Al centro della pagina storica rappresentata dall’insurrezione dei cattolici messicani, che ha la sua fase più «calda» fra il 1926 e il 1929, si staglia la figura del generale Enrique Nicolás José Gorostieta Velarde (1890-1929). Ne ripropongo qualche cenno biografico (1) in occasione del novantesimo anniversario della scomparsa in combattimento, alla luce di documenti che si sono resi disponibili in anni ancora recenti e che consentono di illuminarne meglio la figura (2). Gorostieta è noto per aver comandato, a partire dalla fine del 1926, quelle formazioni popolari armate che si auto-denominano Esercito di Liberazione Nazionale o Guardia Nazionale e che il loro nemico, ovvero le forze di sicurezza dello Stato federale messicano, chiama con disprezzo cristeros, i «fanatici di Cristo-Re», con la medesima logica con cui i soldati repubblicani francesi battezzavano i contadini vandeani o gl’insorgenti italiani tout court «brigand». Queste formazioni si costituiscono spontaneamente in alcuni Stati del Messico nel 1926, quando il lungo conflitto fra lo Stato rivoluzionario e i cattolici subisce la svolta radicale rappresentata dalle cosiddette «leggi Calles», dal nome del presidente Plutarco Elías Calles (1924-1928). Con decreti-legge attuativi della Costituzione del 1917 il governo messicano tenta di porre la Chiesa sotto il controllo dello Stato, arrogandosi la determinazione del numero dei sacerdoti, ingerendosi nella loro formazione, attuando l’esproprio delle chiese e dei seminari, limitando il culto. La reazione dei vescovi — molti dei quali in esilio — è anch’essa una svolta clamorosa: a partire dal 1° agosto proclamano infatti la sospensione del culto pubblico in tutto il Paese per denunciare in maniera clamorosa che la Chiesa messicana è gravemente impedita nella sua missione. Tale decisione, letta con le lenti della cultura religiosa popolare, che non ama, né comprende le sfumature politiche, e nel clima di un Paese sconvolto da decenni di lotte civili, induce parecchi tra i fedeli più coerenti e animosi a ribellarsi al governo e a imboccare la strada della rivolta armata. La reazione del governo alla rivolta, come naturale, apre una spirale di violenze reciproche che «precipita» in breve tempo in una sanguinosa guerra civile (3).
La vita Su Enrique Gorostieta, specialmente da questa parte dell’Atlantico, le notizie biografiche non abbondano: la memoria del leader cristero è finita — almeno fino alla metà degli anni 1970 — sepolta nel silenzio insieme a quella della cruciale insurrezione cristera, considerata tanto dal governo quanto dalla Chiesa una vicenda assai poco «politicamente corretta», sulla quale era meglio tacere. Si sa che il generale nasce il 18 settembre 1890 a Monterrey, nello Stato del Nuevo León, alla frontiera settentrionale-orientale della grande repubblica nord-americana. È figlio di Enrique Gorostieta González (1856-1921), noto avvocato e uomo politico — durante la breve dittatura del generale Victoriano Huerta (1850-1916), nel 1913-1914, è Segretario del Tesoro (Secretario de Hacienda) del governo —, e di María Velarde Valdéz-Llano (1864-1913), i quali, oltre a Enrique, hanno già due figlie, Eva María Valentina (1886-1955) e Ana María (1887-1935) (4). La famiglia Gorostieta — dalle remote origini basche — è legata al regime di José de la Cruz Porfirio Díaz Mori (1830-1915), il presidente-dittatore che ha partecipato con valore alla guerra contro l’invasione dei francesi di Napoleone III Bonaparte (1808-1873) ed è salito al potere nel 1876 rimanendovi pressoché ininterrottamente fino al 1910. Si può dire che i Gorostieta sono una famiglia di «uomini d’ordine». Addirittura si sa che il capitano Pedro Velarde y Santillán (1779-1808), antenato di Enrique in linea materna, è stato un eroe della grande insurrezione nazionale delle Spagne contro i francesi di Napoleone I Bonaparte (1769-1621), svoltasi fra il 1808 e il 1813. Ufficiale di artiglieria dell’esercito regolare del re, insieme al più anziano collega Luís Daoíz de Torres (1767-1808), è stato uno dei leader della resistenza madrilena del 1808 contro le truppe comandate da Joachim Murat (1767-1815) ed è caduto sotto le palle del battaglione di mamelucchi — le truppe musulmane che i francesi hanno «importato» dall’Egitto al tempo della spedizione napoleonica del 1799 — il 2 maggio 1808, mentre difendeva le caserme di artiglieria e il loro prezioso contenuto dall’invasore. Visti gli antecedenti familiari, non stupisce il precoce desiderio di Enrique di intraprendere la carriera delle armi, che nel 1906 lo porta a entrare nel Collegio Militare, l’accademia che ha allora sede nell’antico castello di Chapultepec alla periferia di Città del Messico, a oltre duemilatrecento metri di altezza. Dall’accademia esce nel 1911 con il grado di teniente táctico de artillería permanente. Lo stesso anno, negli ultimi giorni del porfiriato, il lungo regime di Porfirio Díaz, prende parte nelle file dell’esercito nazionale alla campagna contro i ribelli fedeli a Francisco Ignacio Madero González (1873-1913). Nell’evolversi del conflitto e nel frantumarsi dei gruppi in lotta, il giovane capitano si schiera con le truppe fedeli al generale Victoriano Huerta, che alla fine, nel 1913, prevale e va a ricoprire, quantunque brevemente e solo grazie a un sanguinoso golpe, la carica di presidente federale. Nell’aprile del 1914, con il grado di colonnello, inquadrato nella divisione di artiglieria comandata dal generale Guillermo Rubio Navarrete (1882-1950) (5), partecipa alla difesa di Veracruz, il porto atlantico nella zona sud-orientale del Paese, che gli americani vogliono occupare — e occupano — per la seconda volta. Ma Huerta viene ben presto deposto da un altro generale — la Rivoluzione messicana avanzava allora a forza di incessanti conflitti tra fazioni di militari e di golpe —, Venustiano