Per incontrarlo e per una sua parola salivano dal mare o scendevano dalle colline. Arrivavano da vicino e da lontano. Uomini e donne. Adulti e bambini. Ad ogni ora. Alla spicciolata o in piccoli gruppi organizzati. Ripartivano illuminati e sereni. Un ininterrotto pellegrinaggio di anime in pena durato oltre 35 anni. Padre Fortunato si faceva trovare al solito posto disponibile ad accoglierli come li aspettasse da sempre. Il confessionale testimone e depositario di tante segrete sofferenze e di luminose parole di grazia è ancora lì in fondo alla chiesa. E a guardarlo ancora oggi ti scorrono davanti agli occhi e dentro il cuore immagini di una vita edificante e ricca di bene.
Un abruzzese in ciociaria La sua famiglia è distinta e benestante. Possiede fabbricati e terreni non solo in Abruzzo ma anche nel Lazio. Commercia in bestiame e seta. E’ benvoluta da tutti. Gli antenati hanno scritto belle e incancellabili pagine di storia che in paese sanno a memoria e che i discendenti stanno degnamente onorando. L'agiatezza non ha seppellito l'onestà né ha fatto loro dimenticare l'amicizia cordiale e sincera. Abitano a Roccavivi (L’Aquila), una spruzzata di case aggrappate alla roccia. Qui dove l'Abruzzo forte e gentile tende la mano al vicino Lazio "ciociaro", il 3 marzo 1826 nasce Fortunato da Luigi De Gruttis e Angela Colone. E' il primo di sei figli e lo chiamano Paolo, rinnovando il nome del nonno paterno. Tre di loro diventeranno ottimi sacerdoti e questo già testimonia la bontà dell'ambiente familiare. Gli altri vivranno con coerenza la propria vita cristiana. L'infanzia di Paolo scorre limpida come l'acqua del fiume Liri che gorgoglia giù nella valle accompagnando il silenzio del paese. Episodi particolari da raccontare non ce ne sono. Basta dire che sono contenti di lui in casa e fuori. Il peccato più grave da lui commesso? aver preso in casa un uovo e averlo bevuto senza il permesso della mamma. Il diavolo durante un esorcismo non troverà un’altra mancanza da rimproverargli. A 13 anni il 10 ottobre 1839 riceve la cresima nella vicina chiesa parrocchiale dove è chierichetto da sempre. A 14 (c'è da aspettarselo e nessuno si meraviglia più di tanto) entra nel seminario diocesano di Sora, dove resterà tre anni. I superiori gli rilasciano questa carta di identità: diligente nello studio, irreprensibile nella condotta, fervente nella pietà. Nel marzo del 1842 arrivano a Sora i Passionisti e si stabiliscono in un vecchio convento abitato precedentemente dai Cappuccini. L'accoglienza è festosa. Ci sono tutti: vescovo, seminaristi, popolazione. Il loro arrivo è una benedizione per tutta la zona. Predicano missioni nei paesi vicini e nella stessa città di Sora. I seminaristi vanno spesso nella loro chiesa per le confessioni, a volte sono i religiosi stessi ad essere chiamati in seminario per dettare meditazioni. Paolo si sente attratto dal loro stile di vita fatto di solitudine, preghiera e penitenza. Riflette, chiede consigli, implora luce dal Signore. Dopo un corso di esercizi spirituali predicati dal passionista padre Raimondo Scannerini, Paolo vede chiaro il suo futuro e matura definitivamente la decisione: chiede ed ottiene di lasciare il seminario diocesano per entrare tra i Passionisti. Parte con la benedizione del vescovo e il consenso dei genitori. Nel giugno del 1843 arriva nel convento di Paliano (Frosinone) dove inizia il noviziato prendendo il nome di Fortunato Maria. L'anno seguente, il 15 giugno, emette la professione religiosa. Prosegue il cammino verso il sacerdozio nel convento di Ceccano (Frosinone) successivamente in quello di San Sosio presso Falvaterra (Frosinone), quasi ai confini tra il regno di Napoli ed il regno pontificio. Nella formazione intellettuale curata con impegno e profitto ha ottimi maestri; degno di particolare citazione il confratello padre Gabriele Abisati teologo al concilio vaticano primo. E' ordinato sacerdote a 22 anni e 10 mesi il 23 dicembre 1848 in un periodo particolarmente incerto e burrascoso per l'Italia che soffre rivoluzioni, spargimento di sangue e vendette politiche. Per questo l’ordinazione avviene nella cappella privata dell’episcopio di Veroli, quasi in clandestinità. La festa è tutta racchiusa nel cuore di Fortunato. Il neo-sacerdote porta all'altare la sofferenza della chiesa perseguitata e del papa profugo a Gaeta. Anche i Passionisti sono chiamati a pagare il loro tributo di dolore alla difficile situazione. Alcuni loro conventi vengono requisiti e i religiosi ne sono arbitrariamente espulsi. Nei primi anni del suo sacerdozio Fortunato peregrina per varie case religiose soprattutto nel basso Lazio e in Campania: San Salvatore Maggiore, diocesi di