Fratel Gianni Bonafini è nato nel 1935 nella contrada Bellori presso Lugo in Valpantena. La sua famiglia era formata da persone di profonda fede e attaccata al lavoro. Fratel Gianni aveva cinque fratelli e due sorelle. Fu molto colpito dalla morte di suo papà Giorgio avvenuta a causa del carro rovesciatosi sulla strada proprio nel giorno di Natale del 1957. La mamma Maria era una donna forte e coraggiosa. Si tirò su le maniche e non perse la speranza, confidando nel Signore e nella buona qualità dei suoi figli. In parrocchia a Lugo si respirava aria missionaria, grazie alla presenza della stampa come NIGRIZIA e il PICCOLO MISSIONARIO. Passarono poi in quel paese dei Missionari Comboniani che lasciarono una profonda impressione nel giovane Gianni. Accompagnato dalla mamma Maria, si recò a Thiene, nella casa di formazione per aspiranti Missionari Comboniani laici, cioè non sacerdoti. Gianni si mise di buona volontà sotto la guida di fratel Giuseppe Biasin, un grande uomo e uno specialista di meccanica. A 19 anni passò a Gozzano (NO) per il Noviziato. Dopo un anno, fu scelto per continuare la sua formazione in Inghilterra. È là che ha fatto la professione religiosa e poi ha continuato la sua formazione professionale fino al 1959. A questo punto della sua vita, dietro indicazione dei suoi superiori, partì in Uganda per vivere la Missione nella pratica e con l'insegnamento della sua vita. “Da quel momento – ha detto fratel Gianni a fratel Duilio Plazzotta che lo intervistava – non ho più avuto né dubbi né tentennamenti sulla mia vocazione di Fratello Missionario Comboniano, da vero Fratello DOC!”. Nell'Istituto dei Missionari Comboniani (fino al 1979 erano chiamati “Figli del Sacro Cuore di Gesù”) tutti i membri, Padri e Fratelli, si consacrano alla Missione, secondo il carisma di san Daniele Comboni. I Sacerdoti si dedicano in modo particolare alla predicazione e alla celebrazione dei Sacramenti. E i Fratelli laici, come Gianni Bonafini, sono Missionari con le mani e con il cuore. Si dedicano cioè al lavoro pratico nei paesi di Missione, come meccanici, muratori, elettricisti, medici e specialisti di altre professioni. Ma nel loro lavoro ci mettono il cuore. Danno testimonianza cioè di una vita autenticamente cristiana. In breve insegnano il Vangelo più con il lavoro manuale che con la parola. Sono Missionari “con le mani e con il cuore!”. La Regola di Vita, documento che è alla base della formazione e della vita dei Missionari Comboniani, dice precisamente così: “I fratelli realizzano la loro consacrazione missionaria a Dio, partecipando attivamente all'edificazione e crescita della comunità umana e cristiana, attraverso l'esercizio del lavoro professionale, la collaborazione al lavoro pastorale secondo i bisogni concreti delle singole comunità e la testimonianza evangelica della vita. In tal modo essi offrono un apporto particolare a quella promozione umana che è parte integrante della evangelizzazione” (RdV n. 11.2). È esattamente quello che fratel Gianni ha fatto a Ombaci in Uganda. Vi è arrivato che non aveva che 24 anni, ma sul posto ha trovato dei Confratelli di grande esperienza, come il superiore p. Luigi Ponzoni e altri fratelli come fr Cometti Luigi, fr Staton Robert, fr Menini Ulderico e fr Fochesato Giovanni. Andavano d'amore e d'accordo, la scuola passò da 70 allievi a più di 600. Fratel Gianni, oltre all'insegnamento e alle varie costruzioni, si dedicava molto anche allo sport, soprattutto il calcio. Gli allievi provenivano da diverse etnie, come Acholi, Madi, Lango, Logbara, Kakwa, ecc. Grazie allo sport, si superavano le divisioni etniche. Ma le guerre e le violenze non mancarono. Dapprima Amin Dada cacciò il governo di Milton Obote nel 1971, poi i Tanzaniani del Mwalimu Nyerere Julius attaccarono l'Uganda dello stesso Amin Dada nel 1979, un vero dittatore la cui