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Elkanà Padre del profeta Samuele

Festa: Personaggi biblici



All’inizio dei libri di Samuele troviamo la storia di una coppia, Elkanà e Anna, che saranno i genitori del profeta Samuele (1 Sam 1-2). Elkana di Rama ha una seconda moglie, Peninnà. Anna è sterile mentre Peninnà ha già dato al marito dei figli. Non sorprende che Elkana ami di più Anna, la moglie sterile (anche Giacobbe preferiva Rachele, inizialmente sterile, a Lia).
Di Anna, nel testo biblico non si dice mai che è “sterile”, come Sara, o Rebecca, come Rachele, come la madre di Sansone, e poi nel NT come Elisabetta. Di Anna, l’autore dice, per ben due volte, che “non aveva figli, perché il Signore aveva chiuso il suo grembo” (1,2.5).
Peninna appare solamente nella scena di apertura della storia (1,1-8). È poi ignorata essendo in gergo tecnico un personaggio di contrasto: ha la funzione di mettere in risalto per contrapposizione una caratteristica del personaggio principale, in questo caso si tratta della sterilità di Anna.
La coppia che ci viene presentata all’inizio del Primo libro di Samuele, è forse per noi una coppia “strana”. Elkanà è un poligamo, ha due mogli. Certamente nulla di strano per la cultura del tempo ma non così per noi. Tuttavia la loro vicenda è interessante perché ci fa vedere come Dio cammina con le coppie, le famiglie, così come le trova il Dio biblico, entra in una cultura ma non si limita a fotografarla ma la interpella; così la vicenda della coppia costituita da Elkanà e Anna ci dimostra come, anche in spazi segnati da una cultura e da strutture sociali, è possibile vivere un amore nella libertà.

La priorità dell’amore in ogni relazione
Questa situazione però porta a un duro scontro familiare tra le due donne. Peninna trova ogni occasione per umiliare Anna perché Dio l’ha resa sterile (1,6) ed Elkana nel tentativo di consolarla le sussurra:
«Anna, perché piangi? Perché non mangi?
Perché è triste il tuo cuore?
Non sono forse io per te meglio di dieci figli?» (1,8).

Questa semplice frase, piena di ripetuti e accorati interrogativi, racchiude tutta la storia di coppia di Elkanà e Anna. È un rapporto di coppia che sembra segnato da tristezza e dolore: una donna che piange, che ha il cuore triste, che non mangia, e un uomo che si chiede sconfortato perché la sua presenza e il suo amore non siano sufficienti a dare senso alla vita della sua compagna.
Si tratta di un dolore che ha la sua radice in un intenso amore coniugale, quello che vorrebbe realizzare il bene dell’altro. Questo dolore per una sterilità biologica sembra divenire la causa di una sterilità che investe tutta la vita affettiva ed emotiva: Anna appare irrimediabilmente persa e chiusa nel pensiero della sua sterilità e ciò stende un velo di morte su tutto. Anche sull’amore di Elkanà per lei.

Capire tu non puoi, tu chiamale se vuoi… emozioni… (Mogol - Battisti)

Nel testo di 1Sam, la vicenda di Elkanà e Anna non sembra nulla di particolare: la presenza delle due mogli non sembra costituire un problema particolare, fa parte della consuetudine del tempo. La discendenza filiale è attribuita a Peninnà come un dato di fatto e l’autore si limita a una semplice descrizione dei fatti: quella che lui vede e quella che appare pubblicamente agli occhi della società.
Elkanà, da parte sua, si impegna anche a fare in modo che Anna non subisca ulteriori umiliazioni dal giudizi della gente. Anche per questo le elargisce una parte maggiore di quanto le sarebbe spettato, per mascherare la sua sterilità alla gente che la vedeva.
Ora egli soleva dare alla moglie Peninnà e a tutti i figli e le figlie di lei le loro parti. Ad Anna invece dava una parte speciale, poiché egli amava Anna, sebbene il Signore ne avesse reso sterile il grembo. (4b-5).
Questa stessa “quiete” può essere invece fonte di profondo dolore per chi la vive nella propria più intima interiorità. A volte accade che la realtà vera della nostra vita interiore non appare altrettanto chiara e trasparente per chi la osserva dall’esterno. Capire cosa prova nel profondo del cuore una persona non è affatto semplice.