Poggio Mirteto nel 1851; Pontecorvo nel 1852; Ceccano nel 1853; Caserta nel 1857; ancora Ceccano nel 1866. Si dedica per quasi 10 anni alla predicazione di missioni popolari e di esercizi spirituali offrendo ovunque l'esempio di sacerdote umile, preparato e zelante. Nel 1857 lascia ogni tipo di predicazione e nel 1869 pianta la tenda a San Sosio dove resterà fino alla morte. La salute minata da artrite reumatica con complicazioni cardiache non gli consente più la vita di missionario itinerante con il carico di impegni e faticosi viaggi. Come pure per motivi di salute non ricopre posti di responsabilità: i confratelli gli risparmiano ulteriori fatiche e preoccupazioni. Passerà la vita nel ministero delle confessioni. Nei pochi ritagli di tempo libero, comporrà “scritti spirituali” raccolti in un opuscoletto dal titolo “Filagia. Un pensiero per l’anima”. L’operetta, il cui titolo significa “amante della santità”, contiene utili consigli per la vita spirituale e per la meditazione, suggerimenti per offrire a Dio la propria giornata, precisazioni circa i fondamenti della perfezione. Non ci sono grandi novità in quello che scrive, ma il tutto gli nasce dal cuore risultando frutto e testimonianza della sua esperienza. Fortunato esce dal convento solo per visitare qualche malato. Sul finire del 1905 quasi ottantenne la sua malattia si aggrava. Scendendo in chiesa l’ultima volta per le confessioni, ad un’anima che gli chiede un ricordo spirituale da portare con sé dice semplicemente: “Ama Dio, temi Dio”. Era stato il programma e l’insegnamento di tutta la sua vita. La mattina del 4 novembre 1905, dopo la celebrazione della messa, confida al religioso infermiere: "Fratel Antonino, è giunta l'ora di andare in paradiso”. E poi lo prega caldamente: “Ti raccomando di farmi morire vestito da passionista e di non procurarmi un letto più soffice". La sera è colpito da improvvisa paralisi che lo lascia immobile e privo di parola. Non guarirà più. Muore all'alba del 28 dicembre, in quel convento di San Sosio, dove per 37 anni consecutivi è stato ministro di grazia e di perdono per innumerevoli anime. Nonostante il pessimo tempo ed i rigori invernali, una folla immensa accorre ai suoi funerali e lo proclama subito "santo". Molti di nascosto gli tagliano pezzetti delle vesti per avere un ricordo su cui nei momenti di sconforto e di bisogno posare gli occhi ed appoggiare il cuore. Per accontentare tutti è necessario ridurre in piccoli frammenti un suo vecchio abito che si rivela provvidenzialmente utile nella circostanza. E' sepolto nella cappella costruita nel giardino del convento. Esumato nel 1926 le sue spoglie mortali riposano nella chiesa di San Sosio vicino a quel confessionale che era stata la sua casa. Anche oggi i fedeli si fermano davanti alla sua tomba a raccontargli i propri problemi, a confidargli le proprie amarezze. E se ne ripartono rasserenati. C'è da giurare che Fortunato continua ad ascoltarli e confortarli. La chiesa, riconoscendolo eroico nella pratica delle virtù, lo dichiara venerabile l’11 luglio 1992.
Martire del confessionale Fortunato, dunque, passa il suo tempo e la sua vita svolgendo il ministero della riconciliazione e della direzione spirituale. "Confessando, dice, rendo qualche beneficio alla mia congregazione a cui altrimenti sarei solo di peso". Gli ultimi trentacinque anni della sua esistenza vivono l'apparente e tremenda monotonia del confessionale. Trentacinque anni consacrati al delicato e misterioso contatto con le coscienze. Ministro della riconciliazione. Dispensatore di luce e certezze. Trasparente e dolce icona della paternità di Dio e veicolo prezioso della sua misericordia. Il decreto vaticano sull'eroicità delle sue virtù lo definisce "martire del confessionale". Ogni giorno, per tanti anni scrive stupende storie di grazia sulle pagine viventi delle anime. A loro si accosta con stupore e con delicatezza incarnando la figura di Gesù "mite e umile di cuore". Dei penitenti è padre e fratello, pastore e amico. Samaritano sempre pronto a lenire i dolori dei cuori spezzati dal male. E' sensibile, accogliente, equilibrato, prudente ma soprattutto santo: solo così si spiega la lunga fila di penitenti davanti al suo confessionale. Pazienti, attendono per ore e ore sospirando il proprio turno. Alcuni anticipano addirittura l'alba per abbreviare il tempo dell'attesa. Spesso ci si allontana dal confessionale piangendo. “Cosa dirà mai padre Fortunato a questa gente, per farla piangere così?”, si domandano in molti. Niente di staraordinario, ma Fortunato ha avuto il dono di far comprendere il mistero del peccato e la bontà di Dio crocifisso per amore e dall’amore. E’ riuscito a scavare