Carranza Garza (1859-1920), che inaugura un regime fortemente anti-clericale. Nell’agosto del 1914 Gorostieta, che ha ora il grado di generale di brigata, rifiuta la riforma — o dissoluzione — dell’esercito federale attuata dal nuovo presidente e lascia l’esercito e anche il Messico, stabilendosi a El Paso e a San Antonio nel Texas, dove si sono rifugiati diversi aderenti al cessato regime (6). Il giovane ex ufficiale inizia allora un viaggio nel Vecchio Mondo — qualcuno sostiene che abbia partecipato alla Prima Guerra Mondiale (1914-1919) nei ranghi della Legione Straniera francese (7) —, quindi riattraversa l’Atlantico e si stabilisce a L’Avana, a Cuba, dove, in cattive condizioni finanziarie, inizia a lavorare in una fabbrica di scope. Nel 1921, quando, ancora grazie a un cruento golpe, ascende alla presidenza il generale Álvaro Obregón Salido (1880-1928), Gorostieta, in coincidenza con la scomparsa del padre — anch’egli auto-esiliatosi a Laredo nel Texas —, torna in Messico e, stabilitosi nella capitale federale, si dà alla carriera di imprenditore, avviando una fabbrica di articoli di profumeria. Il 22 febbraio 1922, nella parrocchia di San Cosme a Città del Messico, sposa Gertrudis «Tulita» Lazaga Sepúlveda (1895-1984). Il 24 settembre 1923 nasce — una prima gravidanza di Tulita non è giunta a termine — il suo primo figlio, Enrique, che muore però nel 1924. Il 18 gennaio 1925, a Torreón, nello Stato di Coahuila, nel nord del Paese, nasce il secondo figlio, chiamato ancora Enrique († 1997); nel 1926 è la volta di Fernando († 1996) e, nel 1928, di Luz María († 1984), che il generale conoscerà solo in fotografia, perché già alla macchia con i cristeros.
L’adesione alla resistenza Le ragioni della sua adesione al movimento insurrezionale sono oggetto di dibattito fra gli storici. Di sicuro si sa che Gorostieta è «assoldato» dai capi della Lega Nazionale per la Difesa Religiosa — in particolare grazie alla mediazione di Bartolomé Ontiveros, un uomo d’affari, responsabile del Comitato di Guerra della Lega (8) —, emanazione degli ambienti della Unión Popular (UP), l’organizzazione di apostolato laicale creata dall’avvocato Anacleto González Flores (1888-1927), beatificato nel 2005. Il direttivo della Lega, con l’implicito avallo dei vescovi, offre a Gorostieta circa tremila pesos-oro al mese — quasi millecinquecento dollari americani di allora, circa il doppio dello stipendio di un suo pari-grado in servizio —, più una congrua assicurazione sulla vita a vantaggio dei propri eventuali superstiti, ma, a quanto pare, riesce a incassare solo le prime tre mensilità (9). Quando egli parte, la moglie e i figli trovano rifugio in un interrato di una famiglia amica di San Ángel nel Distretto Federale. Gorostieta non è un mercenario, né un fanatico religioso e nemmeno una testa calda: semplicemente è un uomo d’ordine infastidito dall’oltranzismo anti-clericale del presidente Calles, successore di Obregón. Lo colpisce la sospensione del culto decretata dall’episcopato messicano per ritorsione contro le leggi anti-cattoliche di Calles e lo disgustano le violenze e i sacrilegi contro le chiese e il clero che, per ritorsione, l’esercito nazionale e le formazioni irregolari filo-governative compiono senza controllo in tutto il Paese. Gorostieta non è un cristero quanto a mentalità e modo di vivere la fede: è nato e cresciuto nelle città ed è nota la differenza, quando non la frattura, che intercorre già allora fra il modo di essere cristiani del laicato «maturo» e più vicino alle gerarchie e la fede rozza, immaginifica e «tradizionalistica» dei ceti contadini e popolari del Paese, nei quali spesso la cultura religiosa è ibridata con residui delle culture ancestrali indie. Già nel 1926 Gorostieta pare sia in contatto con gli ambienti della Lega e dispensi loro suggerimenti di carattere tattico (10). Il 22 dicembre di quell’anno scrive già alla moglie dalla clandestinità. Il suo senso dell’onore e la sua educazione cattolica — che ha resistito ai lunghi anni di una vita militare dove imperversano l’affiliazione massonica, il malcostume morale e l’odio «giacobino» per il cristianesimo —, ma anche la constatazione che un governo che uccide indiscriminatamente i preti non può garantire un futuro dignitoso alla nazione che egli ama, dopo una non breve riflessione lo inducono ad accettare la proposta dei leader cattolici. Gorostieta aderisce alla rivolta popolare pur intuendo che la sua scelta lo strapperà al quieto «tran tran» della vita di imprenditore di buon successo, alla gioia di un matrimonio d’amore e a una vita familiare invidiabile, mentre gli costerà sicuramente una vita scomoda, pericolosa, intrisa di lacrime e di sangue. Gorostieta è ingaggiato dal direttivo di un organismo, la Lega, presente soprattutto nelle grandi città, dove esiste un laicato organizzato ed esplicitamente legato alle gerarchie, ma che ha una presa assai relativa sul movimento insorgente. Questo è nato essenzialmente per iniziativa di valorosi caudillos locali — assimilabili a quelle «autorità naturali», studiate dal sociologo conservatore Pierre Guillaume Frédéric Le Play (1806-1882) (11) — e delle aggregazioni parentali e clientelari a essi risalenti, che impugnano le poche armi di cui dispongono in prima battuta per difendere le chiese che i federali vogliono chiudere con la forza e per proteggere i sacerdoti che operano in clandestinità, ai quali i governativi danno la caccia come ad animali. Gorostieta — che per di più è un borghese messicano «del nord» più modernizzato e «americanizzato» e ha a che fare con dei messicani dei ceti umili del centro-sud — fa quindi non poca fatica a ottenere il riconoscimento della sua autorità e a rendere effettivo ed efficace il suo comando. Ma alla fine la spunterà, saprà fare tesoro dell’intuito e del valore dei suoi subordinati e, nel