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Beato Sebastiano Valfrè Sacerdote oratoriano

Festa: 30 gennaio

Verduno, Cuneo, 9 marzo 1629 - Torino, 30 gennaio 1710

Il suo invito costante era «catechismo, catechismo!». E la sua opera si svolse tra i più umili, anticipando la messe ottocentesca di santi sociali piemontesi. Il beato Sebastiano Valfrè, nato a Verduno, comune di Alba, nel 1629, si trasferì a Torino per studiare filosofia. Qui si distinse per l'aiuto verso valdesi ed ebrei. Entrò nella congregazione Oratoriana (Filippini) nel 1651. Appoggiato dai Savoia, si prodigò per i più deboli, negli ospedali, nelle carceri e tra i soldati. Durante l'assedio francese di Torino nel 1706 soccorse i feriti, tra i quali Pietro Micca, di cui fu confessore. Morì nel 1710 ed è beato dal 1834. (Avvenire)

Patronato: Cappellani militari

Etimologia: Sebastiano = venerabile, dal greco

Martirologio Romano: A Torino, beato Sebastiano Valfré, sacerdote della Congregazione dell’Oratorio, che si dedicò con impegno all’assistenza dei poveri, degli infermi e dei carcerati e con la sua amicizia e la sua operosa carità condusse molti a Cristo.