negli abissi del cuore risvegliando la nostalgia di Dio. "Quelle sì che erano confessioni... non quelle di adesso", dirà in seguito qualche testimone. Non è accomodante, non nasconde il male, a volte può sembrare addirittura severo; eppure chi si confessa da lui non lo abbandona più e non ricerca altri confessori. Dai paesi vicini e lontani vanno a San Sosio a turno: i penitenti spontaneamente si sono distribuiti lungo i giorni della settimana. Ad inginocchiarsi davanti a lui non è soltanto gente del popolo; arrivano anche suore, religiosi, sacerdoti. Ed i frutti di bene sono evidenti. Con la sua direzione spirituale avvia molti alla vita religiosa. A volte non è necessario che i penitenti manifestino i loro peccati perché è lo stesso Fortunato che ne fa un elenco preciso e completo con evidente stupore degli interessati. Lo vedono confessare sempre rivolto e piegato sul lato destro: non è sordo all'orecchio sinistro, come pensano alcuni che non riescono a spiegarsi altrimenti quell’atteggiamento. Ve lo costringe la malattia cui si è accennato. Resta così per ore e ore chiuso nel confessionale non certo comodo e riposante, mentre la processione dei penitenti aumenta sempre più. Anticipando i tempi esorta alla comunione frequente, addirittura quotidiana anche senza premettere la confessione quando l’amicizia con Dio è solo incrinata e non rotta dal peccato grave. Il suo donarsi ai penitenti non finisce in confessionale: li porta tutti nel cuore e li presenta al Signore nella preghiera, durante la quale resta sempre in ginocchio nonostante la malattia. Stare immobile in contemplazione estatica gli è del tutto naturale. Da Fortunato accorrono anche per altri doni di cui Dio lo ha arricchito. Prima fra tutti quello di scacciare i demoni che si devono piegare ai suoi esorcismi. "Brutto vecchiaccio rimbambito... ecco adesso viene il saccoccione" ridacchiano beffardi i demoni quando lo sentono avvicinarsi con il suo solito passo. "Sì, risponde sereno Fortunato, ma intanto io vivo nell'amicizia di Dio e nel suo nome dovete obbedirmi". E ubbidiscono veramente. Schiumando rabbia, minacciando vendetta, come quando... Già, come quando... Ma dove cominciare se gli episodi sono tanti? Gustiamone qualcuno. Devono ubbidire. Come quando Fortunato comanda di andare sulla cantoria e suonare l’organo... Come quando impone di ripulire durante la notte tutte le maleodoranti cloache del vicino paese di Falvaterra... Un’altra volta Fortunato ordina di salire sull’altare e spegnere le candele. In quest’ultimo caso il diavolo preferisce lasciare l’ossesso piuttosto che fungere da sacrestano. Anzi i diavoli sono addirittura costretti a rivelare cosa negli esorcismi li tormenta maggiormente. Un prezioso vademecum di atteggiamenti e preghiere di indubbia efficacia di cui si servirà Fortunato nel fare gli scongiuri. Nel convento si ammirano ancora quadri votivi di ossessi liberati. Distingue però molto bene le autentiche possessioni diaboliche da disturbi psichici di ben altra origine. Ma c’è dell’altro: Fortunato è spesso rapito in estasi, predice il futuro, con le preghiere e le benedizioni ottiene grazie sorprendenti. E poi, ci sono testimonianze giurate, ha il dono della bilocazione. Lo vedono nei paesi dei dintorni e perfino in America. Al superiore arrivano lettere di persone che ringraziano per la premurosa e gradita presenza del religioso accanto a loro in particolari situazioni di sofferenza e di necessità. E dire che nelle circostanze riferite, Fortunato non si è mosso dal convento. Al superiore che timidamente chiede qualcosa sull'argomento, Fortunato candidamente risponde: "padre non cerchi la spiegazione di tante cose dal momento che non si possono dare spiegazioni umane". A raccontarli tutti, questi fatti straordinari, ne verrebbe fuori una piacevole e ricca antologia. Fortunato è stimato dentro e fuori convento. Lo chiamano il “santo di San Sosio”. Un testimone lo ricorda come un "un uomo molto sereno e serenatore, calmo, dolce, molto affabile, docile e paziente... l'idolo della gente, l’amico dei giovani". "Sacerdote piissimo ed esemplare in tutte le virtù", lo scolpisce un altro. Nella tarda età lo vedono passeggiare appoggiato al suo inseparabile bastone. Si ferma a parlare con bambini e adulti regalando confetti e caramelle, oggetti di devozione ed una buona parola. Sempre lieto e grato al Signore per la sua vocazione passionista che vive con impegno radicale e gioioso: trova la sua realizzazione e serenità nella solitudine e nella preghiera, nella povertà e nella penitenza, nella riconoscente memoria della passione di Gesù e dei dolori di Maria.
Autore: Pierluigi Di Eugenio
Fonte:
|
|
www.passionisti.org
|
|