Il nome “Ireneo”, dal greco Ειρηναίος (Eirenaios), significa “pacifico”, “pacificatore”, “serafico”, ossia uno che si sforza di portare o di operare la pace. Tale il nome tale il programma della vita di Ireneo di Lione.
È stato il primo teologo cristiano a tentare di elaborare una sintesi globale del cristianesimo primitivo. Vissuto all’interno di un periodo storico marcato da due eventi culturali di grande spessore: l’insorgere dello gnosticismo in ambito cristiano, prima forma di eresia in possesso di un buon impianto dottrinale, capace di affascinare molti cristiani colti; e il diffondersi nel mondo pagano del neoplatonismo, filosofia di vasto respiro, che presentava molte affinità con il cristianesimo.
Ireneo con la sua opera tentò di dare una risposta decisiva per evidenziare i presunti errori contenuti nello gnosticismo, mentre nei confronti del neoplatonismo si aprì a un dialogo e accolse alcuni principi generali della stessa filosofia, elaborandoli personalmente. Secondo Ireneo, i filosofi greci ignorano Dio (Contro le eresie, II, 14, 2), ma riconosce in Platone il più religioso degli gnostici, come testimonia quanto lo stesso Pensatore ateniese aveva affermato nelle Leggi: “Come insegna un’antica tradizione, Iddio regge cominciamento termine e medietà del principio, di quanto esiste; retto Egli procede secondo sua natura, in giro sempiterno volvendosi. E dietro a lui, perenne, giustizia viene”; e nel Timeo (29 e): “Buono Egli è; in chi è buono, senza nullo d’invidia per nulla, in nulla occasione viene mai insorgendo”.
La vita
Le notizie biografiche su Ireneo provengono dalla testimonianza, tramandata da Eusebio nel quinto libro della Storia Ecclesiastica. Con tutta probabilità, nacque a Smirne (oggi Izmir, in Turchia), da una famiglia cristiana d’origine greca, verso il 135-140. Ancora giovane fu discepolo del Vescovo Policarpo, che, a sua volta, conobbe di persona l’apostolo Giovanni. Di preciso, non si sa quando si trasferì dall’Asia Minore in Gallia. Lo spostamento dovette coincidere con i primi sviluppi della comunità cristiana di Lione, intorno al 170.
Ireneo venne presentato al papa dai cristiani della Gallia con parole di alto elogio: “Zelatore del testamento di Cristo”. A Roma Ireneo fece onore al suo nome, suggerendo moderazione a papa Vittore, consigliandogli rispettosamente di non scomunicare le Chiese dell’Asia che non volevano celebrare la Pasqua nella stessa data delle altre comunità cristiane. Con gli stessi intenti pacifici, si adoperò presso i vescovi delle altre comunità cristiane per il trionfo della concordia e dell’unità, soprattutto nel mantenersi ancorati alla tradizione apostolica per combattere il razionalismo gnostico.
Egli fu comunque un vero testimone della fede in un periodo di dura persecuzione; il suo campo d’azione fu molto vasto, se si tiene conto che probabilmente non esisteva nessun altro vescovo nelle Gallie e nelle terre di confine della vicina Germania. Greco, aveva appreso le lingue “barbare” per poter evangelizzare le popolazioni celtiche. Dalla cronatassi (dal greco chronos, tempo, e taxis, ordine: elenco ordinato cronologicamente) dei vescovi di Lione, risulta che Ireneo è al secondo posto dopo Potino, primo vescovo e morto martire sotto la persecuzione di Marco Aurelio nel 177. Doveva appartenere già al collegio presbiterale della città, se proprio nel 177, poco prima dell’inizio della persecuzione imperiale, fu mandato a Roma, come latore di una lettera della comunità di Lione al Papa Eleuterio, per chiedere il suo parere come comportarsi circa il movimento “montanista”, che si era ben diffuso anche nell’ambiente lungdunense. Movimento che, poi, lo stesso Ireneo criticò nel suo Adversos haereses, (Contro le eresie).