contempo, ne limiterà le «fughe in avanti» e gli scatti di orgoglio e ne tempererà i sentimenti di vendetta. Sotto il suo comando le formazioni cristere passeranno dallo stadio di aggregazioni spontanee di guerriglieri a un esercito vero e proprio, con capi addestrati e coraggiosi e gregari disciplinati, in grado di manovrare adeguatamente — pur nell’immensa inferiorità del numero, degli armamenti e delle risorse logistiche — contro un esercito professionale, potente, agguerrito e determinato, infliggendo a quest’ultimo, specialmente fra il 1928 e il 1929, sconfitte sanguinose e, sotto il profilo politico, potenzialmente decisive. Le truppe agli ordini di Gorostieta — nominato comandante supremo nel giugno del 1928 — alla fine assommeranno a circa cinquantamila unità, attive negli Stati centrali di Jalisco, di Aguascalientes, di Michoacán, di Colima, di Nayarit, di Guanajuato, di San Luis Potosí e di Zacatecas, terre di altipiani assai elevati punteggiati da numerosi vulcani. La guerra civile scatenatasi a seguito della rivolta del popolo — della quale sono protagonisti agricoltori, rancheros, vaqueros, cacciatori, più numerosi militanti cattolici, per lo più giovani, delle città unitisi a loro — crescerà fino al punto da lasciare intravedere ai cattolici qualche possibilità di successo, ancorché non immediata. Arriverà comunque a un punto in cui sarà pressoché impossibile per il governo, se non al prezzo di perdite disastrose, sconfiggere l’esercito cristero sul campo. Gorostieta ha vissuto in prima persona gran parte della tormentata vicenda della Rivoluzione messicana, ha assistito ai progressivi giri di vite da parte dello Stato federale e dei governatori contro la Chiesa e, quindi, ha visto crescere il disagio in cui vivono le comunità cristiane messicane. Lungi da lui è la prospettiva del regime di Calles di una subordinazione totale dei culti allo Stato e alle sue politiche. Gorostieta non è un integralista, apprezza la laicità della sfera pubblica e, realisticamente, si prefigge, in caso di vittoria del movimento cristero, il ripudio dell’atteggiamento «giacobino» dello Stato e il ritorno ai principi sanciti dalla Costituzione liberale del 1857, ispirata da Benito Pablo Juárez García (1806-1872), il primo presidente nativo americano del Messico. Forse vi saranno cristeros più radicali — anche se il movente prioritario della rivolta è quello auto-difensivo —, ma le prospettive «moderate» di Gorostieta, in caso di vittoria, avrebbero segnato un deciso miglioramento della condizione civile della nazione messicana.
La morte Come si sa, Gorostieta trova la morte a soli trentotto anni, in una fase della guerra senz’altro favorevole ai cristeros, ma in via di peggioramento in quanto si percepiscono «rumori» sempre più nitidi e frequenti di un imminente accordo diretto fra il governo, i vescovi e la Santa Sede e, di conseguenza, di una ripresa del culto. Il comandante cristero, intuendo gli sviluppi infausti che quest’ultima misura produrrebbe, il 16 maggio 1929, da El Triunfo nello Jalisco, scrive una lettera al comitato dei vescovi messicani che coordina la resistenza contro il regime, in cui protesta vibratamente contro l’ipotesi di un accordo, ne elenca i sicuri effetti disastrosi per gli insorti cattolici — ma anche per il futuro del cattolicesimo in Messico —, spingendosi fino a negare che i vescovi rappresentino legittimamente il popolo messicano in armi e finendo poi per scongiurarli, almeno questo, di non tagliare fuori il movimento dalle trattative. Non è più solo questione di una sollevazione a scopo di auto-difesa, dice Gorostieta, ma di un movimento nazionale e politico: «[…] il problema non è più puramente religioso, ma è integralmente in questione la libertà e la Guardia Nazionale si è costituita di fatto per difendere tutte le libertà e per rappresentare autenticamente il popolo» (12). In quelle settimane, secondo Jean André Meyer Barth — uno dei massimi conoscitori della vicenda cristera e il primo studioso europeo a strapparla dal silenzio in cui è stata confinata dal governo e dalla Chiesa messicani dopo il 1929 —, Gorostieta inizia a trattare con il candidato alle imminenti elezioni presidenziali straordinarie José Vasconcelos Calderón (1882-1959) l’appoggio dei ribelli cristeros in cambio della libertà religiosa. Come è noto ogni fazione politica messicana, nella lotta per il potere supremo, quello federale, è allora solita appoggiarsi a un «braccio armato» e Vasconcelos ne è privo. Vasconcelos a sua volta, secondo il generale, è per la causa cristera quel leader politico che finora le è mancato e che, oltre a una buona identità di vedute, offre anche una leadership con un orizzonte più ampio e può garantire non solo la libertà religiosa in cui egli crede, ma tutte le libertà. Però Vasconcelos traccheggia. Ed Emilio Cándido Portes Gil (1890-1978), presidente in carica, per prevenire il rischio di una sconfitta del candidato governativo — in realtà sarà poi eletto, pare con cospicui brogli, l’outsider Pascual Ortiz Rubio (1877-1963), che governerà fino al 1932 — accelera i tempi dell’accordo con i vescovi, anche se, nel contempo, rafforza i corpi che combattono contro i cristeros nel Michoacán sotto il comando del generale — e futuro presidente federale — Lázaro Cárdenas del Río (1895-1970), un lontano parente del santo cristero di Sahuayo José Sánchez del Río (1913-1928). In quella primavera del 1929 Gorostieta non è in buone condizioni di salute: il 17 maggio, alla vigilia del tragico epilogo, da luogo sconosciuto, scrive alla moglie: «Temo che mi vedrò obbligato ad abbandonare la lotta, perché soffro di una moltitudine di acciacchi di ogni genere che non riesco a curare e ogni giorno che passa mi sento sempre più debole e sfinito» (13). Accompagnato da quattro dei suoi ufficiali, si sposta verso San José de Gracia, nel