Janjevo, Kosovo, 20 febbraio 1877 - Janosh, Kosovo, 7 marzo 1913
Sacerdote professo dell’Ordine dei Frati Minori; era consapevole dei pericoli che correva, ma restò al suo posto continuando ad esercitare il suo ministero per fedeltà alla propria missione e, prima di essere ucciso, confermò la sua piena disponibilità a morire per Cristo e per la Chiesa. I cattolici del Kosovo lo consideravano già in vita una figura esemplare di sacerdote e la sua fama di martirio si diffuse rapidamente dopo la sua morte. Papa Francesco ha riconosciuto il suo martirio in data 20 giugno 2024, per poi beatificarlo il 16 novembre successivo.
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Luigj Paliq (al secolo: Mati Palić), nacque il 20 febbraio 1877 a Janjevo, nel Kosovo, che allora si trovava sotto il dominio ottomano ed era abitato in prevalenza da musulmani. Battezzato col nome di Mati, crebbe in un contesto molto religioso tanto che anche due suoi fratelli divennero sacerdoti francescani. A diciannove anni si recò in Italia chiedendo di essere ammesso nell’Ordine dei Frati Minori a Cortemaggiore, dove entrò in noviziato ricevendo il nome di Luigi ed emettendo la professione solenne il 26 aprile 1901. Nel settembre dello stesso anno venne ordinato sacerdote e in seguito fu inviato in Patria per svolgere il ministero presso la Missione albanese dei Frati Minori. Nel 1907 divenne Rettore del Convento francescano di Gjakova e, dal 1912, fu collaboratore nella parrocchia di Peje, territorio che, a seguito della Prima guerra balcanica, venne occupato dai montenegrini, alleati dei serbi, che avviarono una politica molto repressiva contro la popolazione albanese, pressando i cattolici e gli islamici per costringerli a conversioni forzate all’Ortodossia. Difese gli abitanti locali, non solo i cattolici ma anche la popolazione di religione musulmana, esortandola a restare fedele al proprio credo. Il suo atteggiamento irritò le autorità montenegrine che disposero il suo arresto avvenuto a Peje il 4 marzo del 1913. Condotto in carcere, venne percosso e torturato e il 7 marzo, prima ancora di subire il processo, spogliato dell’abito religioso e ucciso dai soldati montenegrini. Il Martirio materiale è provato dalle testimonianze processuali ed extraprocessuali e dai documenti raccolti. Il 4 marzo 1913 venne catturato e trasferito in carcere dove fu picchiato, torturato e ucciso dai soldati montenegrini in quanto si opponeva ai soprusi perpetrati sulla popolazione e contrastava la campagna di conversioni forzate all’Ortodossia. Per quanto riguarda il martirio formale ex parte persecutoris, il suo arresto fu causato dalla sua ferma opposizione alle conversioni forzate all’Ortodossia, a cui erano costretti i cattolici e i musulmani montenegrini. Le sue proteste, infatti, gli procurarono l’ostilità dei suoi persecutori che consideravano decisiva l’omogeneità religiosa per garantirsi il controllo di quel territorio. L’odium fidei è stato quindi il motivo prevalente dela sua uccisione. Riguardo al martirio formale ex parte Servi Dei, come dimostrano gli atti, egli era consapevole dei pericoli che correva, ma restò al suo posto continuando ad esercitare il suo ministero per fedeltà alla propria missione e, prima di essere ucciso, confermò la sua piena disponibilità a morire per Cristo e per la Chiesa anche attraverso le sue ultime parole, udite e riferite da coloro che avevano assistito alla sua fucilazione. I cattolici del Kosovo lo consideravano già in vita una figura esemplare di sacerdote e la sua fama di martirio si diffuse rapidamente dopo la sua morte in tutto il territorio.
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