Marcellino, sacerdote, e Pietro, esorcista, furono martirizzati soto Diocleziano (c. 303). Papa Damaso, ancora fanciullo, raccolse dallo stesso carnefice il racconto del martirio avvenuto a Roma in località Torpignattara sulla Casilina. La loro deposizione il 2 giugno è ricordata dal martirologio geronimiano (sec. VI).
Etimologia: Marcellino, diminutivo di Marco = nato in marzo, sacro a Marte, dal latino Pi
Emblema: Palma
Martirologio Romano: Santi martiri Marcellino, sacerdote, e Pietro, esorcista, che, come riporta il papa san Damaso, furono condannati a morte durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano; condotti tra i rovi sul luogo del supplizio, ebbero l’ordine di scavarsi il sepolcro con le proprie mani, perché i corpi rimanessero nascosti a tutti, ma la pia donna Lucilla diede degna sepoltura alle loro sante membra a Roma sulla via Labicana nel cimitero ad Duas Lauros.
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Due alberi di alloro, un bosco che cambia nome, un nucleo di catacombe oggi tra i più famosi al mondo. Tracce di una natura ormai scomparsa, che resistono nella tradizione scritta, e pietre che resistono ai secoli e danno solidità a quella tradizione. Le radici di due martiri cristiani del quarto secolo, il prete Marcellino e l’esorcista Pietro, affiorano qui, da antichi martirologi e reticoli sotterranei scavati nel tufo.
La grande mattanza
È il 304 e a Roma imperversa la grande persecuzione anticristiana voluta da Diocleziano. È l’ultima, grande mattanza ordinata dall’autorità romana prima della clemenza di Costantino. Il secondo dei quattro editti con i quali Diocleziano pianifica l’annientamento dei cristiani impone in particolare l’arresto di vescovi, sacerdoti, diaconi. Molti vengono giustiziati, perché i tribunali hanno facoltà di emettere la sentenza capitale. È in questo frangente che il sacerdote Marcellino finisce in carcere. Come tanti, il prete rifiuta di abiurare la fede, e tante prigioni diventano piccole comunità di credenti.
Il martirio nascosto
In carcere Marcellino conosce Pietro, un esorcista. Insieme annunciano Cristo e molti si convertono, chiedono il Battesimo. I racconti agiografici, dai dettagli più o meno leggendari, riferiscono di miracoli, come la guarigione della figlia del loro carceriere. Per il giudice evidentemente è troppo, i due devono essere tolti di mezzo. Qui la storia si fa più certa grazie a Papa Damaso I, che la racconta qualche decennio dopo. Marcellino e Pietro vengono torturati, portati in un bosco conosciuto come Selva Nera, costretti all’ultima, crudele umiliazione – scavare da sé la propria fossa – infine decapitati. Per la legge giustizia è fatta e la scelta della boscaglia è una scaltrezza aggiuntiva: oscurare per sempre il luogo dell’esecuzione. Calcolo sbagliato.
“Pietas” di una matrona
Perché una matrona romana, Lucilla, arriva a conoscere tempo dopo il luogo del martirio. La donna rintraccia e fa spostare le salme di Marcellino e Pietro dalla Selva Nera – che da lì in poi verrà ribattezzata nell’attuale Selva Candida – nel cimitero detto “ad duas lauros”, oggi sulla Via Casilina, forse perché contrassegnato dalla presenza di due allori. Papa Damaso compone un carme che fa apporre sulla nuova tomba e quando i Goti lo distruggono Papa Vigilio lo fa ricollocare e inserisce i nomi dei due martiri anche nel Canone della Messa. Avverranno poi traslazioni più o meno lecite di reliquie, ma le chiese romane e le catacombe tutt’oggi aperte e vive perpetuano la memoria di due uomini troppo grandi per essere cancellati da due anonimi tumuli nascosti nel fitto di una boscaglia
(Vatican News)
La più antica notizia sul loro martirio ci è stata tramandata da Damaso (m. 384) il quale attesta di averla appresa in gioventù dalla bocca dello stesso carnefice. Secondo la testimonianza del papa, dunque, il giudice aveva ordinato che i due martiri fossero decapitati nel folto di una selva affinché i loro sepolcri restassero sconosciuti; condotti al luogo del supplizio essi si prepararono con le proprie mani la tomba, in cui i loro corpi rimasero ignorati finché la pia matrona Lucilla, venuta a conoscenza della cosa, si premurò di farli trasferire e seppellire altrove.
Il loro sepolcro infatti è indicato dal Martirologio Geronimiano, il quale attesta che Marcellino era presbitero e Pietro esorcista e li commemora il 2 giug., nel cimitero ad duas lauros al terzo miglio della via Labicana. Ivi li venerarono i pellegrini del sec. VII, mentre il dies natalis è concordemente attestato da tutti i libri liturgici (Sacramentari) ed agiografici (martirologi storici).
Secondo l'autore del Liber Pontificalis, Costantino edificò in loro onore una basilica; il carme che il papa Damaso aveva posto sul loro sepolcro fu distrutto dai Goti, ma il papa Vigilio lo rifece inserendo i nomi dei due martiri anche nel Canone della Messa. Allo stesso periodo deve attribuirsi il loro ricordo nella liturgia ambrosiana e la dedicazione di un'altra chiesa a loro intitolata sulla moderna via Labicana (angolo via Merulana) già attestata nel sinodo romano del 595.
Quasi nello stesso periodo fu composta anche una passio (BHL, II, o. 776, n. 5230) che nella narte migliore non fa altro che parafrasare il carme damasiano, ma aggiunge fantastiche notizie secondo le quali i nostri santi avrebbero avuto relazione con i martiri Artemio, Seconda e Paolina (v. BSS. II, col. 490). sarebbero stati uccisi al XII miglio della via Aurelia. in una località che in loro ricordo fu detta Silva Candida (antica Lorium), che il carnefice si chiamava Doroteo e da vecchio si convertì al Cristianesimo ricevendo il Battesimo dalle mani del papa Giulio I.
Le reliquie dei due martiri nel sec. IX sarebbero state trasferite a Seligenstadt in Germania, ma dal racconto di Eginardo nasce il fondato sospetto che il famigerato diacono Deusdona, parte in causa ed agente principale di quella traslazione, abbia, secondo il suo costume, ingannato i messi del pio scrittore ed abate.
Autore: Agostino Amore
ICONOGRAFIA. Questi due martiri sono in genere rappresentati come uomini di mezza età, con tonsura, e sono loro posti tra le mani un rotulo o una corona. Nelle catacombe da loro denominate in Roma (IV e V sec.) un affresco li presenta contraddistinti dal nome, senza aureola, con breve barba, accanto all'Agnello. Un altro affresco del V o VI sec. nelle catacombe di Ponziano, li rappresenta invece imberbi, ai lati di s. Pollione, sempre però contraddistinti dal nome.
Autore: Claudio Mocchegiani Carpano
Fonte:
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Aggiunto/modificato il 2008-11-05