevole anche perché consta che vi fu avviata, ma non completata, la costruzione di una basilica, che doveva servire da cattedrale e che si dice appunto nicetiana: l’impianto sarebbe stato ripreso e perfezionato in modo più aggiornato da Elia negli anni che precedettero il sinodo del 3 novembre 579. I provvedimenti e i consigli per le necessità d’ordine legale, morale e sociale che traspaiono dalla lettera di Leone Magno fanno capire che pochi anni dopo il 452 era in atto una certa ripresa anche ad Aquileia, dove i danni agli edifici richiesero interventi nella basilica postteodoriana meridionale o cromaziana, e l’abbandono definitivo della post-teodoriana settentrionale o fortunazianea. Gli interventi urbanistici e architettonici più importanti furono completati però appena attorno al 550, per iniziativa del generale Narsete.
Niceta di Aquileia fu più tardi venerato come santo e confuso con Niceta da Remesiana (335-414) e gli furono attribuite opere che non sono del vescovo di Aquileia, come l’Explanatio simboli e frammenti di tre libri Ad competentes.
Fonte:
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