Michoacán, per reclutare nuovi combattenti in previsione dell’offensiva di Cárdenas del Río e per affidarne il comando al generale Alfonso Carrillo Galindo, un esperto ufficiale proveniente dai ranghi dell’esercito federale, che lo accompagna. Il 19 maggio al rancho Barranquillas si unisce a loro un drappello di dieci uomini comandato dal colonnello Rodolfo Loza Márquez e da suo fratello Ildefonso, jefe civil, cioè capo di una delle sezioni amministrative in cui i cristeros hanno diviso il territorio sotto il loro controllo. Qui Gorostieta detta al maggiore Heriberto Navarrete Flores (1903-1987) — che negli anni 1930 diverrà sacerdote gesuita (14) — il testo di un messaggio da spedire al generale Marcelo Caraveo Frias (1883-1955), in armi nel Chihuaua a fianco del generale José Gonzalo Escobar (1892-1969), ribelle al governo, per invitarlo a unirsi all’esercito cristero. Nella sua marcia, il 1° giugno 1929 il drappello fa sosta all’Hacienda del Valle, ora Nuevo Valle — nei pressi della cittadina di Atotonilco el Alto, nello Jalisco meridionale, a quasi milleottocento metri di altezza — quando è assalito improvvisamente da reparti della cavalleria federale, agli ordini del tenente colonnello Óscar Nungaray Camacho, assai vicino al leader politico callista Saturnino Cedillo Martínez (1890-1939). Gorostieta è colpito da un proiettile che gli trapassa l’addome e lo fa stramazzare al suolo: un soldato lo uccide poco dopo con una revolverata al viso. Non sarà riconosciuto subito perché sia il colpo ricevuto, sia la caduta sul terreno fangoso gli hanno sfigurato il volto. Gorostieta sarà l’unico cristero a rimanere ucciso nell’imboscata. Così narra la morte del generale il libro Méjico Cristero. Historia de la ACJM 1925 a 1931, scritto da Antonio Rius Facius (1918-2012), pubblicato nel 1960, uno dei primi lavori storici sulla vicenda cristera. «I cristeros si stanno rifocillando; alcuni vanno in un piccolo negozio che apre le sue porte davanti alla capanna della hacienda, altri salgono sul tetto: da lì si domina la pianura. Ma lasciano incustodito, senza saperlo, il sentiero nascosto nella valletta. Di sorpresa, i primi soldati del 42° reggimento di cavalleria fanno la loro comparsa proprio da lì. Si arrampicano lentamente, con noncuranza, mettendo le loro armi sotto le divise. Un capitano grasso e bruno è alla loro testa. Uno degli uomini del generale Gorostieta avverte, dalla porta del piccolo negozio, la presenza dei soldati e inizia a sparare colpi di pistola contro di loro. Il colonnello Loza Márquez corre a nascondersi all’interno della fattoria; porta un casco coloniale, simile a quello in uso fra i militari governativi, e questo dettaglio fa confondere i soldati di cavalleria e gridare che non sparino, che sono dalla stessa parte. Ma alla fine quando odono il grido di “Viva Cristo Re!” ogni dubbio cade e si preparano ad attaccare. Il generale Gorostieta si rialza rapidamente, si rende conto del pericolo che li insidia e ordina: “Dobbiamo uscire da qui in qualsiasi modo: riunitevi tutti immediatamente e andiamocene prima che ci circondino”. Ma i cavalli, sentendo il rumore degli spari, si inalberano, e solo il generale Gorostieta riesce a montare sul suo. Prende per un attimo il crocifisso che gli pende come al solito dal collo, lo guarda e si lancia a rotta di collo verso l’uscita. Una scarica serrata lo accoglie e il cavallo cade colpito. Allora Gorostieta torna all’interno della casupola. “Questi schifosi hanno ucciso il mio cavallo e hanno catturato il mio archivio”, esclama indignato. Uno dei suoi uomini gli chiede: “Che cosa stiamo facendo, mio generale?”. “Combattere da coraggiosi e morire da uomini”, risponde Gorostieta. I cristeros respingono incessantemente i loro nemici, ma sono accerchiati e la fuga è difficile e pericolosa. Tuttavia, il maggiore Heriberto Navarrete, aiutante del generale, il colonnello Loza Márquez e il soldato Jesusillo cercano di scappare attraversando un piccolo aranceto posto vicino alla fattoria. I tre raggiungono il loro scopo. Gorostieta intende seguire lo stesso percorso, ma gli assedianti hanno già bloccato ogni varco. Una voce rompe il martellare dei proiettili: “Chi vive?”. “Viva Cristo Re!”, risponde Enrique Gorostieta in modo provocatorio. Sono le sue ultime parole. Una raffica di piombo gli stronca la vita. Per circa due ore, sedici uomini resistono eroicamente all’attacco di duecento federali, ma non è possibile prolungare la difesa perché le munizioni sono presto esaurite. In questa situazione angosciante il generale Carrillo Galindo si consulta con Ildefonso Loza Márquez sulla necessità di arrendersi. I cristeros vogliono seguire l’esempio del loro capo: combattere da coraggiosi e morire da uomini, ma alla fine cedono e consegnano le armi. Solo uno rimane sul tetto e rifiuta l’ordine di arrendersi: Jerónimo L. Cortes. Né suppliche, né minacce lo piegano, finché l’abitudine a obbedire lo vince e anch’egli si arrende. Una volta che tutti sono riuniti, i soldati portano il cadavere del generale Gorostieta che hanno spogliato di quasi tutti i vestiti e delle scarpe. Il maggiore Plácido Nungaray chiede chi sia, ma nessuno risponde. Insiste: “Che cosa? Non lo riconoscete?”. Allora uno dei cristeros si fa avanti e dice: “È il generale Gorostieta”. Il maggiore Nungaray, il capo della colonna assalitrice, s’incarica del trasporto dei prigionieri e del cadavere. Il suo reparto ha subito perdite notevoli: sei soldati e due ufficiali morti. Ordina che i primi siano sepolti sul posto e gli altri condotti ad Atotonilco, dove vinti e vincitori arrivano alle sei di sera» (15). È domenica 2 giugno 1929: mancano solo diciannove giorni alla firma dell’accordo negoziale — scritto a mano su un pezzo di carta comune, che passerà alla storia come «los Arreglos» — e alla ripresa del suono delle campane in tutto il Messico.
