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Luis Navarro Origel Laico

Festa: Testimoni

15 febbraio 1897 - 10 agosto 1928


28 settembre 1926: nella città messicana di Penjamo, intorno alle otto del mattino, esplodono colpi di arma da fuoco che continuano a rimbombare per tutta l’ora successiva.

Senza preavviso, è iniziata la guerra cristera.

Il giorno dopo, un Luis Navarro Origel spettinato ed esausto si presenta all’improvviso sulla soglia della casa che condivide con la moglie e i cinque figli piccoli, che al suo arrivo si aggrappano alle gambe del papà e lo accolgono felici.

“Sappiamo che le forse governative stanno arrivando. Cosa farete?” chiede la moglie terrorizzata, mentre lui si infila i pantaloni da equitazione e prende un binocolo.

“Andremo in montagna”, spiega il marito, porgendole del denaro. “Tieni questi soldi fuori dalla casa, perché se la bruceranno ne avrai abbastanza per mangiare il giorno dopo”.

Sulla soglia, lei gli si aggrappa in un abbraccio, e anche i bambini – Ignacio, Guadalupe, Carmen, Margarita e Rafael – si tengono stretti al padre.

“Quando ci rivedremo?”.

“Non qui, Carmela. Ci vedremo in paradiso”, risponde l’uomo con grande serenità.

Un ultimo bacio. Un ultimo sguardo. Si stacca, monta a cavallo e parte al galoppo, alzando zolle di terra, mentre la sua famigliola lo guarda dalla soglia, finché non riesce più a vederlo. E, da vivo, non lo rivedrà più.

Sebbene i cavi telegrafici e telefonici locali fossero stati tagliati, separando Penjamo dalla civiltà, ciò non impedì alla notizia di diffondersi da quella polverosa cittadina dello stato di Guanajuato al resto della nazione, dal confine settentrionale a quello meridionale, dalla Sierra Madre Occidentale alla Sierra Madre Orientale.

“Luis Navarro Origel ce l’ha fatta! Penjamo è stata presa da Luis Navarro Origel!”. I cattolici esultarono.

In un solo giorno, quella rivolta cambiò tutto. Una reazione, dopo anni di brutale tirannia in un regno del terrore che schiacciava i cattolici sotto il pugno sanguinario dei sempre mutevoli regimi rivoluzionari governati dai caudillos, classe criminale ascesa al potere con la forza e la violenza.

Ora, finalmente, la speranza. Finalmente qualcuno si era opposto. E quel qualcuno era lui: Luis Navarro Origel.

Nato il 15 febbraio 1897 da Guadalupe Origel Gutiérrez e Bardomiano Navarro Navarro (1859-1919), Luis era l’ottavo di quindici figli, in una famiglia operosa e di successo. Viveva felicemente e comodamente in una casa pulita e spaziosa, con un cortile centrale pieno di felci, fiori e alberi, abbracciato da una loggia che risuonava del canto dei canarini. La famiglia, che controllava tre grandi fattorie a sud di Penjamo – El San José de Maravilla, El Guayabo de Origel, El Tepetate de Navarro – lavorava i fertili campi giorno dopo giorno, con raccolti abbondanti e granai stracolmi.

Bambino dedito alla preghiera, Luis in tenera età studia e memorizza il Catecismo de los Padres Ripalda y Astete, per prepararsi alla prima confessione che fa, prostrato, ai piedi del sacerdote, e alla prima comunione, all’età di sei anni. Quando è pronto a intraprendere gli studi, i genitori lo iscrivono alla scuola fondata da padre Cristoforo Guevara. Sostenuto fin dalla giovane età da ottimi risultati intellettuali, Luis esprime il desiderio di trasferirsi al seminario minore di Morelia, nello stato di Michoacan, dove già studia suo fratello maggiore, Ignacio.

Il padre di Luis, sollecitato a dare il permesso, acconsente e iscrive il figlio, all’età di dodici anni, nel 1909.

Un anno dopo – con la promulgazione del Piano di San Luis Potosi, redatto da Francisco Ignacio Madero Gonzalez (1873-1913), che si è fatto strada verso il potere a colpi di pistola costringendo il presidente José de la Cruz Porfirio Diaz (1830-1915) ad abdicare – il 20 novembre 1910 si scatena la Rivoluzione messicana.

Lentamente, costantemente, il Paese si inabissa. Con la rivoluzione ecco una società desolata, sprofondata in un’età oscura, una creatura strisciante e malvagia uscita dal grembo parigino della Bastiglia durante il parto violento e sanguinoso del 14 luglio 1789. La sua ideologia perversa (statalismo e collettivismo, contro la Chiesa e la persona) si diffonde dal Vecchio al Nuovo Mondo, scatenandosi in una forza selvaggia desiderosa di annientare la feconda civiltà sbocciata nella cristianità, fondamento del mondo occidentale.

Propagandato per decenni per incitare alla ribellione, al caos e all’odio tra classi, razze, sessi, ideologie e persino membri della stessa famiglia, il socialismo in Messico trova una casa accogliente e confortevole.

Ogni rivoluzione degna di questo nome in termini di sangue è solitamente accompagnata da richieste di riforma agraria, e il Messico non fa eccezione. Il Movimento agrario di massa, iniziato con il Piano di Ayala, redatto da Emiliano Zapata Salazar (1879-1919) e proclamato per la prima volta il 28 novembre 1911, si batte per il collettivismo, con la confisca e la nazionalizzazione delle imprese e delle proprietà private, che includono quelle ecclesiastiche e le haciendas, enormi proprietà terriere possedute da messicani facoltosi o da europei e dai loro discendenti creoli, in genere senza una precisa posizione politica.

Per garantire l’attuazione della riforma agraria, i rivoluzionari chiamano a raccolta le loro truppe dalle campagne: gli agraristas, socialisti rurali che, ricorrendo a violenze e uccisioni, espropriano le terre e credono a chi ha loro promessa che le riceveranno in dotazione dopo averle sottratte ai legittimi proprietari.

I potenti aizzano i loro tirapiedi per rubare terre e oggetti di valore ai proprietari terrieri, etichettati come nemici di classe e di razza. Il modello è sempre lo stesso: come i bolscevichi contro i kulaki nell’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche e i comunisti contro i proprietari terrieri, con persecuzione e morte, nella Repubblica popolare cinese.

