Nell’estate del 2008 doveva andare in Camerun con un gruppo di giovani dell’oratorio. Si presentò così: «Ciao! Sono Claudia, ho 32 anni e quest’estate ne avrò 33 (la vecchietta del gruppo!). Sono medico anestesista, quindi lavoro in prevalenza in sala operatoria e nelle urgenze. Ho sempre pensato che un giorno, neanche tanto lontano, sarei “partita”. A dire la verità ho fatto medicina proprio per questo. Sognavo grandi viaggi, grandi avventure in terre lontane e di poter dare tanto, ma a un “prossimo” generico che non riuscivo neanche a immaginare. Questa volta c’è una differenza importante rispetto alle altre volte: mi hanno chiesto di partire, non è un’iniziativa partita da me. Che questa volta la chiamata di Dio sia diversa? Non so bene cosa aspettarmi. Mi piacerebbe tanto incontrare le persone: non solo i bambini, anche gli adulti. Capire come vivono, come lavorano e tirano avanti, come vivono in famiglia. Soprattutto io parto per tornare: per riportare qui a casa, nella “mia missione”, quello che avrò visto e sentito e imparato in Africa. Se poi ci saranno nuove chiamate non lo so: ma per ora la mia missione è qui, e voglio affrontarla con gli orizzonti più aperti possibile. Per finire riassumo le mie “capacità”: sono un medico (dovrei ricordare qualcosa di medicina generale, le medicazioni le so più o meno fare, a fare iniezioni sono bravissima!), suono la chitarra, canto e faccio cantare, un po’ di animazione ai bambini dovrei ricordarmi come si fa se mi tocca farla, uso abbastanza il computer, parlo italiano, abbastanza inglese, un po’ di spagnolo e il francese lo imparerò! Ferie permettendo, spero di conoscervi presto e di mangiare presto gli ananas migliori del mondo!» Il 5 maggio scoprì il linfoma. Era il suo Getsemani. Non partì, ma decise di prendere il crocifisso durante il mandato missionario in Basilica di Maria Ausiliatrice e cominciare a vivere la sua esperienza missionaria tra le corsie dell’ospedale facendo la chemioterapia. Sempre disponibile, sorridente, piena di speranza. Il Signore non era stato avaro di doni con lei. Aveva una bella famiglia, un carattere solare, una intelligenza vivacissima, la capacità di legare con tutti. Una collega dell’ospedale testimonia: «Noi abbiamo avuto la fortuna di condividere e dividere con Claudia un mestiere tanto importante, mestiere che lei viveva come una missione di fede. La sua sensibilità e la sua comprensione del dolore facevano sì che si ponesse con i pazienti con umanità, pazienza e dolcezza, le stesse qualità che contraddistinguevano il suo modo di interagire con noi. Oltre al vuoto incolmabile per la perdita di un medico e un’amica così speciale, Claudia ci lascia un grande esempio di forza, fede, generosità, comprensione e amore per gli altri. Sia nella sua vita sia nella sua professione, ci ha insegnato a non lasciare nulla di scontato e a guardare sempre tutte le piccole cose che ci circondano». Come medico conosceva l’evoluzione della sua malattia, ma comunicò a tutti la sua giovanile e festosa volontà di guarigione. Rassicurava tutti, parlava della sua malattia “come missione”. Scrisse: «La mia vita ora dipende dagli altri. Già tante volte ho avuto bisogno di trasfusioni di globuli rossi e piastrine. Ogni volta ho ringraziato e pregato in silenzio per quei donatori che, senza far rumore, senza mettersi in mostra, semplicemente erano andati a donare il loro sangue, plasma, piastrine. Quante volte quando lavoravo ho richiesto derivati del sangue per pazienti gravi, traumi, emorragie. Ora tocca a me ricevere». Aveva un segreto, custodito gelosamente come qualcosa di prezioso. Claudia si era consacrata a Dio con la professione dei Consigli evangelici nell’Istituto secolare salesiano delle Volontarie Don Bosco. A dicembre avrebbe fatto i voti perpetui. «Se sto bene a dicembre si fa la festa a Valdocco sui luoghi delle Prime Sorelle VDB. Non sarebbe meraviglioso? Anche se la festa mia non è scontata, mai ho smesso di cantare, anche se qualche salmo è triste. Dio mi ama e un giorno saprò il perché di quello che mi sta capitando» scrisse alla Responsabile. Preparò le letture bibliche e i canti per la festa della sua definitiva consacrazione a Dio. Furono quelli usati per il suo funerale. «Vorrei che il mio funerale fosse una festa, un incontro tra amici. è l’ultima volta che posso essere presente “fisicamente” con la mia comunità, che tanto amo e tanto mi ha dato. Vorrei che fosse una festa come la Messa della domenica, come la veglia di Pasqua». Così è stato. Sulla bara c’erano tante rose quanti gli anni della sua vita. Trentasei rose per proclamare che ogni anno, ogni giorno della sua vita era stato un canto di lode a Dio. E in Paradiso ci sono i migliori ananas del mondo.
Fonte:
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www.bollettinosalesiano.it
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Note:
Per approfondire: Bruno Ferrero "ClaudiaSini. Un sorriso in corsia" Editrice Velar
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