Ambiente storico
La vita di Girolamo Emiliani (1486-1537) s’intreccia con quella di Gaetano di Thiene (1480-1547), di Gian Pietro Carafa (1476-1559) e di tanti altri illustri e benemeriti personaggi del mondo religioso e civile, e si riallaccia indirettamente a quel largo movimento di Riforma cattolica, cha salvò l’Italia dalle lotte religiose del protestantesimo, preservandola e nell’integrità di fede e dalle infiltrazioni ereticali.
Certamente, Girolamo non fu, in sé e per sé, un vero riformatore, ma un collaboratore efficace e dell’opera riformatrice del clero e del popolo, attraverso la fondazione di un’opera memorabile di carità e di educazione cristiana: il ricovero dei poveri orfani, abbandonati per strada all’ozio e al facile lenocinio del marciapiede, in seguito ai flagelli delle ricorrenti peste e dai conflitti facili, che in quel periodo decimavano le popolazioni di intere città.
Il problema assistenziale degli orfani, infatti, aveva assunto una forma più grave e più urgente dalla prima metà del XVI sec., specialmente nell’alta Italia devastata dalle guerre e dalle pestilenze, provocate dalla discesa degli eserciti stranieri di Carlo VIII, di Ludovico II e Francesco I re di Francia, di Massimiliano I e Carlo V imperatori di Germania, degli Svizzeri, dei Lanzichenecchi del generale Borbone (soldati mercenari tedeschi, famosi per la loro ferocia). Il periodo che va dal 1489 al 1527 è stato uno tra i più fatali e nefasti per l’Italia: affamata e straziata dai francesi, tedeschi, spagnoli, austriaci, svizzeri e anche da tanti italiani, quasi più stranieri degli stessi stranieri.
Turbe di pezzenti affamati e violenti, resi tali dalla fame, “cattiva consigliera”, giravano per le città e le campagne quasi deserte; la mala vita, altra piaga della fame, trionfava sfacciatamente, adescando giovinette inesperte e fanciulli abbandonati. Ogni città e quasi ogni paese aveva il suo martirio, che stringeva il cuore dei buoni, spesso incapaci di adottare o di indicare rimedi.
Come in ogni tempo, la Provvidenza, che governa il mondo con un filo invisibile ma reale, ha sempre suscitato in diversi modi uomini e opere, che solo la carità di Cristo può creare o ripristinare, così, anche in questo triste periodo, ha fatto rifiorire: scuole popolari, ricoveri di mendicità, case di protezione e di preservazione delle giovani, ospedali per le malattie incurabili, orfanotrofi per lenire le sofferenze dei più deboli e degli indifesi.
La vita
Nella serenissima Venezia del 1486, nacque Girolamo da Angelo Miani ed Eleonora Morosini. La famiglia era già allietata da tre figli: Luca (1475), Carlo (1477) e Marco (1481). Il casato del Miani (detto anche Emiliani), pur essendo di estradizione nobile, non versava in buone condizioni economiche, a causa delle ricorrenti crisi di carattere sia politico sia militare, che dissanguavano ogni tipo di risorse.
Della prima giovinezza di Girolamo non si sa molto. A dieci anni, nel 1496, rimase orfano di padre, che, per motivi non del tutto chiari, presa la triste decisione di togliersi la vita, impiccandosi. Una simile tragedia ha certamente segnato profondamente non solo la famiglia, ma in modo particolare il piccolo Girolamo. Da un’antica biografia, questi viene descritto come un giovane “di gratioso aspetto, ma non vanitoso, era di colore alquanto bruno, di natura allegro, di animo ardito, di corpo forte e nervoso, di statura meno che mediocre, prodigo del proprio né punto avido dell’altrui, di maniere soavi e affabili, benché alle volte si lasciasse superare dall'ira” (P. Andrea Stella, La vita del venerabile servo d'Iddio il padre Girolamo Miani, nobile venetiano, Vicenza, 1605).
Come tutti i giovani patrizi della Serenissima, dopo il normale corso di studi, sognavano la carriera militare, che era tra le più redditizie dell’epoca, dal momento che Venezia stava vivendo un periodo di grande potenza economica e militare, a motivo della sua politica espansionistica anche in terra ferma; così anche Girolamo, all’età di vent’anni, nel 1506, entrò nel Maggior Consiglio, che era il massimo organo politico della città, dal quale uscivano tutte le decisioni più importanti. E nel 1509 intraprese di fatto la carriera militare.