Rubando terre, bestiame, raccolti, tesori, impoverendo la gente e sfruttando risorse non sue, la Giunta agrarista, che sventola bandiere rosse ed è sostenuta dai signori della guerra, devasta le campagne. I soldati della Rivoluzione, malfattori in uniforme, fanno terra bruciata delle haciendas riempiendosi la pancia e le tasche. Ciò che non possono trasportare lo distruggono. E chiunque sia ritenuto nemico della fazione rivoluzionaria al potere viene spesso giustiziato sul posto, senza prove, senza processo.

Una settimana dopo aver compiuto sedici anni, Luis Navarro sta ancora studiando nel seminario minore quando Madero – che ha acceso la Rivoluzione per spodestare Diaz – viene rovesciato e poi assassinato tre giorni dopo, il 22 febbraio 1913, in seguito al colpo di Stato noto come i Dieci giorni tragici, guidato da José Victoriano Huerta Marquez (1850-1916), a sua volta un usurpatore e a sua volta rovesciato, il 15 luglio 1914, da una fazione rivoluzionaria avversaria guidata da José Venustiano Carranza de la Garza (1859-1920).

Con l’ascesa di Carranza – un ferrovecchio nelle mani insanguinate degli anticlericali – la Rivoluzione continua il percorso di distruzione nel tentativo di imporre la sua ideologia sociopatica alle masse, soprattutto ai cattolici. Le truppe militari, reclutate tra i più efferati criminali, terrorizzano il popolo mentree i socialisti – l’autoproclamata élite intellettuale – vedono nella maggioranza dei messicani – operai e contadini poveri – solo fanatici religiosi e analfabeti, bisognosi di essere purificati dalle loro credenze superstiziose ereditate dai colonizzatori e oppressori europei. L’Uomo Vecchio deve essere distrutto per lasciare spazio all’Uomo Nuovo e le vecchie abitudini devono essere violentemente sradicate a opera dei progressisti, l’élite all’avanguardia, impegnata a costringere la società a passare dal capitalismo all’utopia socialista.

Per colpire la Chiesa pietra dopo pietra e diminuirne l’influenza, il regime si appropria dei beni ecclesiastici, che vanno ad arricchire i patrimoni dei potenti al governo. Chiese, canoniche, conventi, monasteri, seminari, orfanotrofi, ospedali, cliniche, case di cura e di riposo, scuole parrocchiali: tutto finisce nel mirino dei rivoluzionari.

Non fa eccezione il seminario di Morelia, dove Navarro negli anni è cresciuto intellettualmente, superando tutti gli altri studenti nelle lezioni di filosofia, e dove si è sforzato di perfezionare la sua vita spirituale interiore attraverso l’abnegazione, la moderazione, l’esame di coscienza quotidiano, la Comunione quotidiana, la meditazione. Tutto per affinare la sua volontà, la più alta facoltà umana.

Nel 1914, i rivoluzionari – in realtà utili idioti e folle impazzite – arrivano al seminario e lo saccheggino. Il rettore, padre Francisco Banegas Galvan (1867-1932) e gli altri vertici decidono di non opporre resistenza alla violenta aggressione e Navarro assiste impotente alla distruzione e al furto di preziosi arredi, opere rare della biblioteca e delicati strumenti del laboratorio di scienze.

Tutto viene devastato. In un solo giorno beni e autentici tesori, raccolti nei secoli con grandi sacrifici, sono distrutti.

Il seminario viene chiuso e Luis Navarro non ha altra scelta che tornare a casa, a Penjamo, per trascorrere l’inverno con la sua famiglia, la cui residenza e la cui attività agricola erano state anch’esse attaccate dai rivoluzionari. La casa saccheggiata. I campi distrutti. I granai svuotati. Una devastazione totale.

Ma in mezzo alle tenebre, una luce. Come ha già fatto altre volte, il diciassettenne Luis va a trovare un compagno di seminario, Leopoldo Alfaro Madrigal, che vive non lontano, a Irapuato. E lì si innamora di una delle cinque sorelle del suo amico: Carmen Alfaro Madrigal, timida e dolce ragazza di quattordici anni.

Dato che i seminaristi sono stati violentemente allontanati dalla loro residenza, per l’ultimo anno di studi Luis prende alloggio presso una famiglia cattolica. La sua stanza è grande, tappezzata, con un inginocchiatoio imbottito dove può recitare il suo rosario quotidiano. La famiglia ha una cappella privata con un altare ornato dai fiori raccolti nel giardino del patio. Ogni mattina, svegliandosi presto, Luis assiste alla messa e riceve la Comunione prima delle lezioni, che si tengono in segreto ovunque sia possibile: in capanne, in mezzo ai campi, all’ombra degli alberi.

A causa del sentimento anticlericale diffuso dai socialisti, i sacerdoti si nascondono, gettano la tonaca e indossano abiti comuni. Ma spesso finiscono comunque vittime della violenza, come padre David Galvan Bermudez (1881-1915), giustiziato il 30 gennaio 1915, dopo essere stato arrestato con l’accusa di aver assistito spiritualmente i soldati feriti durante una battaglia tra opposte fazioni rivoluzionarie a Guadalajara.

Giovane uomo, Luis Navarro fa i conti con la dissolutezza favorita dall’ideologia dominante, che condanna il sacro vincolo del matrimonio tradizionale in quanto istituzione borghese, pensata per l’oppressione di classe, e denuncia l’intimità coniugale monogamica nella coppia, insegnata dalla Chiesa, come aspetto oppressivo e feudale voluto da una società patriarcale e capitalistica.

Luis, ora diciottenne, ha deliberatamente scelto e accolto l’amore nella castità, esprimendo i suoi desideri maturi in una dolce corrispondenza con Carmen. Scrive: “Mia amata, abbiamo un’immensa garanzia: ci amiamo con tutta l’anima e abbiamo consacrato il nostro amore al nostro Creatore, al nostro amabilissimo Redentore”.

Al termine degli studi in filosofia, dato il suo altissimo rendimento accademico, gli ex superiori gli offrono assistenza perché possa intraprendere qualsiasi carriera civile di sua scelta. Luis è incerto, Tra le opzioni, ci sono anche gli studi per il sacerdozio. Le sue sorelle maggiori – Margarita, Guadalupe e Concepción – hanno avuto vocazioni religiose e frequentano il Collegio Teresiano di Santa Maria de Guadalupe, a Morelia.