Il “montanismo”, sorto attorno al 172 in Frigia, era un movimento profetico e apocalittico insieme. Prende nome dal Montano di Frigia, che predicava l’imminente fine del mondo e la discesa della nuova Gerusalemme dal cielo nella pianura di Pepuza, piccolo villaggio a oriente di Filadelfia, da lui stesso ribattezzato appunto “Gerusalemme”. Attraverso il mondo cristiano, il movimento si diffuse anche nell’Africa e nella Gallia, creando non pochi problemi sia in campo religioso sia in quello politico. Con la Chiesa ortodossa, per esempio, i contrasti riguardavano il fatto che i montanisti affermavano la loro superiorità sul clero istituzionale e permettevano, in aperto contrasto con la Chiesa “ufficiale”, la partecipazione delle donne ai riti, e soprattutto affermavano la loro centralità nelle rivelazioni e nelle profezie, come ad esempio delle due profetesse Massimilla e Priscilla, collaboratrici del fondatore fin dall’inizio del movimento. In campo politico, essi avevano una totale avversione per qualsiasi forma di governo, e praticavano ogni forma d’indipendenza dalle autorità, mostrando disinteresse per le relative sanzioni, ivi compresa la pena capitale, tanto da affermare che, morire martire a causa della fede in Cristo, comportava il perdono di tutti i peccati e l’ingresso in Paradiso.
Queste idee crearono non poco fanatismo in tante persone, che non solo erano contenti di andare incontro alla morte, ma si auto-denunciavano per essere martirizzati, tanto che l’imperatore Marco Aurelio, dei montanisti scrisse, che volontariamente si gettavano nelle arene dei gladiatori, proclamando di “essere cristiani, per farsi uccidere!”. Fatto che indusse a pensare che i Cristiani, senza alcuna distinzione, fossero dei pazzi e disturbatori della pace sociale. Questo clima spiega le facili persecuzioni contro i cristiani. Così nel 177, anche a Lione scoppiò una persecuzione in cui furono coinvolti sia il Vescovo Potino e un gruppo di quasi cinquanta cristiani tra sacerdoti e laici.
Al suo ritorno da Roma, e con la morte tragica in carcere del Vescovo Potino nel 177, Ireneo venne nominato Vescovo della città di Lione, nello stesso anno dedicandosi totalmente al ministero pastorale, che si concluse, verso il 202-203, probabilmente anche con il martirio. Venne sepolto nella chiesa di San Giovanni, che più tardi venne chiamata di Sant’Ireneo. La sua tomba e i suoi resti vennero distrutti nel 1562 dagli Ugonotti, durante le guerre di religione.
Le Opere
Ireneo è innanzitutto un uomo di fede e un Pastore. Del buon Pastore aveva il senso della misura, la ricchezza della dottrina, l’ardore missionario. Come scrittore, persegue un duplice scopo: difendere la vera dottrina dagli assalti degli eretici, ed esporre con chiarezza le verità della fede. A questi fini corrispondono esattamente le due opere principali che di lui rimangono: i cinque libri dell’Adversus haereses, (Contro le eresie), e la Demonstratio apostolicae praedicationis (l’Esposizione della predicazione apostolica), in cui espone una sintetica e precisa esposizione della dottrina cattolica; che, per questo, si può chiamare anche il più antico “catechismo della dottrina cristiana”. Ireneo si può considerare un vero campione della lotta contro le eresie.
Il pensiero e le opere di Ireneo furono direttamente influenzate da Policarpo, che fu discepolo di Giovanni Evangelista. Essi sono una testimonianza della tradizione apostolica, a quei tempi impegnata contro il proliferare di varie eresie, in particolare lo gnosticismo di cui Ireneo fu un forte oppositore.
Il pensiero
Ireneo può essere considerato il primo teologo cristiano, in quanto ha tentato di elaborare una prima sintesi globale del cristianesimo primitivo. Difatti, all’interno di un periodo storico marcato da due eventi culturali di grande spessore: da un lato, l’insorgere dello gnosticismo in ambito cristiano, come prima eresia in possesso di un impianto dottrinale abbastanza affascinante e accattivante; e dall’altro, il diffondersi nel mondo pagano della corrente filosofica del neoplatonismo, che presentava molte affinità con il cristianesimo. Ireneo con la sua diligente opera tentò di dare una risposta chiara e precisa contro i presunti errori dello gnosticismo; mentre nei confronti del neoplatonismo si aprì a un certo dialogo, accogliendo perfino alcuni principi generali, sottoponendoli a una personale riflessione.