Proprio l’anno prima, nel 1508, era scoppiato uno dei maggiori conflitti bellici sul territorio italiano del XVI secolo, che durò, quasi un decennio, fino al 1516. Era la guerra della Lega di Cambrai contro Venezia, per arrestare la sua forte politica di espansione in terraferma. Alla Lega parteciparono, oltre alla Francia e allo Stato Pontificio, quasi tutte le potenze europee. La fortezza di Castelnuovo di Quero, in posizione strategica lungo il Piave, fu affidata al comando del fratello di Girolamo, Luca. A causa del suo ferimento che lo rese invalido, lo stesso Girolamo assunse il ruolo di castellano e difensore del bastione.
Il 27 agosto 1511, però, la fortezza fu cinta d’assedio da truppe francesi e austriache, che la conquistarono in poco tempo, anche perché molti dei soldati veneziani fuggirono prima dell’assalto; Girolamo con un manipolo di fidati soldati sostenne l’assedio fino all’ultimo, restando prigioniero del nemico. Venne rinchiuso nelle stesse prigioni del castello con catene ai piedi, alle mani e al collo, secondo le leggi ferree della guerra.
La conversione
Nella storia agiografica, spesso, la prigionia sembra un canovaccio della Provvidenza, che tutto governa e dirige con delicatezza ma concretamente i fili della storia sia generale sia esistenziale di ogni uomo, per indicare qualcosa di molto serio nell’evoluzione del personaggio, specialmente per manifestare una “conversione” diversa e fuori del normale procedimento dello Spirito. Difatti, l’esperienza della prigionia nelle antiche carceri e specialmente in quella politico-militare è stata sempre molta amara dolorosa e triste, tanto da lasciare i segni nell’animo per tutta la vita, perché nel profondo del cuore avviene un cambiamento così radicale, che spesso conduce a una autentica trasformazione di pensare e di agire, tanto da cambiare tenore di vita, nel momento dell’eventuale liberazione. Cambiamento che tecnicamente si può chiamare “conversione”. Così, per esempio, è accaduto a Francesco d’Assisi, a Ignazio di Loyola e anche a Girolamo Emiliani.
L’esperienza vissuta da Francesco d’Assisi, che nella battaglia di Collestrada, estate 1203, fu fatto prigioniero dai perugini, e rinchiuso nelle locali prigioni di Perugia. Benché di breve durata, l’esperienza della detenzione dovette essere molto amara, tanto che si ammalò gravemente. E in considerazione di ciò, venne in libertà all’inizio del 1204, dietro forte riscatto, pagato da suo padre Pietro di Bernardone. Il resto lo si conosce.
Una avventura un po’ diversa ebbe ugualmente Ignazio di Loyola nella battaglia di Pamplona, 20 maggio1521, in cui venne ferito a una gamba, e ricoverato nel locale ospedale. E per la sua gravità, dopo poco, fu trasportato alla casa paterna. E dopo dolorosi e sofferti interventi chirurgici e una lunga convalescenza, cominciò a ristabilirsi, pur rimanendo zoppicante per tutta la vita.
La prigionia portò sia a Francesco che a Ignazio la possibilità di maturare delle scelte che cambiarono totalmente le loro esistenze e anche il loro pensare, specialmente in ordine al valore della vita e dei mezzi per risolvere i conflitti. Le terribili condizioni di prigione, vuoi o non vuoi, portano il pensiero facilmente alle origini delle cose, e, salvo eccezioni, anche alla conclusione che non sempre la forza militare è il modo più giusto per risolvere le situazioni critiche o conflittuali dei popoli.
Durante il triste periodo trascorso in prigione, anche Girolamo arrivò certamente a tali conclusioni, e nel contempo si avvicinò ai ricordi della sua vita d’infanzia fatta di preghiera e di affetti cari, e si raccomandò al Signore e alla Madonna. Proprio alla Vergine Maria fece voto per la propria liberazione, che sopraggiunse improvvisa il 27 settembre 1511, dopo circa trenta giorni di prigionia, trovando rifugio a Treviso. Qui, sull’altare della chiesa dedicata a Santa Maria Maggiore, depose le catene che lo avevano tenuto legato, per sciogliere il voto, che aveva fatto alla Madonna e per ringraziarla dell’avvenuta liberazione.
Il governo di Venezia, grazie alla sua abilità diplomatica e con uno sforzo immane in termini di uomini e di finanze, riuscì a rovesciare più volte le alleanze militari in campo, e a concludere la guerra a suo vantaggio, conservando quasi tutti i confini originari, eccetto alcuni territori occupati in Romagna e i porti pugliesi. Il conflitto, tuttavia, segnò la fine di ogni tentativo di Venezia di espandersi sulla terraferma italiana.
