La città di Brescia ha dato alla Chiesa, nei secoli, figure straordinarie, uomini e donne che hanno incarnato autenticamente lo spirito del Vangelo. Alcuni di essi sono oggi venerati sugli altari, altri ormai sono noti a pochi studiosi. Tra questi un caso emblematico rappresenta Laura Mignani, un’agostiniana claustrale, vissuta a cavallo tra il XV e il XVI secolo, circondata in vita da una chiara fama di santità con un ruolo raramente ricoperto da una donna. Fu una sorta di “madre spirituale”, una consigliera straordinaria per alcune personalità e saggia confidente di alcuni santi il cui nome è oggi noto in tutta la Cristianità. Laura nacque nella cittadina lombarda, nella nobile famiglia Mignani, tra gli anni 1470-1480. Il 3 maggio 1491 entrò nel Monastero agostiniano di S. Croce, tra i più importanti della città, cenobio in cui ebbe modo di conoscere una giovane consorella che sarebbe morta, a distanza di solo un anno, appena venticinquenne, in concetto di santità, la “beata” Lucia da Sarnico, e la futura fondatrice del monastero bresciano di Sant’Urbano, Isabetta di Ardesio che convertita da una vita dissoluta, visse il resto dell’esistenza sostanzialmente “murata” nella sua cella. Suor Laura, “distinguendosi ben presto per non comuni doti di intelligenza e di pietà”, diede vita, negli anni, a una fitta rete di corrispondenze spirituali nonostante i tempi non certo facili che la città dovette affrontare, basti pensare al cruento saccheggio perpetrato da Gastone de Foix nel 1512. Erano in molti a frequentare il monastero “per ascoltare, domandar consiglio, supplicare” suor Laura che rispondeva con “animo virile” e “un’audace ispirazione al bene”. Gli scritti dello storico Carlo Doneda del 1774 (Notizie storiche del Monastero di S. Croce), riferiscono di un carisma straordinario che varcò ben presto le mura cittadine, avvalorato da penitenze e discipline che la religiosa si imponeva con strumenti poi conservati come preziose reliquie. Illustri nobildonne si rivolsero all’agostiniana, anche tramite missive. Fu in rapporto epistolare con Margherita d'Asburgo (1480-1530), figlia di Massimiliano I e consorte del duca di Savoia Filiberto II che nel 1502 le donò una copia della S. Sindone. Ebbe rapporti con Lucrezia Borgia duchessa di Ferrara e con Elisabetta Gonzaga, duchessa di Urbino, con membri della famiglia Gambara di Verolanuova, con Bartolomeo Scaini di Salò, con il carmelitano bolognese Giovanni Battista Pallavicini e con vari religiosi agostiniani della Lombardia. Tutti si raccomandavano alle sue preghiere. Soprattutto, però, fu consigliera spirituale di importanti esponenti della Chiesa: il sacerdote Bartolomeo Stella, che indirizzò a un rinnovamento della fede, il card. Giovanni Pietro Carafa (futuro Paolo IV), san Girolamo Miani, fondatore dei Somaschi, e san Gaetano Thiene che la considerò una “divina madre”. Con quest’ultimo condivise una “tensione spirituale” …” orientata verso l’annullamento di sé finalizzato al raggiungimento della perfezione”. Alla Mignani san Gaetano descrisse la mistica visione che ebbe nel Natale 1517 presso la Basilica romana di S. Maria Maggiore. Chiamandola “Veneranda Madre in Cristo”, così scrisse il 28 gennaio 1518: “… In tutte le vostre lettere affiora il piacevole ricordo della mia povera persona: ciò mi rende felice; certo non posso ricambiarvi degnamente, ma ci provo ugualmente; […] O infelice sorte di tanta mia cecità! Sarebbe ora che io mi svegliassi per prendere una decisione: o ritirarmi e umiliarmi come indegno o, come fedele dispensatore e umile tesoriere, farmi ministro dell’umile Signore. Ogni giorno prendo Colui che mi grida: “Impara da me che sono umile…” ed io resto superbo; prendo la Luce e la Via che mi dice: “Seguimi” ed io resto nel mondo; prendo quell’ardente fuoco che mi dice: “Sono venuto per portare il fuoco e la spada…” ed io resto freddo, pigro e attaccato agli affetti di questa misera vita. E tuttavia l’infinita pazienza paterna mi tollera, mentre io non so tollerare avversità alcuna per il mio Signore. […] Sarebbe ormai ora, Reverenda Madre in Cristo, che io facessi guerra senza quartiere a questi miei tre irriducibili e pestiferi nemici e con l’aiuto della Croce superarli. […]”. Suor Laura Mignani morì il 10 gennaio 1525; fu trovato nelle sue carni un cilicio con cinque chiodi a ricordo dei chiodi della Passione di Cristo. Dopo la morte si constatò una ferita al fianco destro, vista rosseggiare a distanza di circa un secolo. Fu sepolta in chiesa dove erano già custodite le spoglie mortali della consorella “beata” Lucia. Subito sull’altare furono posti ex voto, popolarmente fu chiamata ‘beata’ e si diffusero immagini con i raggi intorno al capo. Il corpo incorrotto della Mignani nel 1618 fu posto in un’arca collocata su un altare nel coro del monastero. Nel 1773 l’arca fu incorporata in un altare, ma neppure successivamente di suor Laura Mignani fu avviato il processo di beatificazione.
Autore: Daniele Bolognini
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