Bisogna prendere una decisione. Per fare chiarezza, nell’ottobre 1916 Luis partecipa a un ritiro basato sugli esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola (nato Inigo Lopez de Onaz y Loyola, 1491-1556), diretto da padre Luis María Martínez y Rodriguez (1881-1956), vicerettore del seminario. I ritiri ignaziani sono un tempo di discernimento silenzioso. Nella prima parte si esamina il proprio passato e poi c’è una confessione generale. La seconda parte si concentra sul piano d’azione per il futuro. Tra una meditazione e l’altra, i partecipanti pregano e meditano in privato, e non è insolito che ci si sottoponga a un’angosciante lotta interiore.

Il 26 ottobre Luis Navarro affronta un’intensa battaglia interiore che lo ha completamente sopraffatto. Ma quando la lotta spirituale si placa, la sua mente è calma. “Oggi – scrive nel suo diario – è stato uno dei giorni peggiori e uno dei più felici della mia vita. Oggi ho fatto un passo decisivo nel cammino della mia vita, dopo un combattimento durato tutto il giorno, con mille indecisioni che mi hanno fatto morire d’angoscia”.

La decisione è presa: santificare il suo stato di vita con il matrimonio e  adempiere ai suoi doveri di figlio tornando a casa, dalla sua famiglia. Quindi continuare il loro lavoro, nei campi, cercando di ripristinare ciò che è stato distrutto dai rivoluzionari.

Ma la Rivoluzione e i suoi maniaci manipolatori continuano a imperversare. Con il nuovo regime arriva anche una nuova costituzione, la Costituzione politica degli Stati uniti messicani, imposta illegalmente con la forza, il 5 febbraio 1917, da una fazione militare. Concepita e scritta non solo per attribuire l’autorità di Dio allo Stato, ma anche per accaparrarsi un maggiore controllo sulle masse, la Costituzione intende rompere completamente il legame che i fedeli hanno con la Chiesa.

Il Partito liberale costituzionalista di Carranza, come altri partiti rivoluzionari di ispirazione socialista, vuole distruggere la persona e imporre la volontà dello Stato.

Ma il giovane Luis Navarro non lascia che il caos rovini i suoi piani per il futuro. Il 5 maggio 1917 sposa Carmen, nella città natale di lei, Irapuato. Per la loro luna di miele, vanno a Città del Messico in treno. Scelta pericolosa, perché la rete ferroviaria non è sottoposta a manutenzione e spesso i banditi attaccano i convogli.

Puntualmente, il treno su cui viaggia la coppia viene attaccato, ma Luis riesce a difendere i passeggeri.

Quando la coppia appena benedetta arriva in albergo, Navarro dice alla sua sposa: “Voglio chiederti, come Tobias e Sarah, di mantenere qualche giorno di castità”.

Tornati a Penjamo, marito e moglie si adoperano per rimediare al saccheggio degli invasori rivoluzionari, ma ben presto l’intera famiglia deve rifugiarsi a Irapuato: troppo frequenti le incursioni nella proprietà da parte delle bande di uno dei più temibili e violenti rivoluzionari, il generale José Ines García Chavez (1889-1919), uno psicopatico che per la sua folle crudeltà e le torture inflitte a uomini, donne e persino bambini è noto come “Attila del Bajio”.

A Irapuato, Luis Navarro avvia diverse attività commerciali con il fratello maggiore Ignacio, ma senza successo. Il 18 luglio 1918 nasce il primogenito Ignacio, soprannominato “Nachito”, ma contemporaneamente il padre di Luis è colpito da ictus. La famiglia torna a Penjamo e Luis si dedica all’apicoltura, all’epoca agli albori. Legge, studia, sperimenta. Per due volte fallisce, ma alla fine riesce a creare duecento colonie. Contemporaneamente adotta tecniche moderne per coltivare con successo la terra e allevare il bestiame.

Dotato di carattere felice, Luis assapora le gioie della vita con la sua giovane famiglia. Ha una passione per la lettura e la riflessione. Nel poco tempo libero, di notte, legge i suoi preferiti, due grandi mistici: santa Teresa d’Avila (nata Teresa Sanchez de Cepeda Davila y Ahumada, 1515-1582) e san Giovanni della Croce (nato Juan de Yepes y Alvarez, 1542-91). Con loro si forma nella vita ascetica e nella rigorosa autodisciplina, per seguire la volontà di Dio e i precetti della Chiesa.

Ma un altro terremoto politico scuote il Messico.

Carranza tenta di modificare gli articoli anticattolici della Costituzione del 1917, ma le sue proposte di emendamento vengono respinte a gran voce da due giovani emergenti: Alvaro Obregon Salido (1880-1928) e Plutarco Elias Calles (nato Francisco Plutarco Elias Campuzano, 1877-1945). Quando Carranza si rifiuta di applicare gli statuti anticlericali, viene avvertito: se continuerà a ignorarli, ne affronterà le conseguenze. E il 21 maggio 1920, alle quattro del mattino, succede l’inevitabile. A Tlaxcalantongo, dove si è rifugiato tra le montagne della Sierra Norte de Puebla, trenta proiettili vengono esplosi contro Carranza attraverso le sottili pareti della capanna in cui dorme. Sei lo raggiungono e lo uccidono. Durante l’assalto muoiono altre otto persone.

Tra i vestiti insanguinati di Carranza viene trovata una medaglia della Vergine Maria con la seguente iscrizione: “Madre mia, salvami”.

L’uccisione di Carranza avviene durante la Ribellione di Agua Prieta, guidata da tre generali noti come il Triumvirato di Sonora, tutti autodichiarati bolscevichi: Obregon, Calles e Felipe Adolfo de la Huerta Marcor (1881-1955), che inizialmente prende le redini del potere come presidente ad interim, ma si fa da parte mesi dopo, quando Obregon afferma di aver vinto le elezioni presidenziali – con un sospetto 95,8% dei voti – e viene dichiarato presidente, il 1° dicembre 1920.