La Chiesa del II secolo, infatti, era minacciata dalla cosiddetta dottrina della gnosi, che affermava essere la fede insegnata dalla Chiesa, una raccolta di simbolismi adatti per i più semplici e ignoranti, che non erano in grado di capire la realtà delle verità difficili; invece, gli iniziati, gli intellettuali o gnostici, come loro si auto-chiamavano, avrebbero capito quanto stava dietro questi simboli, e così avrebbero formato un cristianesimo elitario, intellettualista o gnostico.
Ovviamente questo “nuovo” cristianesimo gnostico si frammentava sempre più in diverse correnti con pensieri spesso strani e stravaganti, ma anche attraenti per molti. Un elemento comune di queste diverse correnti era il dualismo, che negava la fede nell’unico Dio Padre di tutti, Creatore e Salvatore dell’uomo e del mondo; e affermava, accanto al Dio buono, l’esistenza di un Principio negativo, che avrebbe prodotto la materia e tutto ciò che da essa deriva.
Radicandosi saldamente nella dottrina biblica della creazione, Ireneo dello gnosticismo confutava sia il dualismo sia il pessimismo che svalutavano le realtà corporee. Egli rivendicava decisamente l’originaria bontà della materia, del corpo, della carne, non meno che dello spirito. La sua opera va ben oltre la confutazione dell’eresia, perché si presenta come il primo grande teologo della Chiesa primitiva, che ha creato della teologia una visione sistematica, cioè di un sistema teologico, abbastanza coerente fra tutti gli articoli di fede.
La tradizione apostolica
Al centro della sua ricostruzione sta la questione della “Regola della fede” e della sua trasmissione. Per Ireneo la “Regola della fede” coincide, in pratica, con il Credo degli Apostoli, che è la chiave per interpretare il Vangelo. Il Simbolo apostolico, infatti, è una speciale sintesi del Vangelo, che aiuta a capire sia cosa vuol dire, e sia come si deve leggere il Vangelo stesso.
Il Vangelo predicato da Ireneo, infatti, è quello che egli ha ricevuto da Policarpo, Vescovo di Smirne, che risale all’apostolo Giovanni. E così il vero insegnamento non è quello inventato dagli intellettuali al di là della fede semplice della Chiesa, ma quello fondato direttamente sugli Apostoli, che hanno comunicato ai Vescovi in una catena ininterrotta formando la cosiddetta Tradizione (dal latino traditionem, da tradere: consegnare, trasmettere, che traduce il greco παράδοσις: paradosis), che è una delle due fonti della Rivelazione.
Gli Apostoli hanno insegnato una fede semplice, che si fonda sulla rivelazione di Dio. Così - dice Ireneo - non c’è una dottrina segreta dietro il comune Credo della Chiesa. Non esiste un cristianesimo superiore per intellettuali. La fede pubblicamente confessata dalla Chiesa è la fede comune di tutti. Solo questa fede è apostolica, viene dagli Apostoli, cioè da Gesù e da Dio. Aderendo a questa fede trasmessa pubblicamente dagli Apostoli ai loro successori, i cristiani devono osservare quanto i Vescovi dicono, devono considerare specialmente l’insegnamento della Chiesa di Roma, preminente e antichissima. Questa Chiesa, a causa della sua antichità, ha la maggiore apostolicità, perché trae origine direttamente da Pietro e Paolo, le colonne del Collegio apostolico. Con la Chiesa di Roma devono accordarsi tutte le Chiese locali, riconoscendo in essa la misura della vera tradizione apostolica, dell’unica fede comune della Chiesa.
Così scrive Ireneo: “A questa Chiesa, per la sua peculiare principalità è necessario che convenga ogni Chiesa, cioè i fedeli dovunque sparsi, poiché in essa la tradizione degli Apostoli è stata sempre conservata” (Contro le eresie, III, 3, 2). La successione apostolica, verificata sulla base della comunione con la Chiesa di Roma, costituisce il criterio della permanenza delle singole Chiese nella Tradizione apostolica. Difatti, scrive ancora Ireneo: “Con questo ordine e con questa successione è giunta fino a noi la tradizione che è nella Chiesa a partire dagli Apostoli e la predicazione della verità. E questa è la prova più completa che una e medesima è la fede vivificante degli Apostoli, che è stata conservata e trasmessa nella verità” (Contro le eresie, III, 3, 3).