Dopo la cessazione delle ostilità belliche, nel 1516, che si conclusero a favore dei francesi e dei veneziani, Girolamo venne reintegrato nel governo di Castelnuovo di Quero, fino al suo rientro in Venezia nel 1527. I segni della dura prigionia furono talmente profondi nel suo l’animo, che è facile pensare a una speciale conversione o svolta radicale della vita: si erano creati nuove e diverse amicizie; si pregava con pratiche religiose e devozionali; e soprattutto si avvicinava alla lettura della Bibbia. In questa mutata situazione esistenziale e spirituale, Girolamo ebbe la lungimiranza di affidarsi alla saggia guida di un pio sacerdote.
La cartina al tornasole della nuova identità spirituale ebbe il suo banco di prova nel periodo della terribile pestilenza, che aveva colpita l’Italia, nel 1528, mietendo molte vittime in ogni stato sociale, specialmente però tra i più deboli. A Venezia, inizialmente, le migliori condizioni igieniche tennero lontano il morbo; ma il sopraggiungere di molta gente dai territori limitrofi, aggravò la situazione e così la peste si diffuse anche nella città lagunare. Insieme a un gruppo di volontari, Girolamo si prodigò per alleviare il disagio alla popolazione, mettendo a disposizione tutti i suoi beni. Pur contagiato dalla peste, continuò la sua opera di carità a vantaggio specialmente dei più bisognosi.
Su consiglio del suo amico sacerdote Gaetano di Thiene e del suo confessore, Gian Pietro Carafa, vescovo, (futuro papa Paolo IV), Girolamo decise il 6 febbraio 1531, dopo l’ondata pestifera, di continuare la sua missione caritativa a vantaggio dei poveri. E per questo, fece formale rinuncia di tutti i suoi averi a favore dei nipoti, dismise gli abiti del suo rango patrizio, per un grossolano saio di panno grezzo. Cominciò così la sua nuova avventura esistenziale, dedicandosi totalmente all’assistenza degli orfanelli; e, lasciando per sempre la casa paterna, si affittò un luogo, dove, insieme a un gruppetto di trenta ragazzi di strada, diede inizio all’antica e sempre nuova attività caritativa sia a livello operativo-culturale che spirituale.
Sempre su consiglio di amici e l’invito di alcuni vescovi più sensibili, Girolamo iniziò più sistematicamente il suo itinerarium caritatis (cammino di carità), attraverso alcune città del Veneto e della Lombardia, dando vita a molteplici fondazioni per l’assistenza dei più bisognosi. Oltre all’attività caritativa, già dal 1532 cominciò a pensare con più insistenza alla stessa organizzazione e amministrazione delle stesse opere che via via fondava. Così, a Merone, in provincia di Como, convocò tutti i collaboratori volontari e i tanti sacerdoti, che condividevano e volevano continuare la sua missione caritativa, per coordinare i metodi di lavoro e di gestione. Questa convocazione potrebbe chiamarsi, in modo informale, anche il primo Capitolo Generale dell’Istituzione, che si andava delineando con la denominazione di “Compagnia dei servi dei poveri”. E, difatti, nel 1533, costituiva a Bergamo la prima Comunità sotto la responsabilità di padre Agostino Barili, di nobile estradizione bergamasca, che aveva ammirato e seguito subito l’ideale di Girolamo, e divenne non solo il suo braccio destro, ma anche l’immediato successore del Fondatore.
La fondazione
L’idea di soccorrere gli orfani, che la guerra proliferava in ogni luogo, a Girolamo gli venne certamente, in occasione della morte del fratello Luca (1519), che lasciò tre nipotini indifesi, e che egli si impegnò ad assisterli, amministrando anche il patrimonio della cognata vedova. Sempre alla morte dell’altro fratello Marco, Girolamo si prese cura dei suoi tre figli, con la loro madre. Così, dopo il mandato governativo di Quero, nel 1527 abbandonò l’attività militare e politica per occuparsi direttamente dell’assistenza degli orfani.
L’esempio lo prese dall’opera realizzata da don Gaetano Thiene, che tra gli anni 1517 e il 1522, aveva costruito a Venezia, prima in legno e poi muratura, l’Ospedale degli incurabili, ossia del “morbo gallico o mal francese”, introdotto in Italia dopo l’assedio francese di Napoli ad opera di Carlo VIII e delle sue truppe, che viaggiavano accompagnate da una schiera di prostitute al seguito. Fu proprio la diffusione della prostituzione a diffondere velocemente questa malattia, la “sifilide”, contro cui, non essendoci delle cure efficienti, venne denominata “incurabile”. E, proprio, in questo ospedale degli incurabili, nel 1527, Girolamo conobbe anche Gian Pietro Carafa , che divenne suo direttore spirituale.
