Don Elio Monari nasce in un casolare del Comune di Spilamberto (Mo) il 25 ottobre 1913 da Augusto e Luigia Ori, lavoratori della terra e viene battezzato lo stesso giorno nella sua parrocchia di Sant’Adriano. Nel 1927 entra nel seminario minore di Fiumalbo (Mo). In questo periodo manifesta la chiamata alla vita missionaria che vorrebbe seguire nella Compagnia di Gesù ma incontra un’opposizione forte e con suo grande disappunto deve abbandonare il progetto. Alla fine del 1929 passa al Seminario Metropolitano di Modena per il settennio di formazione in vista del sacerdozio. Viene ordinato sacerdote il 28 giugno 1936, all’età di 23 anni. Dopo l’ordinazione, nel 1937 si iscrive all’Università Cattolica di Milano per il corso di laurea in lettere che consegue nel 1941. Ma dal 1937 è già insegnante di lettere al Collegio-Ginnasio S. Carlo di Montombraro tenuto dai sacerdoti diocesani, poi a Nonantola e dal 1941 di latino e greco al Seminario Metropolitano di Modena. Nell’ottobre del 1938 è nominato Vice-assistente diocesano della G.I.A.C. Nel 1943 chiede e ottiene dall’Arcivescovo C. Boccoleri di essere dispensato dall’insegnamento in seminario per potersi dedicare esclusivamente alla formazione della gioventù cattolica e alle urgenze del momento storico. Egli profonde così la sua ricca spiritualità incentrata sulla ricerca della presenza amante di Dio nell’uomo e per l’uomo sorgente di ogni apostolato conquistando il cuore dei ragazzi e degli adulti e stabilendo con tutti rapporti di esemplare sintonia. Fondamentale è il suo contributo alla formazione dei giovani alla consapevolezza della inconciliabilità tra l’ideologia nazifascista ed il cristianesimo e la conseguente necessità dell’impegno socio-politico nella disobbedienza civile e nella ribellione attiva alla tirannide dominante. Egli è il primo a impegnarsi genialmente in questo senso con azioni definite di estremo rischio, coraggio e amore totalitario. Dopo l’8 settembre, infatti è immediatamente impegnato oltre che con l’A.C. delle due diocesi di Modena e Nonantola, per la salvezza dei militari stranieri e italiani prigionieri nei campi di concentramento o già sui treni della deportazione. Nel maggio del 1944 in seguito alle informazioni di un delatore a lui vicino viene spiccato un mandato di cattura da parte della guardia Nazionale Repubblicana di stanza a Sassuolo che emanava l’ordine per cui don Elio Monari doveva “essere immediatamente arrestato a qualunque costo”. Alla fine di maggio del 1944 dopo che i repubblicani hanno scoperto il suo gioco deve fuggire da Modena e nascondersi sui monti dove suo fratello Erio si è già unito ad Ermanno Gorrieri (Claudio) e alla sua Brigata partigiana Italia. Dopo un intenso e fruttuoso ministero come cappellano di tutte le formazioni per il trionfo della fraternità e della giustizia viene arrestato dalle SS a Piandelagotti di Frassinoro (Mo) il 5 luglio 1944 mentre amministra i sacramenti ad un moribondo. Trasferito a Firenze in Via Bolognese, 67 (Villa Triste), dopo essersi rifiutato di passare al campo avversario, torturato a lungo viene poi assassinato al parco delle Cascine a Firenze il 16 luglio 1944 con altri 5 prigionieri. Il suo corpo, martoriato e quello di altri 16 giovani uccisi in quei giorni viene occultato lungo l’Arno in una trincea. I suoi resti vengono ritrovati e recuperati solo nel 1956 e riposano ora con quelli dei 16 compagni di martirio nel cimitero di Rifredi a Firenze nelle cappelle dei caduti.