Con tali argomenti, Ireneo confuta dalle fondamenta le pretese degli gnostici. Anzitutto essi non posseggono una verità che sarebbe superiore a quella della fede comune, perché quanto essi dicono non è di origine apostolica, ma è inventato da loro; in secondo luogo, la verità e la salvezza non sono privilegio e monopolio di pochi, ma tutti le possono raggiungere attraverso la predicazione dei successori degli Apostoli, e soprattutto del Vescovo di Roma.
Le caratteristiche della tradizione apostolica
In particolare - sempre polemizzando con il carattere “segreto” della tradizione gnostica e notandone gli esiti molteplici e fra loro contraddittori - Ireneo si preoccupa di illustrare il genuino concetto di Tradizione apostolica, che si può riassumere in tre punti.
a) La Tradizione apostolica è “pubblica”, non privata o segreta. Per Ireneo non c’è alcun dubbio che il contenuto della fede trasmessa dalla Chiesa è quello ricevuto dagli Apostoli e da Gesù, dal Figlio di Dio. Non esiste altro insegnamento che questo. Pertanto chi vuole conoscere la vera dottrina basta che conosca “la Tradizione che viene dagli Apostoli e la fede annunciata agli uomini”: Tradizione e fede che “sono giunte fino a noi attraverso la successione dei Vescovi” (Contro le eresie, III, 3, 3-4). Così la successione dei Vescovi – principio personale – e la Tradizione apostolica – principio dottrinale – coincidono.
b) La Tradizione apostolica è “unica”. Mentre infatti lo gnosticismo è suddiviso in molteplici sette, la Tradizione della Chiesa è unica nei suoi contenuti fondamentali, che Ireneo chiama appunto regula fidei o veritatis: e così perché è unica, crea unità attraverso i popoli, attraverso le culture diverse, attraverso i popoli diversi; è un contenuto comune come la verità, nonostante la diversità delle lingue e delle culture. C’è una frase molto preziosa di sant’Ireneo nel primo libro Contro le eresie: “La Chiesa, benché disseminata in tutto il mondo, custodisce con cura [la fede degli Apostoli], come se abitasse una casa sola; allo stesso modo crede in queste verità, come se avesse una sola anima e lo stesso cuore; in pieno accordo queste verità proclama, insegna e trasmette, come se avesse una sola bocca. Le lingue del mondo sono diverse, ma la potenza della Tradizione è unica e la stessa: le Chiese fondate in Germania non hanno ricevuto né trasmettono una fede diversa, né quelle fondate nella Spagna o nelle regioni orientali o in Egitto o in Libia o nel centro del mondo” (Contro le eresie, I,10,1-2). Si vede già in questo momento, siamo intorno all’anno 200, l’universalità della Chiesa, la sua cattolicità e la forza unificante della verità, che unisce queste realtà così diverse, dalla Germania alla Spagna, all’Italia, all’Egitto, alla Libia, nella comune verità rivelataci da Cristo.
c) La Tradizione apostolica, infine, è “pneumatica”, cioè guidata dallo Spirito Santo (in greco “spirito” si dice pneuma). Non si tratta, infatti, di una trasmissione affidata all’abilità di uomini più o meno dotti, ma allo Spirito di Dio, che garantisce la fedeltà della trasmissione della fede. È questa la “vita” della Chiesa, ciò che rende la Chiesa sempre fresca e giovane, cioè feconda di molteplici carismi. Chiesa e Spirito, per Ireneo, sono inseparabili: “Questa fede” - scrive - “l’abbiamo ricevuta dalla Chiesa e la custodiamo: la fede, per opera dello Spirito di Dio, come un deposito prezioso custodito in un vaso di valore ringiovanisce sempre e fa ringiovanire anche il vaso che la contiene ... Dove è la Chiesa, lì è lo Spirito di Dio; e dove è lo Spirito di Dio, lì è la Chiesa e ogni grazia” (Contro le eresie, III, 24,1).
