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Marzia Filpo Madre di famiglia

Festa: Testimoni

† 9 giugno 2016

Una donna determinata che ha unito la sua passione per la medicina a una fede profonda. Marzia, infatti, ha dedicato la sua vita agli altri: dopo gli studi era diventata Primario Radiologo presso l’ospedale “San Raffaele” di Monte Compatri, in provincia di Roma, e alla sua carriera medica univa la preghiera e la vicinanza al prossimo. Sposata con il collega, Marco Sammartino, poco dopo aver scoperto di essere in dolce attesa, la travolse la diagnosi di una grave malattia, ma nonostante la possibilità di iniziare le cure, Marzia decise di rinunciarvi pur di dare alla luce il suo bimbo, Tommaso Isaia, nato nell’agosto 2010, ma dopo 6 anni di lotta, la giovane madre dovette arrendersi alla malattia nel giugno 2016.



«In un momento in cui la cronaca ci racconta di piccoli innocenti uccisi anche per mano delle proprie madri abbiamo il compito di far conoscere la sua storia a quante più persone possibile, perché il suo grande esempio d’amore per la vita è di fondamentale importanza. Marzia non ha esitato a donare la sua vita per salvare quella di suo figlio».
E’ così che S.E. Mons. Calvosa, vescovo di Vallo della Lucania ha descritto durante una recente celebrazione, in cui sono state raccolte testimonianze sull’esempio luminoso della donna, Marzia Filpo, una radiologa che, ammalatasi di tumore, nel 2010, rinunciò alle cure per dare alla luce il bambino che portava nel grembo, andando incontro alla morte, dopo 6 anni, a soli 39 anni.
Per questo atto così eroico, il prelato, ha espresso la volontà di avviare la fase di discernimento diocesano, al fine di acquisire quanto necessario per l’istruttoria della causa di beatificazione che non è stata ancora avviata ufficialmente
Il gesto di Marzia, peraltro, non è stato affatto avventato, perché, essendo un primario radiologo al «San Raffaele» di Monte Compatri, in provincia di Roma, sapeva bene a ciò a cui andava incontro, eppure non ha esitato.
Senza pensarci due volte ha interrotto le cure farmacologiche fino alla fine della gravidanza, vissuta in un clima di grande preghiera, fino alla nascita del piccolo Tommaso Isaia, nell’agosto del 2010. In seguito la donna ha lottato con tutta se stessa, per ben 6 anni per sconfiggere il tumore, ma i 9 mesi senza terapie le sono stati fatali.
E come se non bastasse una prova simile per la sua famiglia, 11 mesi dopo, per lo stesso male, è scomparsa anche sua sorella. Una tragedia che i genitori hanno potuto affrontare solo con la forza della fede, come ha raccontato il padre delle due donne, Domenicantonio Filpo, ad una tv locale.
«E’ stata una tragedia indicibile che veramente non si augura a nessuno, però la vita è questa bisogna accettarla. La fede ce lo insegna perché non è importante quanto si vive, ma come si vive e le mie figlie hanno vissuto in maniera esemplare ed è quello che poi ci rimane. Speriamo che dal paradiso dove immaginiamo che siano, ci guardino ancora e ci aiutino perché veramente ne abbiamo bisogno».
Un rapporto bellissimo che legava le figlie ai genitori. Continua, infatti l’uomo: «Con lei e con la sorella Rosa  vivevamo  come in un altro mondo ed era il massimo che avremmo potuto desiderare dalla vita. La vita ce le aveva date, poi si è accorta che ci aveva dato troppo e ce l’ha tolte prima purtroppo».
Il papà ha sottolineato anche come, perfino nella scelta del nome del suo bambino, Tommaso Isaia, Marzia avesse voluto esprimere la sua fede: «Marzia era molto legata alla Sacra Scrittura e ha scelto Tommaso perché san Tommaso ha fatto quella bella confessione a Gesù Risorto “Signore mio e Dio mio” e Isaia perché è il Profeta che ha meglio degli altri predetto la venuta di Gesù sulla terra e  siccome Marzia era una donna di preghiera e conosceva  bene i Testi Sacri ha voluto scegliere questi nomi».
Il piccolo Tommaso Isaia, a cui Marzia ha fortunatamente fatto in tempo a trasmettere la propria fede, come racconta suo nonno, a tre anni sapeva già recitare il “Padre nostro”. Un bambino che, profeticamente, il giorno del funerale della mamma ha esclamato: «Nella bara non c’è mamma, quella è una statua, perché mamma è in cielo».
Una vita, la sua, spesa anche sul lavoro, per gli altri. Come racconta suo padre, era amatissima dai suoi pazienti. Non solo, anche nella grande sofferenza che ha dovuto affrontare nell’ultimo periodo della malattia, ha cercato sempre di proteggere i suoi genitori dal dolore.
Una generosità e un esempio di fede vissuti a 360 gradi, dunque, come ha ben espresso il vescovo: «Marzia era una bella persona e penso sia giusto che venga conosciuta all’interno della Chiesa per lei cambierà poco perché penso che si trovi già dinanzi al Signore ma per noi sarebbe una bella testimonianza da far conoscere a tutti. Lei era una persona gioiosa, piena di vita, attenta agli altri, l’espressione della sanità. Questa scelta di salvare la sua creatura è una testimonianza che di questi tempi, con i casi di cronaca che si sentono e che vanno in direzione opposta, ci aiuta a credere nella vita».


Autore:
Manuela Antonacci


Fonte:
www.iltimone.org

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Aggiunto/modificato il 2024-09-28

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