politica era divenuta insopportabile a livello internazionale. Comunque sul terreno ugandese il dittatore Amin Dada ha lasciato almeno 500.000 morti. Le avventure vissute da fratel Gianni in quei momenti difficili non si contano. Assieme agli altri Missionari ha difeso tutti gli Ugandesi, senza distinzione di partiti o di religione. Non si contano i viaggi che fratel Gianni ha fatto con la macchina della missione per portare in salvo in Congo tutti quelli che volevano fuggire dalla persecuzione e dalle violenze. Un giorno era riuscito ad accompagnare alla frontiera congolese un gruppo di persone; ma ormai era notte. Tornando fu fermato da un gruppo di soldati. Che fare? Spense i fari della sua auto e partì in quarta. Ce la fece a passare e nessuno sparò. Ringraziò la Provvidenza e tirò un sospiro di sollievo. Dopo vent'anni a Ombacì, passò a Moroto nel Karamoja, dove rimase 5 anni. Poi il Vescovo di Arua lo chiamò nella sua diocesi e gli affidò l'economato. Il lavoro non mancava di certo. Ma soprattutto fratel Gianni non dirigeva i suoi collaboratori come un capo di un'impresa. Si interessava dei loro problemi e li aiutava non solo a lavorare in maniera conveniente, ma anche a vivere cristianamente. Tutti i suoi operai hanno formato delle belle famiglie, dopo aver ricevuto il sacramento del matrimonio. Di questo se ne gloriava e a ragione. Quando a Koboko sono giunti i primi studenti che avevano frequentato l'Università e sono stati assunti come insegnanti, fratel Gianni fece questo commento: «San Daniele Comboni aveva sempre detto che bisognava “Salvare l'Africa con l'Africa” ed è quello che noi facciamo: ora lasciamo il lavoro a coloro che abbiamo formato e che ora prendono il nostro posto. Il Missionario è un attore provvisorio, sempre disposto ad andare dove c'è bisogno di lui!». A Ombacì fr. Gianni è stato in comunità anche con p. Bernardo Sartori, morto in odore di santità e dichiarato Venerabile da Papa Francesco nel 2019. Così ha testimoniato: “Padre Bernardo Sartori da Otumbari è venuto da noi a Ombacì a causa della guerra. In chiesa lo vedevo in ginocchio, arrivato lì sempre prima di me. Mi colpiva la sua testimonianza di vita di preghiera e di santità. La mattina di Pasqua del 1983, mi recai in chiesa. Trovai p. Sartori disteso sui gradini dell'altare con le braccia spalancate a forma di croce, il rosario in mano, la lampada a petrolio, ancora accesa, posata per terra. Era morto così, santamente: la Madonna, di cui era devotissimo, era venuta a prenderlo per vivere insieme con lui la gioia della Pasqua del suo Figlio Gesù”. Dopo 61 anni, era tempo di tornare in Italia. Siamo nel 2022. La salute non era più solida come una volta. Ma fratel Gianni aveva il suo cuore in Africa. E spesso scriveva al Superiore Generale chiedendo di tornare in Missione per lasciarvi le sue stanche ossa. La risposta però era sempre la stessa: “Vedremo...”. Poi arrivò una lettera ufficiale con la quale era destinato all'Italia. Fratel Gianni masticò amaro e disse: “Non credevo fosse così difficile rimanere nel proprio paese di origine dopo tanti anni di Missione!”. Si è spento serenamente il 5 gennaio 2024 a Castel d'Azzano (VR). Fratel Gianni Bonafini non è stato un “turista missionario”, ma si è identificato con la popolazione in mezzo alla quale ha lavorato. Ne parlava la lingua, conosceva la loro cultura e la loro storia. Andava a trovare tutti nelle loro capanne e nei villaggi. Si presentava a tutti come un fratello, come una persona affascinata dal Vangelo di Gesù, desiderosa solo che il comandamento dell'amore, quel solo che il Signore ci ha lasciato, divenisse la regola di vita della chiesa e della società intera.
Autore: Tonino Falaguasta Nyabenda
Fonte:
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Missionari Comboniani Veronesi
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