Timoteo, di padre pagano e di madre ebreo-cristiana, Eunice, fu discepolo e collaboratore di san Paolo e da lui preposto alla comunità ecclesiale di Efeso. I due discepoli (Timoteo e Tito) sono destinatari di tre lettere ‘pastorali’ dell’apostolo, che fanno intravedere i primi lineamenti dei ministeri nella Chiesa. Ad oggi festeggiati insieme il 26 gennaio, giorno seguente alla festa della Conversione di San Paolo, sino al Messale del 1962 erano ricordati separatamente, San Timoteo al 24 gennaio come vescovo e martire, San Tito al 6 febbraio come vescovo e confessore.
Etimologia: Timoteo = colui che onora Dio, dal greco
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: Memoria dei santi Timoteo e Tito, vescovi, che, discepoli di san Paolo Apostolo e suoi collaboratori nel ministero, furono l’uno a capo della Chiesa di Efeso, l’altro di quella di Creta; ad essi sono indirizzate le Lettere dalle sapienti raccomandazioni per l’istruzione dei pastori e dei fedeli.
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Timoteo viene dall’ebraismo e Tito dal mondo pagano. Lavorano con san Paolo, che li pilota ma non li oscura. E dà loro "la gloria di un perenne ricordo": così dice Eusebio di Cesarea nella sua Storia ecclesiastica, del IV secolo; e sarà ancora così nel XXI: tutta la Chiesa li onora insieme. Paolo “arruola” Timoteo a Listra (Asia Minore) nel suo secondo viaggio missionario. Ma lo conosceva da prima con sua madre e sua nonna, ebree, che si fanno cristiane con lui. Timoteo resta poi sempre con Paolo, salvo quando lui lo manda in missione nelle chiese che ha fondato, per correggere errori e mettere pace. Come fa a Tessalonica, con la sua aria di ragazzo fragile. Ma "nessuno disprezzi la tua giovane età", gli scrive Paolo nella prima delle due lettere personali. E ai cristiani di Corinto lo presenta così: "Vi ho mandato Timoteo, mio figlio diletto e fedele nel Signore: vi richiamerà alla memoria le vie che vi ho insegnato".
Dopo la prima carcerazione di Paolo a Roma, Timoteo prende la guida dei disorientati cristiani di Efeso, ai quali l’Apostolo aveva già scritto dalla prigione: "Scompaia da voi ogni maldicenza, ira, clamore, asprezza". Non sono compiti facili: Paolo lo butta tra ogni sorta di problemi, errori, conflitti, aggravati da avventurieri, falsi profeti, pii confusionari. Lo manda a lottare; ma si dà pena anche della sua salute: "Smetti di bere soltanto acqua, ma fa’ uso di un po’ di vino, a causa dello stomaco e delle tue frequenti indisposizioni".
Paolo scrive la seconda lettera a Timoteo stando di nuovo in carcere, in attesa della morte: "Cerca di venire presso di me". Molti infatti lo hanno abbandonato; il fedele Tito si trova in Dalmazia; il freddo lo fa soffrire, e lui raccomanda a Timoteo: "Portami il mantello che ho lasciato a Troade".
Dopo il martirio di Paolo, Timoteo continua a guidare la chiesa di Efeso fino alla morte, che una tradizione colloca nell’anno 97. L’ultima notizia di lui ce l’ha data Paolo alla vigilia del martirio. "Tito è in Dalmazia". Poi, più nulla.
Autore: Domenico Agasso
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Aggiunto/modificato il 2001-02-01