Dopo la morte di Gorostieta Gli altri diciassette cristeros — il maggiore Navarrete Flores; il generale Alfonso Carrillo Galindo; i due Loza Márquez; l’ingegnere Alfonso Garmendia Villafaña, che ha raggiunto il gruppo il 26 maggio; il primo capitano José Ocampo; il tenente Rafael de Anda; Juan Valenciano; Luis del Valle; i fratelli Ignacio, José María e Felipe Angulo; Jerónimo Gutierrez; Jerónimo L. Cortes; Antonio Sépulveda, Rosendo Tamayo; Faustino Sanchez e il soldato chiamato «Jesusillo» —, colti dall’imboscata nel sonno o mentre mangiano, non oppongono resistenza all’arresto. Sette di loro sono torturati e poi tutti imprigionati: saranno liberati dopo la firma degli Arreglos (16). L’incursione dei federali pare sia potuta avvenire grazie alle informazioni fornite da un infiltrato dei governativi, probabilmente il colonnello Garmendia Villafaña (17). Altre fonti parlano di un altro possibile traditore, il generale Rodolfo Loza Márquez, coltivatore di Zapotlán del Rey, nello Jalisco (18). Il corpo di Gorostieta è esposto al pubblico e diverse fotografie ne sono diffuse dalla stampa. Quindi è reso ai familiari a Città del Messico, dove è sepolto nel Panteón (cimitero) Nacional (19). Nel giugno del 2002 i suoi resti sono traslati nella chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo ad Atotonilco el Alto, dove riposano insieme alle ceneri di sua figlia Luz María Gorostieta Lazaga (Pérez Ayala da sposata). Tutti gli anni, il 2 giugno, gli ultimi reduci e i sempre più numerosi simpatizzanti cristeros si radunano sul luogo dove è caduto Gorostieta per ricordarlo e per pregare per la sua anima. Nonostante il genio bellico e la morte gloriosa del generale e nonostante tanti eroismi e sofferenze, la guerra finirà male per i ribelli. Come previsto da Gorostieta, dopo la firma degli Arreglos del 1929 e la immediata ripresa del culto, ai combattenti cattolici verrà meno il sostegno popolare e a poco a poco si sbanderanno. Una volta arresisi e disarmati, nonostante le garanzie di immunità fornite dal governo, nell’indifferenza dei responsabili e del mondo, si scatenerà contro di loro, specialmente contro i capi e gli ufficiali, una lunga e indiscriminata ondata di terrore e di vendette — personali e organizzate —, che decimerà le file degli ex combattenti, costringerà all’esilio i loro capi e spingerà i più diffidenti a tornare sulle montagne.
Chi era Gorostieta? Oltre agli elementi emersi finora, qualcosa in più ci dice su di lui la frequente corrispondenza con la moglie Tulita, rifugiatasi in zona sicura dopo la partenza del marito, che egli intrattiene nei circa due anni e mezzo in cui vive alla macchia. Da queste lettere — alcune manoscritte, altre a macchina —, pubblicate nel 2011 dalla nipote, Luz María Pérez Gorostieta (20) — omonima della figlia — e donate poi al Museo Cristero del Municipio di Atotonilco, dove il generale fu ucciso — si comprende perfettamente che l’asserita freddezza di Enrique verso la religione (21) è solo un atteggiamento di riservatezza causato dalla sua immersione in un ambiente ostile. E anche che la «temperatura» della sua fede e del suo senso di appartenenza all’ovile di Cristo — vista la famiglia di origine, è certa la sua educazione nella fede cattolica — crescono fortemente a contatto con la fede semplice e ardente dei suoi generali e dei suoi soldati, che hanno «buttato via» la loro vita e quella delle loro famiglie in un conflitto disperato, privo di appoggio da parte delle autorità ecclesiali, ma sentito come doveroso nella misura in cui ci si rifiuta di vivere in un contesto in cui la regalità del Salvatore è oggetto di dileggio e la sua difesa fonte di discriminazione. In una lettera del 31 luglio 1927 alla moglie da Guadalajara scrive: «Tengo una fé ciega en Dios» (22). In un articolo pubblicato nel 2014, Jean Meyer (23) fa ammenda per avere contribuito nella sua celebre opera del 1977, La Cristiada, a diffondere una immagine del generale Gorostieta come scettico e frammassone. Dopo un incontro con una delle pronipoti, Leticia Gorostieta Damm — uno dei sette figli di Leticia Damm de Gorostieta Beltrán (1931-2019), nipote del generale Enrique —, che gli ha mostrato le lettere scritte dal bisnonno alla moglie negli anni della clandestinità, lo studioso franco-messicano ammette di avere commesso un errore — peraltro comprensibile allo stato delle fonti di quarantadue anni fa — affermando che Gorostieta non era credente. Le lettere infatti parlano in realtà di un uomo assai legato alla famiglia e innamorato della moglie (24), di un uomo integro, totalmente impegnato nella difesa della libertà religiosa dei cattolici messicani (25), riservato e schivo — le sue fotografie al campo assommano al massimo a tre o quattro —, di un cristiano ardente che invoca Dio, Gesù Cristo e la Madonna di Guadalupe e che chiede sempre preghiere per sé e per i suoi uomini. Padre Luis Laureán Cervantes, L.C., il biografo del giovane martire cristero san José Sánchez del Río, nativo come lui di Sahuayo nel Michoacán, ha incontrato nel 1999, poco prima che lei morisse, la nipote di Gorostieta, Yolanda Sada Gorostieta — sposata Gonzalez Quijano — (1914-1999), la figlia di Ana María Gorostieta Velarde (1887-1935), sorella del generale — l’altra sorella era Eva María Valentina (1886-1955) —, la quale già allora ha smentito in