Il Suo Messaggio Il messaggio che ci lascia Don Elio è di perenne attualità. Aperto a tutte voci profetiche come quella di don Zeno Saltini e alla sua visione familiare ed egualitaria della parrocchia e della Chiesa con al centro i bambini abbandonati, entra a far parte della sua comunità con l’impegno a “ad immolarsi corpo e anima nel santificare tutte le forme della vita del popolo, lieto anche nel martirio”. Accanto a don Mario Rocchi sogna uno spazio accogliente per tutti i ragazzi di strada, dove plasmare anime ed elevarle alla statura di Cristo. In un tempo di aspri e sanguinosi conflitti come il suo dove il sospetto, la paura e la menzogna corrompono le relazioni sociali e con la violenza si stronca ogni voce discorde, egli in nome del Vangelo e della libertà percorre la strada opposta. Da impulsivo e caritatevole insieme si butta subito nei problemi fino ad essere giudicato imprudente, ma la capacità di trovare soluzioni impensate dicono che non lo è affatto. La sua fine intelligenza assieme alla mitezza e semplicità evangelica gli permettono di avvicinare, dialogare e lavorare con persone tanto diverse per idee politiche, religiose e nazionalità fino a farsi apprezzare e amare da tanti. Tra i suoi più stretti collaboratori vi sono comunisti, azionisti, socialisti, cattolici, protestanti, ebrei e tanta gente semplice allergica all’ingiustizia. Si arriva all’assurdo che alcuni fascisti invece di essergli acerrimi nemici cercano di salvargli la vita e i comunisti lo definiscono prete eccezionale. La sua estrema disponibilità senza fare mai calcoli sui rischi, lo vedono animatore di una rete clandestina di soccorso per proteggere e salvare la vita di chi rischia di perderla a causa di leggi inique. Tra questi in prima linea i numerosi giovani che si ribellano all’arruolamento nella R.S.I., gli oppositori politici, i militari stranieri, quelli italiani e i tanti ebrei allo sbaraglio. Si muove rapidamente, anche in moto, da un capo all’altro dell’Italia occupata per trovare soluzioni adatte alle necessità dei richiedenti aiuto. E così i giovani preparati alla meglio per la resistenza li invia in montagna, i soldati stranieri li manda in Svizzera o a Roma, gli ebrei presso famiglie, parrocchie, case di cura, istituti religiosi. Per questi ultimi riesce anche a creare vie di fuga dalla Valtellina per l’approdo in Svizzera. Assieme ai suoi collaboratori allestisce anche un ufficio per il recupero e la falsificazione di documenti necessari per aggirare le leggi persecutorie e creare nuove identità. Non è possibile quantificare il numero di persone che gli devono la vita. Soprattutto quando scelse di condividere la vita dei partigiani unendosi ai suoi giovani che avevano deciso di salire sulle montagne modenesi e reggiane da resistenti, a contatto con quell’ambiente composito volle ben presto diventare cappellano di tutte le formazioni partigiane indipendentemente dai loro orientamenti politici onde vigilare perché fossero evitate violenze indiscriminate, vendette e soprusi. Era perennemente sul campo per assistere feriti e condannati a morte, liberare gli innocenti, scambiare prigionieri e salvaguardare così la giustizia. Anche lì era ammirabile la sua capacità di unire attorno a sé le diversità. Un esempio erano i buoni rapporti con Armando, Davide, e con il capitano russo Vladimir Pereladov. Questi dopo il suo l’arresto a Piandelagotti il 5 luglio perlustrò la zona nella speranza di ritrovarlo. Ugualmente era in buoni rapporti con il comandante partigiano Nello Pini cui amministrò i sacramenti prima della sua fucilazione da parte dagli stessi uomini della resistenza. I militari del Commonwealth da lui salvati furono talmente colpiti dal suo esempio che ritornarono subito dopo la guerra in Italia e come gesto di gratitudine vollero finanziare in sua memoria un edificio del grande progetto della Città dei Ragazzi di Modena già sognato da don Monari. Questi stessi affermarono: “Nessun uomo fu più coraggioso nello svolgere il proprio lavoro, nessuno si prese rischi maggiori per aiutarci di uno dei preti, don Elio Monari, nessuno subì una fine così violenta come quella del prete trentenne”. Ci resta ancora di lui un ultimo messaggio chiarissimo raccolto da uno dei suoi giovani poco prima del suo arresto quando disse che “sarebbe stato ben felice se avesse potuto fare olocausto della sua vita per la salvezza di un’anima”. E' stata proposta l'apertura della causa di beatificazione.
(A cura del Comitato per la memoria di don Elio Martire, Modena - Mail: alange8450@gmail.com)
|