Conclusione
Ireneo definisce il concetto di Tradizione, come realtà internamente animata dallo Spirito Santo, che la rende viva e comprensiva dalla Chiesa. La fede della Chiesa va trasmessa in modo che appaia quale deve essere, cioè “pubblica”, “unica”, “pneumatica”, “spirituale”. Da ciascuna di queste caratteristiche, si può condurre un fruttuoso discernimento circa l'autentica trasmissione della fede nell’oggi della Chiesa. Nella dottrina di Ireneo spicca la dignità dell’uomo, corpo e anima, che è saldamente ancorata nella creazione divina, nell’immagine di Cristo e nell’opera permanente di santificazione dello Spirito. Tale dottrina è come una “via maestra”, per chiarire insieme a tutte le persone di buona volontà, l’oggetto e i confini del dialogo sui valori, e per dare slancio sempre nuovo all’azione missionaria della Chiesa, alla forza della verità, che è la fonte di tutti i veri valori del mondo.
La ricorrenza liturgica è il 28 giugno.
Autore: P. Giovanni Lauriola ofm
Questo Padre della Chiesa occupa un posto preminente tra i teologi del II secolo. E considerato, difatti, il migliore espositore della dogmatica cattolica basata sulla scrittura. Egli nacque nell'Asia Minore, probabilmente a Smirne o nei suoi dintorni perché in gioventù vide e ascoltò S. Policarpo (+155), vescovo di quella città e discepolo di S. Giovanni, nonché altri numerosi presbiteri, discepoli immediati degli Apostoli, il che rende importantissime le sue testimonianze dottrinali.
Ignoriamo quando S. Ireneo si sia trasferito in Occidente con altri missionari desiderosi di portare o di estendere la fede cristiana. Sappiamo soltanto che nel 177 o 178, durante la persecuzione scatenata da Marco Aurelio, egli si trovava a Lione come sacerdote di quella chiesa che il vescovo S. Fotino aveva fondato. I martiri sopravvissuti alla persecuzione in parte originari dell'Asia Minore come Ireneo, informati dell'agitazione prodotta dal movimento del neofita Mentano in Frigia, scrissero una lettera ai fratelli dell'Asia e un'altra al papa Eleuterio affinchè riconducesse la pace nelle comunità turbate dall'eresia che esigeva dai suoi ardenti maggior austerità, penitenza rigorosa per i peccati commessi dopo il Battesimo, digiuni severi e prolungati, rinunzia alle seconde nozze e prontezza assoluta al martirio. S. Ireneo fu incaricato di portare la lettera a Roma, e raccomandato al papa come sacerdote "pieno di zelo per il testamento del Signore". Probabilmente durante la sua assenza morì martire, nel 178, il quasi nonagenario Potino al quale egli successe per il grande influsso che esercitava in quell'importante centro religioso e politico dell'impero.
Dell'attività del suo episcopato conosciamo soltanto la composizione degli scritti e la parte che egli svolse nella controversia della festa di Pasqua. Mentre le chiese dell'Asia la celebravano come i giudei il quattordici di Nisan (mese di marzo lunare), Roma la rimandava alla domenica seguente. La questione era già stata dibattuta senza successo nel 154 tra il papa Aniceto e S. Policarpo.La discussione riprese verso il 190 sotto il pontificato di Vittore. Quando costui lanciò la scomunica contro quei vescovi che non accettavano la data romana, S. Ireneo, il cui nome significa 'pace', intervenne in loro favore. Giudicando quella misura eccessiva, egli scrisse: "Non esiste Dio senza bontà". Più tardi anche le chiese orientali si conformarono all'uso romano.
S. Ireneo lavorò pure per estendere il cristianesimo nelle province vicine a Lione. Le chiese di Besançon e di Valence gli attribuiscono, infatti, il primo annunzio del Vangelo. Tuttavia l'opera fondamentale di lui è costituita dallo studio di tutte le eresie per combatterle e assicurare il trionfo della fede. Il suo merito principale, e quindi la sua gloria, è soprattutto la lotta da lui fatta allo gnosticismo con l'opera in cinque libri intitolata Contro le Eresie. Fu scritta in greco ed è preziosa non solo dal lato teologico in quanto mostra già formata la teoria sull'autorità dottrinale della Chiesa, ma anche dal lato storico, perché è ben documentata e porge un vivo quadro delle lotte contro le eresie pullulanti.