pieno la versione: lo zio generale non era né ateo, né liberale, ma cattolico praticante, anche se, comprensibilmente visto l’ambiente in cui viveva, non ostentava la propria fede. Quando parte per il fronte, racconta Yolanda, Gorostieta benedice e affida a Dio la moglie Gertrudis e i suoi piccoli, dichiara di andare in guerra per difendere i diritti di Dio e per l’ultima volta recita il rosario con i suoi (26). Con la sconfitta della Cristiada si chiude uno degli ultimi episodi della lunga resistenza cattolica al processo di scristianizzazione che l’età delle Rivoluzioni — prolungatasi ben addentro al Novecento — porta con sé: l’ultimo, ancorché assai più complesso, sarà in buona misura l’insurrezione anti-comunista che dieci anni dopo scoppierà nelle Spagne e si tradurrà in una guerra civile a risonanza europea (1936-1939). Il generale Enrique Gorostieta — «cristiano, patriota e caballero» — è una delle ultime figure di combattente e di condottiero cristiano che crede che la difesa delle tradizioni e della libertà di religione del suo popolo dalla Rivoluzione possa e debba avvenire anche — una volta vanificate le misure legali — con le armi in pugno e che questa scelta s’imponga anche a costo di dover abbandonare nel fiore degli anni ed esporre a gravi rischi moglie e figli. Egli rimane un esempio fulgido e un modello efficace per chiunque, pur nelle condizioni ancora più sfavorevoli di oggi, novant’anni dopo la fine della Cristiada, si trovi di fronte ad alternative altrettanto drammatiche.
Il corrido del generale Gorostieta
Su Gorostieta, come per tanti altri combattenti, caduti e martiri nella Cristiada, all’uso messicano, viene composto un corrido, una ballata popolare. Eccone il testo (27):
I
Es la historia verdadera y sin pasión. De un valiente que logró escalar la meta En defensa de su santa religión. (bis) Siendo joven iniciaba su carrera Como alumno del Colegio Militar. Y allá fue donde lució por vez primera Las insignias de teniente Federal. (bis) Manejando una sección de artillería Fue a Morelos y luchó con tanto afán. Y arriesgando así su arrojo y valentía De teniente fue ascendido a capitán. (bis) Fue valiente a los combates de Rellano, De Machimba, Casas Grandes y Torreón. Y el famoso y aguerrido mexicano De sus jefes provocó la admiración. Y más tarde fue a la acción de Valladares, Santa Engracia y La Candela con honor. Conquistando tanta gloria y tantos lares Y con ellos las insignias de mayor. Siendo joven pues apenas se asomaba El bigote en su cara de doncel. Por sus triunfos allá en Tuxpan conquistaba Las estrellas que lo hicieran coronel. Bajo el mando del gran Rubio Navarrete Con las fuerzas invasoras se batió. Y arriesgando así su vida el mozalbete A la línea americana penetró. (bis) Hasta Ulúa se introdujo Gorostieta Provocando así el asombro nacional. Y esta hazaña por viril y por discreta Fue premiada y ascendido a general. (bis)
II
Ahora yo canto con motivo del tratado Dio de baja al insigne general. Y llego hacer un ciudadano respetado Empeñoso del progreso nacional. (bis) Cuando al fin surgió la lucha religiosa Y del pueblo al suelo madre ensangrentó. Desfondó otra vez su espada victoriosa Y a las fuerzas del gobierno se enfrentó. (bis) Y el caudillo de las fuerzas insurgentes Cuyo grito fue «¡Qué viva Cristo Rey!» Con sus tropas decididas y valientes Exigieron las Reformas a la Ley. (bis) Fue una lucha muy sangrienta y prolongada Una guerra despiadada y sin cuartel. Y a pesar de estar muy mal municionada La revuelta logró triunfos a granel. Entre tanto la nación horrorizada Dio el espectro de una nueva rebelión. Que el gobierno con sus fuerzas dominaba En Sonora, en Chihuahua y Nuevo León. Y deseando que la paz fuera completa El gobierno con la Iglesia discutió Y al saberlo el General Gorostieta Prontamente sus legiones disolvió Al venir pronto a rendirse fue atacado Por las fuerzas de gobierno federal. Y en la lucha Gorostieta fue matado Provocando una tristeza nacional. (bis) La tragedia causó impacto por doquiera Y con duelo general en la nación. Al saber que Gorostieta así muriera En defensa de su santa religión. (bis)
Traduzione italiana:
1. Questa è la storia vera e spassionata di un valoroso che riuscì a raggiungere la meta in difesa della sua santa religione. Da giovane, iniziò la sua carriera come allievo del Collegio Militare, e lì indossò per la prima volta i gradi di tenente federale. Al comando di una sezione di artiglieria fu a Morelos e lottò così duramente e rischiando con la sua audacia e il suo valore da tenente fu promosso capitano. Fu valoroso nelle battaglie di Rellano, di Machimba, Casas Grandes e Torreón. E il famoso e agguerrito messicano dei suoi capi provocò l’ammirazione. E più tardi fu all’azione di Valladares, di Santa Engracia e de La Candela con onore. Conquistando così tanta gloria e tanti luoghi e con essi il grado di maggiore. Era giovane e i suoi baffetti a malapena si vedevano sul suo viso di giovinetto. Per i suoi trionfi là a Tuxpan conquistò le stellette che lo fecero colonnello. Sotto il comando del grande Rubio Navarrete con le forze degl’invasori si batté. E rischiando così la vita, il ragazzo penetrò nelle linee americane. Fino a Ulúa s’infiltrò Gorostieta provocando così lo stupore nazionale. E per questa impresa virile e discreta fu premiato e promosso generale.