Con i socialisti di Sonora al potere, la persecuzione cattolica non solo continua, ma si accentua, e avvengono alcuni attentati, fra i quali quello alla residenza di Città del Messico dell’arcivescovo José Mora y del Rio (1854-1928), il 6 febbraio 1921, e quello all’altare della basilica di Guadalupe, il 14 novembre, quando, miracolosamente, l’immagine di Nostra Signora di Guadalupe si salva.

Questi assalti pianificati precedono un incidente diplomatico internazionale che fa notizia in tutto il mondo, quando l’arcivescovo Ernesto Eugenio Filippi (1879-1951) viene cacciato dal Paese perché accusato dal segretario degli Affari esteri del Messico Alberto Jose Pani Arteaga (1878-1955) di aver violato la Costituzione per aver celebrato una funzione religiosa all’aperto, in occasione della posa della prima pietra del monumento a Cristo Re, l’11 gennaio 1923, sul Cerro del Cubilete, proprietà di José Natividad Macias Castorena (1857-1948).

Di fronte all’estrema povertà del popolo ridotto alla fame e alle continue predazioni, Luis Navarro si sente in dovere di contribuire ad alleviare le sofferenze. I campi un tempo fertili devono essere ricoltivati, le infrastrutture vanno ricostruite. Molte volte ha rifiutato l’offerta di un seggio sicuro e prestigioso nella legislatura di Guanajuato, ma ora, con spirito generoso e altruista, decide di candidarsi a sindaco di Penjamo, e nel 1923 vince con una maggioranza schiacciante.

Animato dallo spirito cattolico di solidarietà, si adopera per potenziare i servizi pubblici, migliorare le strade sterrate quasi impraticabili, liberare i sentieri, riparare i ponti, ampliare la diga locale. Come opera di carità, ogni giorno visita i detenuti del carcere cittadino, dove dona i favi dei suoi alveari, distribuisce volantini con note di dottrina cattolica e istruisce personalmente gli uomini alla fede. Per aiutare le prostitute locali a cambiare vita, fornisce loro protezione in rifugi gestiti da suore cattoliche, così da tenere tenere quelle ragazze lontane dai brutali protettori.

I nemici di Luis Navarro, i rivoluzionari, ben presto lo accusano di estradismo, ovvero di essere seguace del generale Enrique Estrada Reynoso (1890-1942), che avrebbe complottato – insieme al generale Guadalupe Sanchez Galvan (1890-1985) e al generale Fortunato Maycotte Camero (1891-1924) – per rovesciare il presidente Obregon.

Lo stesso Obregon ordina che il Consiglio comunale di Penjamo sia sciolto immediatamente e a questo scopo invia sul posto il generale José Gonzalo Escobar (1892-1969) che subito ottiene le dimissioni dei membri del Consiglio, ma non quelle di Luis Navarro. Il generale ordina quindi alle sue truppe di scortare il sindaco fino al quartier generale, su un treno militare: “Ho l’ordine del presidente della Repubblica di sciogliere il Consiglio comunale!”.

“Il presidente della Repubblica non ha alcun potere di emanare questo tipo di ordine”, risponde coraggiosamente Luis Navarro.

“Il presidente della Repubblica è l’autorità suprema”.

“L’autorità suprema è la legge, e l’articolo 115 della Costituzione prevede che il comune sia libero e governato da un Consiglio comunale eletto direttamente dal popolo. Penjamo è un comune libero e io sono un sindaco eletto dal popolo”.

L’istruito e colto Luis Navarro conosce la legge.

“Lei è accusato di essere un estradista”.

“Non posso essere accusato senza prove. Ne avete?”

“Eseguo gli ordini”.

“Beh, non posso venir meno ai miei doveri”.

Così, imperterrito, Luis Navarro ha la meglio e rimane in carica. Tuttavia, dopo aver fatto ogni sforzo per migliorare la vita dei concittadini, decide di non ricandidarsi per un secondo mandato e si dedica all’organizzazione di una rivoluzione spirituale da contrapporre a quella politica portatrice di tante morti, distruzione, illegalità e immoralità.

Il suo mandato di sindaco termina nel dicembre 1924, negli stessi giorni in cui Calles si fa strada verso la presidenza.

Terza gamba del Triumvirato di Sonora, Calles si è fatto largo con il terrore, gradino dopo gradino. Ha iniziato la vita professionale come assistente di una maestra d’asilo, ma è stato licenziato in modo vergognoso dopo essere stato sorpreso a rubare soldi agli insegnanti. Dopo essere riuscito con l’inganno a diventare tesoriere comunale di Guaymas, viene nuovamente licenziato con l’accusa di appropriazione indebita. In seguito, gestisce un hotel e un magazzino, ma entrambe le strutture finiscono distrutte da incendi causati probabilmente da Calles stesso.

Quando nel 1913 intraprende la carriera militare, Calles trova il suo spazio: una posizione di potere e controllo indiscusso e indiscutibile. E quando poi viene nominato capo della polizia, ad Agua Prieta, si riempie le tasche di denaro sporco e attacca quelli che considera i suoi nemici. Dopo essere diventato governatore di Sonora, nel 1917 espelle tutti i sacerdoti, fa chiudere le chiese e procede con massacri sistematici.

Nel 1920 Obregon lo nomina ministro degli Interni, trampolino verso la presidenza.

Divenuto presidente, Calles si circonda di socialisti radicali, come Robert Haberman (1883-1962), rumeno emigrato in Messico che ufficialmente è direttore del Dipartimento di lingue straniere del ministero dell’Istruzione pubblica, ma in realtà è il capo dell’Ufficio propaganda. Haberman è anche avvocato della Confederazione regionale dei lavoratori messicani (Confederacion Regional de Obreros Mexicanos), brutale federazione di sindacati guidata dal segretario generale Luis Morones Negrete (1890-1964), organizzazione piena di funzionari pubblici e impiegati statali agli ordini di Calles nell’usare una violenza sfrenata all’insegna dell’odio raziale e di classe.

Calles appoggia politici socialisti e rabbiosi anticattolici come Tomás Garrido Canabal (1890-1943), che a due dei figli darà i nomi di Lenin e Lucifero. Agricoltore, Canabal chiama uno dei suoi tori Dio, un bue Papa, una mucca la Vergine di Guadalupe e un asino Gesù. Una volta eletto alla carica di governatore, si distingue nel saccheggio delle chiese, ordina ai sacerdoti di sposarsi e vieta ogni simbolo cattolico e ogni riferimenti a Dio.