Secondo gli ideatori di questo gnosticismo, strano sistema, Dio è un essere inaccessibile , incapace di creare. Opposta a lui, eterna, c'è la materia, cattiva per natura. Tra Dio e la materia esiste il mondo intermedio soprasensibile abitato da coni o esseri emanati o generati da Dio, disposti a coppie. Uno degli eoni, il Demiurgo, il Dio dei Giudei, elaborò la materia nella forma attuale del mondo. Una scintilla del mondo superiore cadde un giorno nella materia (l'anima) e vi rimase a soffrire come in una prigione. Un altro degli eoni, Cristo, discese nel mondo con un corpo apparente (docetismo), e visse e morì per liberare lo spirito dalla materia. S. Ireneo avrebbe potuto facilmente far uso dell'ironia a proposito di simili fantastiche generazioni di eoni; preferì invece tendere agli erranti le mani per convertirli. "Dio, scrisse, spinto dall'immenso amore che ci portava, si è fatto ciò che noi siamo per farci ciò che Egli è".
Senza trascurare la teologia razionale, S. Ireneo confutò i diversi sistemi gnostici basandosi sulla ragione, sui detti del Signore, dei profeti e in modo speciale sull'insegnamento degli Apostoli. "La tradizione apostolica è manifesta nel mondo intero; non c'è che da contemplarla in ogni chiesa per chiunque vuole vedere la verità.
Noi possiamo enumerare i vescovi che sono stati istituiti dagli Apostoli, e i loro successori fino a noi: essi non hanno insegnato nulla, conosciuto nulla che rassomigliasse a queste follie... Essi esigevano perfezione assoluta, irreprensibile, da coloro che succedevano loro e ai quali affidavano, al loro posto, il compito d'insegnare... Sarebbe troppo lungo enumerare i successori degli Apostoli in tutte le Chiese; ci occuperemo soltanto della maggiore e più antica, conosciuta da tutti, della chiesa fondata e costituita a Roma dai due gloriosissimi Apostoli Pietro e Paolo; noi mostreremo che la tradizione che ricevette dagli Apostoli e la fede che ha annunciato agli uomini sono pervenute fino a noi per mezzo delle regolari successioni dei vescovi... E con questa Chiesa Romana, a motivo dell'autorità della sua origine, che dev'essere d'accordo tutta la Chiesa, cioè tutti i fedeli venuti da ogni parte; ed è in essa che tutti questi fedeli hanno conservato la tradizione apostolica" (Adv. Haer., 1. III, c. III, 1-2).
S. Ireneo ha scritto pure un libriccino intitolato Dimostrazione della predicazione apostolica, scoperto nel 1904 in traduzione armena. E' un'apologia delle principali verità cristiane basate sull'adempimento delle profezie dell'Antico Testamento. Tuttavia, il centro di tutto il pensiero teologico del Santo è costituito dalla dottrina della ricapitolazione della carne umana e della totalità del mondo materiale nel Cristo, prototipo dell'umanità ed esemplare iniziale della creazione.
Questa grandiosa concezione abbraccia tanto i disegni nascosti di Dio, quanto la loro realizzazione storica per mezzo dell'Incarnazione redentrice del Figlio suo. In essa si inseriscono le tesi care a S. Ireneo del Cristo nuovo Adamo, di Maria novella Eva, della divinizzazione dell'uomo totale mediante la grazia, della sua salvezza finale in un mondo materiale completamente restaurato.
Secondo la tradizione S. Ireneo avrebbe trovato la morte il 28-6-202- 203 in un massacro generale dei cristiani lionesi sotto l'imperatore Settimio Severo. La Chiesa lo onora come martire sulla testimonianza di S. Girolamo il quale, nel 410, per primo gli diede questo titolo. Le reliquie del santo vescovo furono disperse nel 1562 dai calvinisti.
Autore: Guido Pettinati
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