2. Ora canto in occasione del trattato che ha licenziato l’illustre generale. E ne fece un cittadino rispettato impegnato nel progresso nazionale. Quando infine scoppiò la lotta religiosa e dal villaggio alla terra madre insanguinò. Sfoderò di nuovo la sua spada vittoriosa e si scontrò con le forze del governo. E da capo delle forze insorgenti, il cui grido era «Viva Cristo Re!», con le sue truppe risolute e coraggiose chiese gli emendamenti alla legge. Fu una lotta molto sanguinosa e lunga, una guerra spietata senza quartiere. E, nonostante fosse assai male munizionata, la rivolta ottenne trionfi in massa. Nel frattempo la nazione inorridita vide lo spettro di una nuova ribellione. Che il governo con le sue forze dominava nel Sonora, nel Chihuahua e nel Nuevo León. E augurando la pace fosse completa il governo con la Chiesa discusse e quando il generale Gorostieta lo seppe subito le sue legioni si dissolsero. Quando stava per arrendersi fu attaccato dalle forze del governo federale. E nel combattimento Gorostieta fu ucciso, causando tristezza nella nazione. La tragedia fece ovunque impressione e provocò il lutto generale della nazione, sapendo che Gorostieta era morto in quel modo in difesa della sua santa religione.
Note: (1) Una concisa ricostruzione delle origini del conflitto si trova nella voce, a mia cura, I «cristeros» messicani (1926-1929), in IDIS. Istituto per la Dottrina e l’Informazione Sociale, Voci per un «Dizionario del pensiero forte», a cura di Giovanni Cantoni, presentazione di Gennaro Malgieri, Edizioni di Cristianità, Piacenza 1997, pp. 119-124; nonché nel mio José Sánchez del Río: un martire della libertà religiosa, in Cristianità, n. 380, aprile-giugno 2016, pp. 35-64. (2) Cfr. qualche cenno a Gorostieta, ibid., p. 46 e p. 50. (3) Sull’intera vicenda, fra le ormai numerose opere, cfr. il fondamentale Jean André Meyer, La Cristiada, 14a ed. accresciuta, 3 voll. [1. La guerra de los cristeros; 2. El conflicto entre la Iglesia y el Estado. 1926-1929; e 3. Los cristeros], Siglo XXI, Città del Messico 1994; nonché, in italiano, Mario Arturo Iannaccone, Cristiada. L’epopea dei Cristeros in Messico, Lindau, Torino 2014; il mio I «cristeros» messicani (1926-1929), cit.; e il dossier L’insurrezione dei cristeros messicani (1926-1929), a cura di Emilio Martínez Albesa, in Nova Historica. Rivista internazionale di storia, anno VII, n. 25, Edizioni Pagine, Roma 2008, pp. 5-93. Una narrazione cinematografica — che si prende parecchie libertà nella ricostruzione storica — è Cristiada (For Greater Glory), la cui edizione italiana è stata prodotta e distribuita dalla Dominus Production, diretto da Dean Wright, uscito in Italia nel 2014: centrale nel film è la figura di Gorostieta, interpretata dall’attore cubano-americano Andy (Andrés Arturo) García (Menéndez). (4) La voce italiana di Wikipedia relativa a Gorostieta riporta l’esistenza di un terzo fratello, Nicolás, anch’egli militare e che raggiunse il grado di colonnello, ma si tratta in realtà del nonno paterno Nicolás Gorostieta Vivero (1824-1865). (5) Su di lui cfr. La Revolución triunfante. Memoria del general de división Guillermo Rubio Navarrete, a cura di Amparo Rubio de De Ita, Libros en Red, Buenos Aires 2006. (6) Cfr., fra l’altro, Charles Houston Harris e Louis R. Sadler, The Secret War in El Paso: Mexican Revolutionary Intrigue. 1906-1920, University of New Mexico Press, Albuquerque (New Mexico) 2009. (7) Cfr. Marta Elena Negrete Salas, Gorostieta Velarde: un cristero agnóstico, Universidad Iberoamericana. Escuela De Historia, Città del Messico 1977, p. 59. (8) Cfr. Jim Tuck (?-2005), The Anti-Clerical Who Led a Catholic Rebellion, nel sito web (gl’indirizzi Internet dell’articolo sono stati consultati il 17-9-2019). (9) Cfr. Juan Rodolfo Sánchez Gómez, Enrique Gorostieta: disidente del olvido, in Margarito Cuéllar (a cura di), Cartas del general Enrique Gorostieta a Gertrudis Lasaga. Dos regiomontanos ilustre, Dirección de Publicaciones de la UANL, Universidad Autónoma de Nuevo León, Monterrey (Nuevo León)-Città del Messico 2013; nel sito web [pagine non numerate, ma pp. 13-35 (p. 24), secondo la numerazione di Adobe Acrobat]. (10) Cfr. ibid., p. 26. (11) Cfr., per esempio, Frédéric Le Play, Les ouvriers européennes. Études sur le travaux, la vie domestique et la condition morale des populations ouvrières de l’Europe d’apres le faits observés de 1829 a 1855, 10a ed., 6 voll., Mame et Fils, Tours 1878, vol. VI, Les ouvriers de l’Occident, p. 499. (12) Cfr. Enrique Gorostieta Velarde, Lettera ai vescovi messicani, del 16-5-1929, cit. in J. Meyer, La