Durante la terribile carestia e pestilenza che colpì Venezia nel biennio 1528-1529, Girolamo prestò assistenza nell’ospedale degli Incurabili dei theatini e soprattutto in quello del Bersaglio, (luogo dove prima si esercitavano al tiro gli artiglieri), del quale ebbe anche la direzione, accogliendovi tutti quelli che vi si presentavano, ma soprattutto gli orfani e le orfane, che raccoglieva dalla strada. Per questi ultimi, rilevò una bottega, per insegnare loro i primi elementi della dottrina cristiana e per avviarli all’arte della lana. In questo periodo di assistenza, Girolamo fu colpito dal morbo, che lo ridusse in fin di vita, ma miracolosamente ne uscì indenne, con una guarigione improvvisa.
Di fronte alla triste realtà di tanti piccoli abbandonati, privi di genitori e indifesi, pensò di erigere un istituto per soccorrerli nei loro bisogni materiali e spirituali. Ben presto, però, l'edificio iniziale fu troppo angusto per ospitare tutti gli orfani che accorrevano da ogni dove. Nella sua attività educativa, mise a fondamento il principio della partecipazione e della responsabilità, da realizzarsi con la preghiera e il lavoro, e con tanta carità. Con la collaborazione di esperti maestri artigiani, Girolamo s’impegnò a creare anche una scuola di arti e mestieri, con lo scopo di insegnare ai ragazzi un lavoro, per il proprio mantenimento onesto e sicuro, e così essere più padroni della propria vita e proteggersi dalle insidie negative della società.
Dopo le prime esperienze comunitarie a Bergamo negli anni 1532-1533, finalmente, nel 1534, costituì a Somasca, un paese tra Bergamo e Lecco nella valle di S. Martino, una comunità, che Girolamo scelse come sede centrale della sua Istituzione. Anche in altre città lombarde, come Pavia e Como, estese le sue opere caritative, coinvolgendo clero e laici nella sua attività carismatica di beneficienza a vantaggio dei bisognosi.
Con il crescere del numero dei collaboratori, si sentì l’urgenza anche di una organizzazione, che potesse meglio gestire sia la moltitudine degli operatori e sia le numerose opere che sorgevano in più luoghi. E così Girolamo, pur rimanendo Laico, dette vita alla prima comunità religiosa che chiamò “Compagnia dei servi di poveri”, che il 1° settembre 1535 venne approvata dal nunzio papale, il cardinale Girolamo Aleandro, con lo scopo di assistere gli orfani e anche le prostitute. In seguito, però, quest’ultima attività venne abbandonata e lasciata ad altre istituzioni.
Le ricorrenti epidemie sconvolgevano facilmente i diversi territori italiani. Quella scoppiata verso la fine del 1536, per la Valle di San Martino, fece molte vittime, e lo stesso Girolamo ne fu colpito il 4 febbraio 1537, e l’8 dello stesso mese morì a Somasca, attorniato dai suoi confratelli, amici e orfani.
La sua festa liturgica ricorre l’8 febbraio.
Riconoscimento
L’originaria Congregazione dei servi dei poveri di Cristo ricevette il primo riconoscimento pontificio il 6 giugno 1540, da parte di papa Paolo III, con la bolla Ex iniuncto, sempre con la stessa finalità di dare assistenza agli orfani. Dopo non molto tempo, il 6 dicembre 1568, Pio V con la bolla Ex iniuncto nobis, concesse l’approvazione definitiva alla Compagnia elevandola da Congregazione a Ordine regolare. I religiosi erano chiamati Chierici regolari di san Maiolo, dal nome del collegio di Pavia, oppure Chierici Regolari di Somasca, luogo affidato a Girolamo dall’arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo, nel 1566, e che divenne anche il centro dell’Ordine.
Ben presto, all’opera di assistenza agli orfani si aggiunsero anche nuove e diverse attività, come l’insegnamento nei seminari, la formazione dei figli dell’aristocrazia e l’istruzione gratuita nelle scuole aperte a tutti. Esempio di grande spirito lungimirante, per allontanare la triste piaga dell’ignoranza, non ancora debellata, purtroppo, neppure nelle più consolidate democrazie moderne e post-moderne!
