Caterina era nata da Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia, che uniti formavano una potenza senza eguali in Europa; ma venendo dopo altri quattro rampolli era, dal punto di vista delle alleanze, una merce di scambio meno preziosa per esempio di sua sorella Giovanna data in moglie all’Imperatore. Lei a suo tempo avrebbe ereditato il trono materno e suo figlio, diventato Carlo V, avrebbe dominato mezzo mondo. La piccola Caterina dovette contentarsi di essere un buon affare per la dinastia Tudor, che si era appena insediata sul trono inglese con Enrico VII, emerso dalle complicate turbolenze della Guerra delle due rose. Combinate durante l’infanzia di Caterina e di Arturo, primogenito di Enrico, queste nozze furono finalmente celebrate quando lo sposo aveva quindici anni e la sposa uno di più. La principessa era stata istruita nella religione e nella cultura classica, ma non nell’inglese, lingua che avrebbe appreso soltanto dopo molti anni di residenza nell’isola. L’unione durò meno di sei mesi, entrambi gli sposi risentendo del malsano clima del castello gallese che Arturo era stato mandato a governare; lei sopravvisse alle febbri, lui no. Rimasta vedova, Caterina non fu rispedita in patria, in attesa che padre e suocero decidessero cosa fare di lei - avidi entrambi, uno rivoleva la parte di dote già pagata, mentre l’altro aspettava il saldo di quanto restava da pagare. Per non perdere dote e alleato, Enrico VII la fidanzò col fratello minore del defunto, il decenne Enrico, in attesa della cui crescita la tenne poi quasi in ostaggio, isolandola dai contatti e lesinandole le risorse. Lei peraltro diede prova di intraprendenza, cercando di scavalcare la sorveglianza cui era sottoposta per appellarsi ai sovrani suoi genitori; a un certo punto riuscì addirittura a farsi nominare ambasciatore spagnolo presso la Corte inglese. Nel 1509 Enrico VII morì, e suo figlio, ormai diciottenne, la impalmò con fierezza. Per molto tempo i due andarono d’amore e d’accordo, anche se Caterina non riuscì a produrre l’erede maschio che il re sognava. Uno morì dopo pochi giorni, almeno altri due nacquero prematuramente, e già morti; sopravvisse solo una femmina. Nel frattempo Caterina si rese popolare grazie al contegno sobrio e alle opere benefiche. Una volta che funse da reggente (il marito era in Spagna, abbindolato dal suocero in un conflitto inane), vinse addirittura una guerra, infliggendo agli scozzesi la definitiva sconfitta di Flodden (1514). A cambiare la Storia fu un’altra donna, la giovane, bella e disinibita Anna Bolena, figlia di un nobile. Dopo un trascorso con la sua sorella maggiore, Enrico VIII mise gli occhi su di lei, che però da vera allumeuse flirtò e lo tenne sulla corda - o nozze o niente. Al re che si arrovellava, qualcuno ricordò allora che forse il suo matrimonio, benché ormai vecchio di ben diciotto anni, poteva essere invalidato in quanto incestuoso: in un passo del Levitico la Bibbia vieta infatti di impalmare la vedova di un fratello. Ma a parte che altrove la stessa Bibbia, vedi il Deuteronomio, loda invece proprio colui che sposi la vedova di suo fratello, nel caso specifico era stata chiesta e ottenuta una dispensa papale. Roma, cui ora si rivolse, non avallò quindi i tardivi scrupoli di Enrico, anche se il tentennante papa Medici rinviò un giudizio definitivo, sperando che nel frattempo Caterina morisse, o almeno che qualcuno, come il gottoso cardinal Casteggio, inviato a tale bisogna, la convincesse a farsi da parte spontaneamente, magari entrando in un convento. Sennonché Caterina non accettò le ragioni del marito e, quando questi la fece convocare per discutere pubblicamente il caso, spiazzò tutti inginocchiandosi davanti a lui, dichiarandogli amore, obbedienza e fedeltà, e infine sfidandolo ad affermare di non averla trovata vergine la prima notte delle loro nozze. Già, perché per rafforzare la vecchia dispensa papale l’entourage di Caterina sostenne che quelle col gracile Arturo non erano state nemmeno consumate. Lì per lì Enrico non ardì contraddirla. Caterina si rialzò maestosamente e lasciò l’aula dove non accettò mai più di ricomparire. Ma incalzato da quella belva di Anna Bolena (che pretese progressive umiliazioni di Caterina e anche di sua figlia Maria ormai considerata illegittima, facendosi tra l’altro consegnare i gioielli della regina), e sconfitto sul piano del dibattito, Enrico finì per ricorrere alle maniere forti, fino ad autonominarsi capo della Chiesa inglese, con conseguente condanna per tradimento di coloro che volevano restare fedeli a Roma. Tra questi il vescovo di Rochester John Fisher e il Lord Cancelliere dimissionario Tommaso Moro furono decapitati. Fu per riguardo al loro rango: gli altri dissidenti venivano impiccati per un po’, quindi, ancora vivi, sbudellati molto lentamente. Sempre più emarginata, spogliata di ogni privilegio e persino affamata, Caterina non rinunciò mai a farsi chiamare regina da chi aveva intorno, e intorno a lei si raccolse un notevole ancorché violentemente represso consenso popolare, soprattutto femminile. Il declino durò alcuni anni. Da ultimo il suo orgoglio iberico si portò nella tomba il rimorso di avere causato uno scisma che un sacrificio personale avrebbe potuto evitare. Peraltro, meglio che niente, Caterina aveva scongiurato una guerra: Chapuys, il savoiardo ambasciatore di Carlo V che le fu vicino negli ultimi tempi, le diede atto di avere diffidato il potente nipote, il quale per la verità la spalleggiava senza troppo ardore, dallo scatenarne una per lei. Caterina si spense nel 1536, solo sei mesi prima che la sua rivale Anna Bolena salisse sul patibolo, condannata dal sovrano che era riuscita a esasperare. Anche lei invece del sospirato maschio aveva prodotto solo una femmina, che il padre si affrettò a escludere dalla successione, come aveva fatto con la sua sorellastra. Ma le figlie di Enrico VIII avrebbero regnato lo stesso, prima Maria che per vendicare la madre si meritò l’epiteto di Sanguinaria, quindi, gloriosamente, Elisabetta.
Autore: Masolino D'Amico
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