Štefan Iglódy nacque nel 1621 a Kisrozvágy, un villaggio nel Nord-Est dell’Ungheria, da una nobile famiglia calvinista e fu educato alla fede protestante sin da bambino, con particolare opposizione alla Chiesa Cattolica. Tutta l’area in cui viveva era di fede calvinista e con difficoltà i missionari cattolici riuscivano a penetrarvi, fino al 1634, quando un frate minore, padre Pietro Vallonica riuscì a stringere una santa amicizia con il nobile Juraj Melith, convertito al cattolicesimo, che sostenne l’opera missionaria dei francescani, che ospitò anche in casa propria. Padre Pietro, quindi, e i confratelli iniziarono un’intensa attività missionaria, che presto si estese anche nella città di Kisvarda, dove viveva il conte Nyáry, anch’egli convertito al cattolicesimo. Fu così che nel 1637 giunsero nel villaggio di Kisrozvágy e incontrarono il giovane Eliáš, appena sedicenne, che, curioso di conoscere meglio la dottrina cattolica, andava spesso a cercare i missionari per discutere con loro di questioni religiose. Nonostate l’opposizione della famiglia, Eliáš, appoggiato dal conte Nyáry, decise di convertirsi al cattolicesimo, ma dovette lasciare la sua casa e tutto ciò che aveva, e andò a lavorare come servitore a Kisvard. In poco tempo gli abitanti del luogo iniziarono ad ammirarlo per la fede ferma e la santità di vita e le consideravano un esempio di virtù. Eliáš incontrò nuovamente i missionari nel 1638, durante una loro visita al conte, e, conosciuto meglio l’Ordine francescano, chiese a padre Pietro di essere ammesso fra i novizi. Vestì l’abito francescano nella Pasqua del 1639 dalle mani del provinciale padre Giovanni Battista Fiorentino, nel convento di Rada, assumendo il nome di Štefan. Il suo carattere vivace e il suo entusiamo lo resero subito uno degli animatori della comunità, mentre si formava alla vita religiosa, e veniva paragonato dai frati all’Etna per la sua vitalità. Infatti, spronava i confratelli a predicare ed evangelizzare, ed era per loro un esempio di carità e di umiltà. Pregava con grande fervore, accoglieva umilmente l’obbedienza, ed essendo di lingua ungherese fu inviato nelle campagne per la questua. Non si limitava, tuttavia, alla sola questua, ma evangelizzava la gente che incontrava e li invitava a salire al convento per ascoltare la parola di Dio e trovare il Signore, come era accaduto a lui. Il 6 novembre 1639 fu inviato presso la signora Lonajova nella sua città natale per ricevere qualche aiuto per il povero convento, dove a stento i frati riuscivano a sopravvivere non avendo alcun introito. Mentre a cavallo si trovava sulla via del villaggio di Malý Horeš da due uomini, Štefan Fesset e Michal Cose, calvinisti, che lo conoscevano sin dall’infanzia lo assalirono e, legatolo a un albero, cercarono di costringerlo a rinnegare la fede cattolica. Fra’ Štefan non si lasciò intimorire, neanche quando uno di loro con due colpi di sciabola turca gli incise una croce sulla fonte, e continuò a proclamare la sua fede in Cristo nella santa Chiesa, invocando l’aiuto del Cielo: “Gesù e Maria, aiutatemi”. Il giovane frate sanguinante chiese loro di lasciarlo almeno pregare, ma adirati dal loro insuccesso, decisero di uccidero e Michal, con un coltello, gli tagliò la gola. Presero, quindi, il corpo e lo nascosero vicino il fiume Bodrog, poi tornare al villaggio cercando di vendere il cavallo. Ma l’animale venne riconosciuto dagli abitanti del luogo, che, ritrovato il corpo, fecero arrestare i due assassini, che confessarono quanto avevano fatto. Il corpo, ritrovato, fu sepolto dapprima nella Cripta dei Canonici di S. Ondrej nel Cimitero della Santa Croce di Leles e, successivamente, trasferito, nella cappella del convento di Rada. La fama di santità di Štefan si diffuse fra la popolazione, il vescovo lo salutò come martire della fede, e nella famiglia francesca si raccontò la sua storia fra quelle delle primizie delle missioni apostoliche in Ungheria. Dopo la distruzione del convento di Rada i resti di Štefan e di altri martiri andarono perduti, furono miracolosamente rinvenuti nel 2011, durante dei lavori, che portarono alla luce parte della Cappella, con i resti di 14 persone con segni di morte violenta. Il corpo di Štefan si trovava proprio al centro, dinanzi l’altare, con un anello d’argento nella mano destra a un cuore di metallo con una croce, sul quale era incisa una citazione dei Cantico dei Cantici: “Io dormo, ma il mio cuore è sveglio”.
Fonte:
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