Programma e metodologia
Tra i mezzi utilizzati da Girolamo e dai suoi seguaci, oltre alla fondazione di orfanotrofi, è da segnalare l’abbinamento con l’istruzione catechistica usata con molta sagacia, sia per la formazione umana che per quella religiosa, secondo lo spirito della Riforma cattolica dell’epoca. In quest’attività caritativa e didattica insieme, sembra che Girolamo, nel suo mirabile spirito di fede, abbia anticipato un mezzo di sicura sollevazione morale per il popolo, insidiato dalla sua profonda ignoranza religiosa e dai nuovi sofismi dell’eresia, preparando la via alle future scuole cristiane.
Il metodo pedagogico utilizzato, per la diffusione della dottrina cristiana nel popolo, può essere così sintetizzato e descritto: scelti alcuni dei suoi orfanelli meglio istruiti nelle verità della fede e della morale cristiana, con essi Girolamo si incamminava dietro il Crocifisso per i villaggi del territorio, dove radunava intorno a sé il popolo e faceva iniziare ai suoi ragazzi una specie di “disputa a domande e risposte”; mentre gli orfanelli attendevano a istruire i bambini più piccoli, lo stesso Girolamo istruiva il popolo intorno agli stessi argomenti proposti dalla disputa.
Per meglio realizzare queste speciali dispute, si fece comporre, nel 1534, dal dotto domenicano fra Tommaso Reginaldo un manualetto di “catechismo per interrogazione e risposta” (P. Stanislao Santinelli, Vita del B. Geronimo Miani, Venezia 1740, p. 73), e, che, forse, è il primo catechismo moderno, anteriore certamente di alcuni anni a quello del sacerdote milanese don Castellino da Castello (1491-1566), apostolo delle scuole della dottrina cristiana in Lombardia.
Programma fondamentale: preghiera e lavoro, che rappresentano i due capisaldi della vita cristiana e sociale, e della stessa perfezione evangelica. Il lavoro doveva prendere il posto del vagabondaggio ozioso e mendicante, facile incentivo di ogni corruzione per la fanciullezza incauta e inesperta; e la preghiera, allietata da canti e cerimonie suggestive, doveva dare tonalità religiosa alle case e ai laboratori dei piccoli artigiani. Il tutto alimentato sempre da un profondo e autentico spirito di carità, la regina di ogni attività e impresa sia nel campo assistenziale che in quello educativo.
Girolamo ebbe il consenso e la collaborazione di molti gentiluomini ed ecclesiastici, che seguirono i suoi luminosi esempi e si raccolsero intorno a lui, contribuendo alla formazione della nascente Congregazione.
Culto e diffusione
Ben presto, dopo la morte di Girolamo, si sviluppò spontaneamente un culto che venne confermato dall’arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo alcuni anni dopo la sua dipartita al Cielo. Nel 1626, con atto solenne stipulato a Caprino (BG), tutti paesi della Valle San Martino eleggono il venerabile Girolamo Emiliani a loro Patrono. Girolamo fu beatificato da Benedetto XIV nel 1747 e canonizzato da Clemente XIII il 12 ottobre 1767. Pio XI nel 1928 lo dichiarava patrono universale della gioventù abbandonata. Una sua statua si trova nella basilica di San Pietro fra quelle dei grandi fondatori di Ordini religiosi.
Tra gli allievi delle scuole dei Padri Somaschi si ricordano, tra gli altri, Alessandro Manzoni, Luigi Guanella, Giovanni Battista Scalabrini. Dopo le tante crisi e difficoltà storiche, dovute a provvedimenti soppressivi della politica estera e nazionale, l’Ordine iniziò a riprendersi nel 1925, quando vennero aperte le prime scuole apostoliche.
L’ordine - dedito principalmente all’educazione cristiana della gioventù, soprattutto degli orfani e degli abbandonati, e al ministero parrocchiale - è presente oggi, oltre che in Italia, in Polonia, Romania, Spagna, negli Stati Uniti, in vari paesi dell’America Latina, e nelle Filippine.
Tipica dei Somaschi è la devozione a Maria invocata con il titolo di Mater Orphanorum, venerata presso la chiesa di Santa Maria in Aquiro a Roma. Dall’8 settembre 1945, esiste anche un Istituto religioso femminile che si ispira alla spiritualità di san Girolamo Emiliani, fondato dal sacerdote somasco Antonio Rocco, col nome di “Oblate della Mater Orphanorum”, eretta canonicamente in “Società di vita comune” dal cardinale Giovanni Colombo, arcivescovo di Milano, il 18 aprile 1967. Sono presenti in due centri di missione dell’America Latina e del Camerun.
Autore: P. Giovanni Lauriola ofm
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