Cristiada, cit., vol. I, La guerra de los cristeros, pp. 316n-318n (p. 317n). (13) M. Cuéllar (a cura di), Cartas del general Enrique Gorostieta a Gertrudis Lasaga. Dos regiomontanos ilustre, cit., pp. 105-107. (14) Cfr. Heriberto Navarrete, S.J., “Por Dios y Por la Patria”. Memorias de mi participación en la deesa de la libertad de conciencia y culto durante la persecución religiosa en México de 1926 a 1929, 2a ed., Editorial Jus, Città del Messico 1964. (15) Cfr. il sito web ; una copia del libro di Rius Facius in formato PDF si trova nel sito web . (16) Cfr. Antonio Rius Facius, Méjico cristero. Historia de la ACJM. 1925 a 1931, cit., pp. 426-428 (trad. red.). (17) Alfonso Garmendia Villafaña sarà più tardi indicato come tesoriere del gruppo fascista messicano delle Camicie Dorate, una frazione delle quali preparava un golpe dal territorio statunitense (cfr. Mexican Gold Shirts Revolt Plot Thwarted [Scoperto un complotto delle camicie dorate messicane], in El Paso Herald Post, El Paso [Texas] 19-2-1940). «Camicie Dorate» (Camisas Doradas) è il soprannome del gruppo politico Acción Révolucionaria Mexicanista, fondata dal generale Nicolás Rodríguez Carrasco (1890-1940) nel 1933, un antico sostenitore del famoso capo-popolo Francisco «Pancho» Villa (pseud. di José Doroteo Arango Arámbula; 1878-1923), che scelse il colore dorato per l’uniforme degli aderenti in ricordo dei dorados, il reparto di cavalleggeri di élite di Villa, copiando lo stile delle Camicie Nere italiane e delle Camicie Brune (le Sturmabteilungen o S.A.) nazionalsocialiste tedesche. Le Camicie Dorate saranno protette dall’ex presidente Plutarco Elías Calles. (18) Cfr. J. R. Sánchez Gómez, op. cit., p. 33. (19) Sulla lastra marmorea del sepolcro sono impresse le seguenti parole: «Cristiano, patriota e caballero, visse e morì per i suoi ideali: Dio, Patria e libertà». (20) Cfr. alcune lettere in M. Cuéllar (a cura di), Cartas del general Enrique Gorostieta a Gertrudis Lasaga. Dos regiomontanos ilustre, cit. (21) Studi che diffondono la leggenda di un Gorostieta non credente sono per esempio M. E. Negrete Salas, op. cit.; J. Tuck, op. cit., che lo definisce «massone del trentatreesimo grado»; e Richard Grabman, Gorostieta and the Cristiada: Mexico’s Catholic Insurgency. 1926-1929, Editorial Mazatlàn, Mazatlàn (Sinaloa, Messico) 2011. (22) M. Cuéllar (a cura di), Cartas del general Enrique Gorostieta a Gertrudis Lasaga. Dos regiomontanos ilustre, cit., p. 72. (23) Cfr. J. Meyer, Gorostieta victime d’une légende, in L’épopée des Cristeros.1926-1929. Une Vendée mexicaine, in Revue d’histoire du christianisme, hors serie, n. 7, CLD Éditions, Parigi printemps 2014, pp. 56-59; nonché Idem, El general Enrique Gorostieta, in El Universal. El gran diario de México, Città del Messico 2-6-2019, nel sito web (trad. it., Il generale Enrique Gorostieta, nel sito web ). (24) Cercherà fino all’ultimo di rassicurarla che egli non corre alcun pericolo immediato e che non compie gesta temerarie; quanto agli stenti della vita alla macchia le scrive: «Naturalmente non hanno termine i disagi fisici quali dormire per terra, camminare molto, oggi digiunare e non cenare fino al giorno seguente: però tu sai che per me essi sono bazzecole [tortas y pan pintado]», raccomandandole poi di mettere particolare cura nel nascondersi, avendo appreso che il governo stava cercando di localizzare i familiari dei combattenti (Lettera del 17-5-1929, in M. Cuéllar (a cura di), Cartas del general Enrique Gorostieta a Gertrudis Lasaga. Dos regiomontanos ilustre, cit., p. 105). La lettera sarà spedita in realtà il 30 maggio e Tulita la leggerà probabilmente solo dopo aver appreso della morte del marito. (25) «[…] lo que yo ando haciendo es un deber sagrado» (ibid. [p. 106]). (26) Padre Cervantes mi raccontò dell’incontro in un colloquio a Roma, sì che decisi di farne cenno nella mia prefazione all’edizione italiana della sua biografia di san José Sánchez del Río: cfr. Luis Laureán Cervantes, L.C., Un piccolo testimone di Cristo Re. San José Sánchez del Río, martire cristero, trad. it., con prefazioni mia e di E. Martínez Albesa, traduzione ed edizione italiana a mia cura, D’Ettoris Editori, Crotone 2017, pp. 94-95 (ed. orig., El niño testigo de Cristo Rey. José Sánchez del Río, mártir cristero, con una prefazione di E. Martínez Albesa, De Buena Tinta, Madrid 2015, p. 68). (27) La versione musicale e cantata del corrido si può ascoltare, fra l’altro, nel sito web .
Autore: Oscar Sanguinetti
Fonte:
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www.alleanzacattolica.org
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