In un piccolo borgo della Grecìa salentina, Melpignano, nacque Niccolò Majorano intorno al 1491-92 da famiglia nobile originaria di Reggio Calabria. Il clero del suo paese era sia di rito latino che greco-bizantino e Niccolò poté probabilmente apprendere il greco grazie ad un parente sacerdote. Vivo era ancora l’eco dei tragici eventi che bagnarono di sangue innocente la vicina Otranto, appena un decennio prima, con l’eccidio degli Ottocento suoi Santi Martiri, fulgido esempio di Fede vissuta fino alla donazione totale della vita. Sono gli anni in cui la Chiesa parrocchiale, dedicata al patrono S. Giorgio, è interessata da importanti lavori di ristrutturazione e in paese vive una numerosa comunità di commercianti provenienti, in particolare, da Bari e da Napoli impegnati nell’importante mercato settimanale. Niccolò fu probabilmente allievo di Sergio Stiso, un dotto grecista della non distante Zollino, precettore presso gli Acquaviva d'Aragona. Stiso, infatti, ricevuta dalla Biblioteca Vaticana la proposta a collaborare allo studio del fondo manoscritti greci, rinunciò perché ormai anziano, ma propose proprio Majorano che, negli anni Venti del Cinquecento, si trasferì quindi nella capitale della Cristianità. Majorano, nel frattempo ordinato sacerdote, iniziò a collaborare con la Biblioteca Vaticana intorno al 1528; da pochi mesi Roma aveva subito il Sacco dei lanzichenecchi. Il 17 maggio 1532 fu nominato da papa Clemente VII custode della Biblioteca: prestò giuramento e tra i primi impegni ci fu la compilazione dell'inventario generale, datato 15 agosto 1533, insieme al bresciano Fausto Sabeo, lavoro indispensabile proprio a causa del Sacco. Majorano si occupò dei manoscritti greci e continuò i suoi studi. Nel 1535 fu inoltre nominato lettore di greco alla Sapienza, docenza che durò almeno venticinque anni. A Roma Majorano strinse rapporti con importanti prelati e insigni studiosi. Frequentò la casa del cardinale Niccolò Ridolfi, in cui conobbe eruditi greci e italiani e il palazzo del cardinale Marcello Cervini, futuro papa Marcello II. Fu amico dell’umanista Fulvio Orsini, al quale donò alcuni volumi da lui annotati. Nel luglio 1536 fu ospite del vescovo di Verona Gian Matteo Giberti che probabilmente aveva conosciuto proprio a Roma. Nel 1545 Majorano diede anche principio a importanti pubblicazioni: i sermoni De providentia di Teodoreto di Ciro. Nella dedicatoria a Ridolfi riferisce che lavorando ai cataloghi della Vaticana, si imbatté in un codice contenente l'opera di Teodoreto che subito apprezzò per dottrina e stile. L’intuizione di pubblicarli fu felice: furono ristampati l'anno dopo a Zurigo, seguì la traduzione latina, pubblicata anch'essa a Zurigo nel 1546 grazie al consorte di Regula Zwingli, figlia del riformatore. Nel febbraio 1545 Cervini stipulò un accordo con Majorano per la pubblicazione del commento greco di Eustazio su Omero, di cui era uscito il primo volume nel 1542. Nel giugno 1545 uscì il secondo volume, ma l'impresa si arrestò a causa del fallimento dell’Editore Giunti. I restanti volumi, fino al quinto, furono pubblicati entro il 1550, con una dedica a Giulio III, eletto pontefice quell’anno, insieme a un trattato latino su Omero ed Eustazio. In un altro volume, dedicato a Enrico di Valois, Majorano accennò agli impedimenti che avevano ritardato il lavoro. Citò poi il cardinale Ridolfi che aveva messo a disposizione un commentario e i cardinali Cervini e Maffei, finanziatori dell’opera. Nel 1548 il cardinale Sirleto scrisse a Cervini di avere iniziato, insieme con Majorano, un nuovo indice dei 512 codici greci vaticani. Nel 1550 era stato predisposto un organigramma completo dei funzionari della Biblioteca e i due custodi indicati furono Fausto Sabeo e Niccolò Majorano. Il 19 agosto quest’ultimo inviò a Cervini una traduzione latina delle omelie di Giovanni Crisostomo, da un codice del cardinale Domenico Capranica. Studiò gli Idilli di Teocrito tradotti in latino e, nel 1553, pubblicò tre orazioni greche di s. Giovanni Damasceno dando il merito al Sirleto di averle scoperte in un codice vaticano. Fu il cardinale ad esortarlo alla pubblicazione cui il melpignanese aggiunse un'altra orazione, di Teodoro Studita, e la vita greca del Damasceno scritta da Giovanni patriarca di Gerusalemme. Nel febbraio del medesimo anno donò alla Vaticana un manoscritto da Euclide. Alla fine del 1553 giunse la nomina di Majorano a vescovo di Molfetta e si concluse il suo servizio nella Biblioteca Vaticana che però continuò a frequentare. Nel gennaio dell’anno seguente donò a Cervini il "Proclus in quadripartitum Ptholomaei" (IX-X secc.), nell’aprile dell’anno seguente fece dono alla Biblioteca di diversi manoscritti greci. Dalla corrispondenza di due eruditi contemporanei risulta che negli anni 1554-57 Majorano lavorò su un’antichissima copia della Bibbia con l’augurio da parte di molti che pubblicasse le sue annotazioni, opera che però non riuscì. Al principio del 1556 Majorano fu nominato da papa Paolo IV membro di una congregazione di 62 prelati per discutere sulla riforma della Chiesa. Nel marzo 1560 Majorano partì finalmente per Molfetta, città di cui fu vescovo fino al 13 marzo 1566, quando rinunciò per motivi di salute- causa l’aria malsana - e gli succedette il nipote, Majorano Majorani. Una lettera di Majorano a Fulvio Orsini dell’agosto 1568 testimonia la sua presenza a Roma, dove rimase almeno fino al 1572. Majorano trascorse gli ultimi anni della vita, in famiglia, nella natia e tranquilla Melpignano. Assai devoto della Madonna, presso la Chiesa Madre di S. Giorgio fece realizzare una cappella dedicata alla Beata Vergine del Rosario per favorire il suffragio delle anime dei defunti, ottenendo nel 1584 con Bolla di Gregorio XIII una indulgenza plenaria. A Majorano si deve infine la realizzazione dei caratteristici portici in pietra leccese della piazza antistante la parrocchiale, per lo svolgimento dell’importante mercato settimanale. Morì ultranovantenne “con gran opinione di bontà di vita” (Nicolò Toppi in Biblioteca Napoletana, 1678) alla fine del 1584 o all'inizio del 1585. Fu sepolto nella cappella del Rosario, ma la tomba venne poi smantellata nel 1790 e se ne conserva oggi solo la parte superiore. Alcuni codici manoscritti studiati dal Majorano confluirono alla Biblioteca Nazionale di Parigi.
Autore: Daniele Bolognini
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