Una volta al potere, Calles, con aggressività da psicopatico e totale mancanza di senso del diritto, dà libero sfogo alle sue tendenze e nel febbraio del 1925 tenta di strappare una volta per tutte la Chiesa cattolica dal cuore della nazione per impiantarvi l’ideologia socialista. Crea così una Chiesa di Stato, idea comune ad altri regimi autoritari. Dopo la presa di possesso violenta e orchestrata della Chiesa della Santa Croce e della Solitudine, a Città del Messico, il sacerdote José Joaquín Perez Budar (1851-1931) si autoproclama patriarca dell’auto-dichiarata Chiesa cattolica apostolica messicana. In risposta alle proteste dei fedeli, il regime di Calles invia pompieri e polizia per proteggere gli abusivi, ma i cattolici combattono con successo le forze ostili e riprendono il controllo della chiesa.

La battaglia è dura. Esasperati, i cattolici nel marzo del 1925 fondano a Città del Messico la Lega nazionale per la difesa della libertà religiosa. Vogliono difendere i diritti umani e la libertà di culto, e presto la Lega si afferma come centro di coordinamento per tutti i cattolici messicani.

Non appena Luis Navarro viene a conoscenza dell’iniziativa, vi aderisce con convinzione, dando vita a nuclei locali.

Ma non si ferma lì e contribuisce alla nascita di una sezione dell’Associazione cattolica della gioventù messicana (Asociación Católica de la Juventud Mexicana), fondata il 12 agosto 1913 a Città del Messico da padre Bernardo Bergöend (1871-1943), gesuita francese inviato in Messico per riorganizzare la gioventù cattolica e ripristinare l’ordine sociale cristiano sul modello dell’Associazione cattolica della gioventù francese (Association Catholique de la Jeunesse Française), fondata nel 1886 da Adrien Albert Marie de Mun (1841-1914).

All’insegna del motto “Pietà, studio, azione”, l’associazione dà ai giovani – in cerca di uno scopo nella vita – una direzione culturale e spirituale sana e produttiva, e Luis Navarro contribuisce con circoli di studio, biblioteche, partite di calcio e club di caccia.

Obiettivo costante dei regimi socialisti sono le scuole cattoliche. Lo scopo è confiscare le proprietà della Chiesa, decapitarla come principale agenzia educativa e pervertire l’intelletto dei giovani. Al posto di quelle cattoliche vengono imposte scuole statali, gestite dal governo, simili a campi di indottrinamento utili per fare il lavaggio del cervello a giovani malleabili e rimodellare il loro pensiero in base all’ideologia materialista socialista.

Emanato nel febbraio 1926, il nuovo Regolamento provvisorio delle scuole elementari private del distretto e dei territori federali prevede quanto segue:

Articolo 1. L’insegnamento impartito nelle scuole private sarà laico.

Articolo 2. Le scuole non possono avere nomi che indichino una natura religiosa né richiamarsi a un santo di qualsiasi culto.

Articolo 3. Negli edifici delle scuole private non ci saranno oratori o cappelle, né stampe o sculture religiose.

Articolo 4. Per essere direttore di una scuola è necessario non essere ministro di un culto o membro di un ordine religioso.

Il rivoluzionario Calles credeva che i bambini non appartenessero alla famiglia, ma alla collettività statale, e lo ribadì anni dopo in una trasmissione pubblica da Guadalajara, il 19 luglio 1934:

“La Rivoluzione non è finita. Gli eterni nemici sono in agguato e stanno preparando piani per annullare i trionfi della Rivoluzione. È necessario entrare in un nuovo periodo della Rivoluzione. Questo nuovo periodo lo chiamerei il periodo psicologico della Rivoluzione. Dobbiamo entrare e prendere possesso delle coscienze dei bambini, delle coscienze dei giovani, perché appartengono e devono appartenere alla Rivoluzione. È assolutamente necessario sloggiare il nemico da questa trincea in cui ci sono il clero e i conservatori, e mi riferisco all’educazione, alla scuola. Sarebbe una gravissima sciocchezza, un crimine per gli uomini della Rivoluzione, non riuscire a salvare i giovani dagli artigli dei clericali e dei conservatori. Purtroppo, in molti Stati della Repubblica e persino nella stessa capitale della Repubblica la scuola è sotto la direzione di elementi clericali e reazionari. Non possiamo affidare alle mani dei nostri nemici il futuro del Paese e della Rivoluzione. Con ogni astuzia i reazionari e i clericali dicono che i bambini appartengono alla casa e i giovani alla famiglia. Questa è una dottrina egoista, perché i bambini e i giovani appartengono alla comunità, appartengono alla collettività, ed è la Rivoluzione che ha il dovere ineludibile di prendere possesso delle coscienze, di scacciare i pregiudizi e di formare la nuova anima della nazione. Pertanto, faccio appello a tutti i governatori della Repubblica, a tutte le autorità pubbliche e a tutti gli elementi rivoluzionari, affinché si proceda immediatamente alla battaglia, che dobbiamo vincere, perché i bambini e i giovani devono appartenere alla Rivoluzione”.

Il 14 giugno 1926 Calles lancia una bomba legislativa, destinata a cancellare qualsiasi diritto della Chiesa. Quel giorno firma la Legge di riforma del Codice penale – comunemente chiamata Legge Calles – che non solo assicura l’applicazione di tutte le leggi anticlericali contro la Chiesa scritte nella Costituzione del 1917, ma include restrizioni e pene ancora più severe. Ecco la scure destinata a dividere per sempre Chiesa e Stato. A partire dal 31 luglio 1926, tutte le chiese devono affiggere sulla porta principale i 33 articoli della legge.

Calles descrive la sua legge come “una soluzione definitiva del problema religioso”, una manovra legale per sterminare la Chiesa e i suoi fedeli devoti.

Immediatamente i cattolici reagiscono. In primo luogo, la Lega nazionale per la difesa della libertà religiosa chiede un boicottaggio socio-economico per indebolire il regime paralizzando la base economica della nazione. Inoltre l’episcopato messicano nella sua lettera pastorale del 25 luglio fa un annuncio: il 31 luglio tutto il clero si ritirerà dalle chiese, per evitare ogni collusione con lo Stato contro la Chiesa. Le chiese rimarranno aperte, se possibile, ma solo sotto la direzione e la cura di laici.