La scelta di “fermare l’offesa”
Anna continua a non ribattere alle continue mortificazioni di Peninnà. Si chiude in sé, sfoga la sua sofferenza in un pianto silenzioso e nel rifiuto di prendere cibo. In realtà, anche Peninnà vive una condizione di donna infelice e scontenta. Il marito, infatti, non le mostra né affetto, né attenzioni. Ai suoi occhi, lei è priva di un reale valore, è utile solo perché feconda, perché gli ha dato dei figli. E così, la gelosia e la mortificazione che Peninnà riversa su Anna sono un modo con cui lei manifesta e sfoga il suo disagio.
La scelta di Anna è un’altra: lei, pur provando una grande afflizione interiore, non risponde alle offese, perché si rende conto che reagire agli insulti o rinfacciare alla rivale di non essere amata dal marito significherebbe innescare una catena di offese e rivalse senza fine che non gioverebbe a nessuno. Pertanto, lei non mette in atto alcun gesto di violenza in risposta all’umiliazione e al disprezzo. Anna non si mette in competizione ma sceglie di fermare l’offesa su di sé, di patirla, per non espanderla facendo crescere il suo dolore.
La stessa modalità Anna la assume nei confronti del marito. Elkanà, infatti, non si rende conto che le parole consolatorie che rivolge alla moglie, sono vacue, anzi irritanti (1,8). Pur amando la moglie, non riesce ad entrare in sintonia con la sua sofferenza interiore e la delusione per la mancanza di un figlio.

Perseverare nel pensare un futuro diverso
E intanto – senza che se ne accorga – la rinuncia a reagire diventa in lei una vera forza che la spinge a sognare un futuro diverso: decide di aprire il cuore al Signore, sicura di non essere fraintesa né delusa. Si alza ed entra nel Santuario:
«Ella aveva l’animo amareggiato e si mise a pregare il Signore piangendo dirottamente. Poi fece questo voto: Signore degli eserciti, se vorrai considerare la miseria della tua schiava e ricordarti di me, se non dimenticherai la tua schiava e darai alla tua schiava un figlio maschio, io lo offrirò al Signore per tutti i giorni della sua vita” (1Sam 1,10-11).
Con la storia di Anna inizia la tradizione della preghiera privata. Infatti Anna è la prima ad entrare in un santuario, non per un culto pubblico o un sacrificio, ma semplicemente per parlare in modo confidenziale con Dio usando parole che escono dal profondo del cuore. Anna conosce come dar sfogo alla sua amarezza e presentarla a Dio per poi rimanere là in silenzio alla sua presenza. Non ha neppure paura di spiegare quello che sta facendo al sacerdote, rappresentante del culto ufficiale, il quale convinto dalle sue parole la congeda benedicendola con un augurio. La preghiera personale di Anna ha già sortito un primo effetto: “mangiò e il suo volto non fu più come prima” (1,18). Dio le aveva rasserenato il cuore.
La perseveranza è l’entrare in quella dimensione dinamica della vita, della storia, della fede. Riconoscere la pienezza della parola di Dio, non solo ancorata all’origine ma anche nel suo divenire, perché Dio è continuamente presente nella storia dell’umanità e nelle storie di tutti gli uomini con la sua forza creatrice che perennemente fa nuove tutte le cose.
Allora essere fecondi non può riguardare solo la trasmissione della vita in senso procreativo, ma modalità generative di più ampio respiro.


Fonte:
www.fraticanepanova.it

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Aggiunto/modificato il 2025-01-01

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