La sera del 31 luglio la famiglia Navarro si reca in chiesa per pregare.

“Offriamoci come vittime, affinché Gesù torni ai Tabernacoli e i nostri figli Lo amino e Lo conoscano”, sussurra Luis, in lacrime, alla moglie.

Luis non demorde. Partecipa a riunioni locali, tiene conferenze, va nella capitale per incontri con altri cattolici e membri della Lega. Alla moglie non dice quasi nulla, per proteggerla, ma il 2 settembre 1926 le parla:

Devo confidarti un segreto. Tu vedi la situazione della Chiesa. Io non posso non vedere che soffre. Sento dentro di me una chiamata di Dio che chiede il mio sangue e la mia vita. Se ignorassi questa chiamata, mi condannerei irrimediabilmente. Carmela, io prendo le armi. Sto preparando tutto, ma prima di realizzare il mio progetto voglio la tua approvazione, perché tu ti sacrificherai con me. Pensaci davanti a Dio, e decidi dopo averci pensato”.

Sopraffatta dal dolore al pensiero della vedovanza e dei figli orfani, la moglie piange e prega. Che cosa risponderà?

Due giorni dopo dice al marito: “Sono disposta a sacrificarmi. Se Lui te lo chiede, lo chiede anche a me, perché sono parte di te”.

“Ti amo per questo mille volte di più!”, esclama Lusi.

Da allora la coppia condivide tutto, e un giorno Luis dice alla moglie: “Quando saranno grandi, dirai ai nostri figli che il papà è morto per lasciare loro la fede”.

A chi non condivide la sua scelta, Luis risponde: “Ucciderò per Cristo coloro che uccidono Cristo. E se nessuno mi seguirà in questa impresa, morirò per Cristo”.

Nelle prime ore del mattino del 27 settembre, Luis Navarro bacia i figli addormentati, uno per uno, e ponendo le sue mani sulle loro teste prega così: “Signore, se possibile, allontana da me questo calice. Tuttavia, non la mia ma la tua volontà sia fatta”.

Quella mattina, la famiglia partecipa a una messa clandestina celebrata in un oratorio. Dopo la funzione liturgica, Luis si allontana. Torna la sera e dice alla moglie che è arrivato il momento. Sulla porta, saluta prima i bambini e poi la moglie. Parte. Ma subito torna indietro. “Non ho salutato il piccolo e non l’ho benedetto”. Prende in braccio il piccolo Rafael e lo bacia ripetutamente. Poi se ne va. Appeso alla spalla ha il suo fucile Mauser.

La mattina successiva, il 28 settembre, in un audace confronto, Navarro guidò i suoi fratelli Ignacio, Jesús e Manuel e altri combattenti a prendere Penjamo sotto la minaccia delle armi, annientando le forze governative ben equipaggiate e ristabilendo l’autorità della Chiesa nella città.

La mattina dopo, il giorno 29, esausto, sporco, stanco della guerra, ritornò di nascosto dalla sua famiglia, per l’ultimo saluto. Non ce ne sarebbe mai stato un altro. Dopo essersi messo sotto la protezione di san Michele Arcangelo – protettore della Chiesa, campione di Giustizia, guerriero spirituale nella battaglia del Bene contro il Male – Luis Navarro quella mattina, proprio nel giorno della festa dei santi Gabriele, Raffaele e Michele, disse addio per sempre alla sua casa.

Per otto giorni – senza cibo, senza dormire – lui e i suoi uomini combatterono le forze socialiste. Vittoriosi nonostante la loro inferiorità numerica, presero Cueramero e poi Barajas. Ma quando erano in vista di Corralejo il generale José Amarillas Valenzuela (1878-1959) tese loro un’imboscata mentre attraversavano i binari della ferrovia.

Uno dei fratelli Navarro, Jesús, soprannominato Chucho, cadde da cavallo e si finse morto. Sebbene calpestato dalla cavalleria dei Callistas, sopravvisse e, finiti i combattimenti, fuggì e si diresse a nord, negli Stati Uniti d’America, con il fratello Manuel. Navarro fuggì con il fratello Ignacio sulle montagne del Michoacan, sul Cerro de Tancitaro, dove trovarono rifugio presso una segheria di proprietà dei loro cugini, Leopolde e Daniel Navarro.

Appena arrivato, Navarro si mise in contatto con la Lega, informandola che era pronto a ricevere aiuto in uomini e armi. Ma il quartier generale non aveva né uomini né armi da inviare e lo incoraggiò ad andare avanti, con qualunque mezzo avesse a sua disposizione per combattere.

In quei momenti solitari, Luis Navarro, pieno di nostalgia, scrisse lettere d’amore a Carmen. Nel suo scritto del 6 febbraio 1927 si rivolse poeticamente a lei come a “mia moglie, il mio unico e appassionato amore, l’amore della mia vita, la vita della mia vita, la mia santa compagna fin dall’infanzia”.

Rimase tenace e affrontò il nemico, quasi da solo, con la sua piccola unità di soldati, fino a quando René Capistrán Garza (1898-1974) – capo della Lega – pubblicò un manifesto, A la Nación, che dichiarava: “L’ora della battaglia è suonata”, e annunciava che l’organizzazione era pronta per diventare un vero e proprio movimento armato contro il regime tirannico.

Con quella dichiarazione, intere zone del Messico, compresa Jalisco, si ribellarono dando vita ai Cristeros, così chiamati dal regime perché invocavano Cristo. Benché inizialmente inteso in termini di derisione, il nome piacque alla milizia religiosa e fu subito adottato.

Per i soldati cattolici di Cristo la fede costituiva una parte importante della disciplina militare. Le divisioni dell’Esercito di liberazione nazionale elevarono l’obbedienza al livello soprannaturale e spirituale, adottando codici di condotta come i seguenti:

Rendere un omaggio ufficiale, pubblico e solenne al Sacro Cuore di Gesù, Re sovrano del nostro esercito, e consacrargli con umiltà e amore tutte le opere e tutte le persone di questa divisione.
Non omettere mai, per nessun pretesto, la recita quotidiana collettiva del Rosario alla Beata Vergine Maria di Guadalupe, e accordare a tale osservanza la stessa priorità di una rigorosa disposizione di regolamentazione militare.
Quando possibile, disporre le cose in modo che tutti i capi, ufficiali e soldati possano ufficialmente adempiere ai precetti del culto domenicale, della Confessione e della Comunione.
Garantire la protezione divina durante le battaglie facendo preparare l’esercito e tutti i cattolici con la preghiera umile e fiduciosa e raccomandando di compiere atti di perfetta contrizione.
Nel tentativo di reprimere la ribellione, Calles ordinò l’esecuzione dei leader della Lega nazionale per la difesa della libertà religiosa, considerati nemici dello Stato. Capistrán sfuggì alla cattura e attraversò il confine con gli Stati Uniti. Le autorità catturarono invece l’avvocato Anacleto Gonzáles Flores (1888-1927), lo accusarono falsamente di omicidio e lo torturarono: lo appesero per i pollici, gli furono staccati gli occhi dalle orbite, gli tagliarono la pianta dei piedi, gli perforarono il corpo con le baionette e gli spezzarono le ossa con calci di fucile.

Tormentato, insanguinato, pugnalato, scorticato, spezzato, il 1° aprile 1927, nei suoi ultimi istanti di vita, Gonzáles ebbe la forza di lasciare ai suoi torturatori, prima del colpo di grazia, queste parole: “Io muoio, ma Dio no! Viva Cristo Re!”.

Giorni dopo, a Coalcoman, il 6 aprile, al ritorno sul campo di battaglia Luis Navarro diede alla sua prima brigata il nome di Brigata Anacleto Gonzáles Flores, in onore del martire. Sentendo la propria morte imminente, scrisse a sua moglie una lettera dolce e allo stesso tempo dolorosa, datata 8 aprile, dicendole addio: “Fino a quando Dio vorrà. Che sarà molto presto, comunque!”.

Durante il primo incontro con il parroco di Coalcoman, padre José María Martínez, e i parrocchiani – che non avevano mai rinunciato alla fede e al suo esercizio – Luis spiegò l’ampiezza e la profondità della corruzione nel governo, composto da assassini e ladri. Disse che non erano stati perseguitati solo i credenti religiosi ma erano stati violati i diritti umani fondamentali, e suggerì di formare un vero governo per opporsi a quel regno violento e crudele.

In risposta alla sua proposta, il 23 aprile 1927 gli abitanti di Coalcoman si dichiararono non ribelli, ma indipendenti dal governo Calles. Luis Navarro, sotto il nome di battaglia di generale Fermín Gutiérrez soldato di Maria, inviò la dichiarazione al governatore e incaricò i cattolici dell’amministrazione pubblica, riaprì le scuole e represse i reati pubblici.

Coalcoman doveva servire come quartier generale per Luis Navarro, a quel punto uno dei generali di divisione dell’Esercito di liberazione nazionale, di stanza nella regione sud-ovest: la regione costiera del Michoacan, da Colima a Guerrero.

Per mantenere il controllo di Coalcoman, Luis decise che era necessario conquistare le vicine Aguilillas, Chinicuila e Tepalcatepec.

Il 24 aprile gli giunse la notizia che le truppe federali si erano stabilite ad Aguilillas, il che rappresentava una minaccia mortale. Quindi decise di attaccare.

Lui e la sua brigata, composta da trecento uomini, entrarono di nascosto nella città di Aguilillas all’alba, sconfiggendo gli uomini del regime senza sparare un solo colpo. Per festeggiare, i Cristeros suonarono con entusiasmo le campane della chiesa, sorprendendo i residenti, che si resero conto di essere stati liberati. Gioiosi, i cittadini applaudirono ai rintocchi che erano stati zittiti per tanto tempo, dato che anche suonare le campane era diventato un reato.

Luis annunciò alla cittadinanza: “In chiesa sarà celebrata la santa messa solenne, seguita da una processione pubblica. Finalmente respirerete aria di libertà! Finalmente nella nazione messicana c’è un posto in cui potete adorare Dio liberamente!”.

Parrocchiani vicini e lontani riempirono la chiesa. Ai piedi dell’altare fu deposta la bandiera nazionale. Luis Navarro e suo fratello Ignacio sedevano davanti, circondati dai loro uomini. Durante la messa, al momento dell’elevazione, i soldati di Cristo presentarono le armi.

Nel corso della processione – pubblica affermazione della fede per le vie del paese, con in testa il Santissimo Sacramento sotto un baldacchino – i parrocchiani cantarono un antico inno eucaristico messicano:

Hostia Sol del amor, tu luz inflama, el corazón del México leal

Successivamente, Navarro si concentrò sulla presa di Tepalcatepec, dove sperava di potersi approvvigionare.

La Tierra Caliente, la Terra Calda, era controllata da due fuorilegge: Serapio “Guarachudo” Cifuentes e “El Perro” Ibanez. I due non rispettavano assolutamente nessuno, con un’unica eccezione: il parroco. E così, durante un incontro concordato tra i due banditi e Luis Navarro in un ranch vicino a Las Animas, i due uomini accettarono di seguirlo e sottomettersi al suo comando.

Per attaccare Tepalcatepec, Navarro aveva a disposizione duecento soldati. I due fuorilegge ne avevano altri ducecento. E un allevatore locale, il colonnello Ezequiel Mendoza Barragan, disponeva di cento uomini pronti a unirsi a un suo solo cenno. Totale: mezzo migliaio di combattenti, per lo più poco addestrati e scarsamente armati, che si facevano forza solo grazie alla fede e alla preghiera.

Prima dell’alba del 2 maggio 1927, gli uomini si prepararono per l’attacco a Tepalcatepec. Pregarono il rosario in ginocchio, recitarono l’Ave Maria e il Padre nostro. Le preghiere si diffusero nel buio, in un cielo senza luna, perfetto per l’assalto imminente. Recitarono la comunione spirituale, offrirono la loro giornata e la loro vita a Dio e chiesero la grazia del martirio. Ogni soldato ricevette due nastri azzurri, il colore di Maria: ne misero uno sui cappelli e uno sulla manica destra delle camicie bianche.

In mancanza di munizioni contro una forza ben armata, il piano migliore era lanciare un attacco a sorpresa per cogliere il nemico alla sprovvista. All’alba i due fuorilegge entrarono nella città di Tepalcatepec. Sorpresi, la trovarono, apparentemente, abbandonata dai suoi abitanti. Mentre Serapio alzava una bandiera e prendeva il controllo del municipio, il resto delle truppe entrò. Ma verso mezzogiorno i governativi improvvisamente presero d’assalto la città, attaccando da tutti i lati. Sopraffatti, i Cristeros fuggirono.

Dopo essersi ritirati e raggruppati, presero successivamente la città di Chinicuila. Navarro radunò quindi di nuovo le sue truppe per attaccare ancora una volta Tepalcatepec.

Il 29 maggio iniziarono i combattimenti, strada per strada, casa per casa, fino a raggiungere la chiesa. Per tre giorni i contendenti si scambiarono colpi di arma da fuoco, finché i Cristeros ruppero l’assedio delle truppe federali e presero la città.

Da lì, Navarro e i suoi uomini marciarono ingaggiando battaglie, villaggio dopo villaggio. In quella vita nomade, senza comodità e con poco cibo tranne in po’ di riso e l’occasionale morisqueta di riso e fagioli, tutto era difficile.

Dopo mesi senza notizie dalla famiglia, a causa dei suoi continui spostamenti da un campo di transito all’altro, Luis Navarro il 15 settembre 1927 ricevette un pacco. Dopo averlo deposto, ancora chiuso, ai piedi dell’altare, lo aprì piano piano, vide i fogli di carta, si mise a leggere e apprese così che il suo figlio più piccolo, Rafael, era morto tra le braccia di sua madre e la donna, per il funerale, aveva dovuto vendere il loro ultimo vitello.

Addolorato, scrisse subito alla moglie: “L’anima che il Signore ci aveva prestato e affidato alle nostre cure per un breve periodo, l’ha già ritirata da noi per renderla partecipe per sempre della sua infinita felicità”.

Mentre marciava sul terreno accidentato di città in città, di battaglia in battaglia, spesso Luis esprimeva il suo dolore, con la sua bella voce, cantando canzoni della sua terra natale. La sua preferita, Las Cuatro Milpas (I quattro campi di grano):

Cuatro milpas tan solo han quedado / del ranchito que era mío, ay yai yai yai / de aquella casita tan blanca y bonita / lo triste que está.

Lugubre e malinconico, composto nel 1926 da Belisario de Jesús García de la Garza (1894-1952), un soldato dell’ex truppa carrancista, il canto dipinge la desolazione delle campagne messicane depredate.

Ma ecco un altro terremoto politico: il 17 luglio 1928, poco dopo la sua rielezione alla presidenza, Obregon fu assassinato. Il regime attribuì la colpa ai Cristeros, ma si sparse la voce che l’omicidio fosse stato ordinato da Calles.

Alcune settimane dopo, Navarro apprese che le truppe calliste – sotto il comando del generale Rodrigo M. Quevedo Moreno (1889-1967) – si stavano dirigendo verso di lui.

Il 9 agosto 1928, quando Navarro aveva con sé solo tredici uomini, ci fu il primo combattimento. Il giorno successivo, 10 agosto, festa di san Lorenzo, diacono cattolico martirizzato sotto l’imperatore Valeriano, dopo aver ricevuto la Comunione e aver offerto a Dio la loro giornata e la loro vita, intorno alle sette del mattino gli uomini di Luis Navarro si scontrarono con i callisti sul Cerro de las Higuerillas, vicino a Pihuanto, a Jalisco. Circondato dal nemico, Luis Navarro continuò a combattere a distanza ravvicinata. Al suo fianco, il fratello Ignacio, il suo assistente Alejandro Larios, il maggiore Filiberto Calvario e Bernardino González.

“Adelante!” urlò Luis. Il suo grido di battaglia.

Risuonò uno sparo. Navarro inciampò, perdendo l’equilibrio. “Il mio generale è ferito!” urlò Larios, afferrando Luis per un braccio. González afferrò l’altro, mentre Calvario continuava a sparare contro i nemici, tenendoli a bada.

Con la testa leggermente inclinata in avanti, Luis barcollò, finché i suoi uomini riuscirono ad adagiarlo, sulla nuda terra, dietro una roccia, all’aperto.

“Dove sei ferito?” chiese Ignacio.

La fronte di Navarro era coperta di sudore, ma sulle labbra ecco un sorriso di immensa gioia. Con entrambe le mani sollevò il cappotto intriso di sangue, esponendo il foro del proiettile, esattamente sopra il cuore.

“Fratello della mia anima”, disse Ignacio, baciando due volte la fronte del morente e pensando alla madre, alla moglie e ai figli di suo fratello.

“Adelante. Vai avanti”, sussurrò Luis, incoraggiando il fratello ad accogliere il suo destino eterno, lo stesso destino che lui, Ignacio, avrebbe dovuto affrontare otto mesi dopo, il 3 aprile 1929.

Ignacio tornò subito a combattere e pochi minuti dopo vide suo fratello, ferito, zoppicare giù per la collina.

“Ecco qualcuno vestito molto bene!” gridò un callista, alzando la pistola e mirando a Navarro, che crollò a terra e rotolò giù dalla collina. In fondo, il suo corpo inerte si fermò.

Larios a sua volta puntò la pistola e uccise l’omicida.

Lo stesso Larios, con Ignacio, dopo che il nemico si fu ritirato corse a recuperare il copro del comandante. Il viso di Luis mostrava lo splendore beato della felicità compiuta.

Aveva trentuno anni.

Sempre fedeli, i suoi uomini mandarono a chiamare padre Ottaviano Marino e trasportarono il loro comandante martire – il Primo Cristero – dalla violenza del campo di battaglia al loro accampamento nella piccola valle di Cristo Re. Cantarono il Te Deum, e una guardia d’onore restò accanto al corpo di Luis, in veglia, tutta la notte.

Prima della celebrazione della messa funebre e della sepoltura, Ignacio rimosse con reverenza gli abiti macchiati di sangue del fratello, orsa diventati reliquie. Tra gli averi del morto, ecco un portafoglio.

Nascosto all’interno, un piccolo biglietto, scritto molti anni prima, durante gli esercizi spirituali ignaziano, con un messaggio semplice e accorato: “Mio Dio, che io sia un martire”.


Autore:
Theresa Marie Moreau

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Aggiunto/modificato il 2024-09-09

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