Il Beato Valfrè nacque a Verduno, diocesi di Alba, il 9 marzo del 1629, da umile famiglia: quando il Duca Vittorio Amedeo II nel 1689 lo volle Arcivescovo di Torino per le straordinarie qualità dimostrate in oltre trent’anni di fecondo ministero, la modestia dei suoi parenti, fatti venire appositamente dal Valfrè nella Capitale, gli servì per sfuggire l’altissimo onore.
Compiuti con successo, ma tra stenti e disagi, i suoi studi ad Alba, a Bra, e a Torino, dove fece l’amanuense per mantenersi, entrò nel 1651 nella Congregazione dell’Oratorio. Questa era stata fondata due anni prima da P. Pier Antonio Defera, sollecitato dal Nunzio in Piemonte Alessandro Crescenzi, devotissimo di S. Filippo Neri ed intenzionato a promuoverne il culto e le opere. P. Defera, con il sacerdote Ottavio Cambiani, figura modesta per doti naturali, ma di intensa vita spirituale, aveva iniziato l’Oratorio nello stile di semplicità evangelica che una cronaca manoscritta 18 descrive in questi termini: “Il capitale loro fu la virtù e la confidenza in Dio; poveri di roba, ma ricchi di devozione, assistevano all’angusta chiesetta [ricavata in una bottega presa in affitto in casa Blancardi, presso la chiesa di S. Francesco d’Assisi] con cuore ampio e con fervore di spirito”.
La Comunità e gli esercizi dell’Oratorio si trovarono in piena crisi, dopo un anno e mezzo di vita, quando P. Defera l’11 settembre 1650, all’età di trentaquattro anni, morì: aveva dato l’avvio ad uno straordinario ministero di predicazione - non solo in chiesa, ma anche “discorrendo qua e là per la città” -, di confessioni, di visite agli ospedali ed alle carceri, facendo rivivere tra i Torinesi lo spirito dell’Apostolo di Roma. Il progetto sarebbe naufragato se il giovane suddiacono Sebastiano Valfrè, otto mesi dopo la morte del Fondatore, non si fosse presentato a P. Cambiani per chiedere di essere ammesso in quella Congregazione di un solo soggetto, povera di mezzi, sull’orlo della chiusura. Era un povero, Sebastiano, e non gli fece paura la povertà dell’istituzione: vide, anzi, in essa l’ambiente più adatto ad un dono senza riserve. Amò quella Comunità con tutto se stesso dedicandosi ai più umili lavori ed intraprendendo nel contempo, sulle orme del P. Defera, un’azione pastorale di incredibile dedizione.
Si formò perfettamente allo spirito di S. Filippo e lo visse con slancio per tutto il resto della sua vita, fino agli ottant’anni, quando si spense, il 30 gennaio 1710, nella sua piccola camera, ingombra delle carte di studioso - si addottorò nel 1656 in Teologia all’Università di Torino - e piena di imballaggi di vestiario e di viveri per i poveri, amati e serviti da P. Valfrè con la dedizione di un servo fedele. Lo assistette nell’agonia Sua Altezza Reale il Duca Sovrano di Piemonte, che svolse personalmente l’ufficio di infermiere nelle più umili mansioni. Anche l’ultima malattia che lo avrebbe condotto alla morte fu fervida testimonianza della fedeltà di P. Valfrè ai suoi impegni: il 24 gennaio aveva predicato alle monache di S. Croce e si era recato subito dopo nelle carceri a confortare un condannato a morte; corse verso casa, per arrivare in tempo, e si inginocchiò in chiesa per la Benedizione Eucaristica, passando poi immediatamente nel freddo ambiente dell’Oratorio per gli esercizi della comunità; febbricitante, il giorno seguente celebrò la Messa ed accolse per la Confessione molte persone, ma fu costretto a mettersi a letto; trascorse i pochi giorni che gli rimanevano su questa terra attendendo alla continua visita di penitenti e di amici, e spirò verso le otto del 30 gennaio.
La sua salma, esposta nella chiesa, attirò tutta Torino che voleva ancora salutare quel prete che per sessant’anni aveva percorso le strade e le piazze della città facendo il catechismo e sollevando ogni genere di povertà, con la stessa dedizione con cui a Corte svolgeva l’ufficio di Confessore della Real Famiglia, e nelle carceri, negli ospedali, nella cittadella e sui bastioni, durante la guerra, infondeva coraggio e testimoniava la carità del cristiano. Uomo di preghiera intensa e nutrito di contemplazione, attinse dalla sua ottima preparazione intellettuale e dalla fervida esperienza spirituale lo zelo della predicazione. Aveva iniziato, giovane diacono, ad annunciare il Vangelo nella cappella dell’Oratorio in Casa Blancardi, ed aveva continuato come Prefetto dell’Oratorio e come Preposito della Congregazione; chiamato incessantemente in conventi e monasteri, in chiese parrocchiali ed in vari istituti di carità mai rifiutò il suo servizio.
Ma il suo desiderio di annunciare la Parola del Signore lo portò anche fuori da questi ambienti convenzionali: alla scuola di P. Filippo aveva appreso il metodo del colloquio personale e della parola pronunciata “alla semplice” - come ricordano i primi biografi - nell’incontro con ogni genere di persone, per le vie e sulle piazze: per quarant’anni in Piazza Carlina, fece catechismo ai mercanti di vino ed ai loro clienti iniziando, in un gruppetto, a parlare di qualche argomento interessante, e rispondendo alle domande di quelli che si lasciavano coinvolgere nel discorso. Fu lui a celebrare in Torino, nel 1694, per la prima volta in Italia e forse nel mondo, la festa del S. Cuore di Gesù, che sarebbe stata ufficialmente istituita soltanto cento anni più tardi.
Anche i ragazzi furono campo in cui l’Apostolo del catechismo esercitò la sua missione; tra i suoi scritti di valore, lasciò un testo di catechesi che sarebbe servito alla Chiesa per molto tempo. Una tale dedizione al servizio dell’annuncio potrebbe lasciar pensare che poco tempo restava al Beato per occuparsi di altre attività. Egli, invece, si presenta non meno eccellente come Apostolo della carità. Conobbe i problemi e le necessità soprattutto dei più poveri nel contatto diretto con essi, fu attivamente partecipe di tutte le iniziative di bene che in Torino fiorivano, ma fu soprattutto la cura che personalmente dedicò alle numerose situazioni di immediato bisogno ad attirargli il cuore della Città: quante volte fu visto - e sono i soldati di ronda a darne testimonianza - passare durante le notti per le strade a caricarsi sulle spalle poveri cenciosi per condurli in qualche ricovero, o salire furtivamente le scale di misere case per depositare davanti alla porta pacchi di viveri e di indumenti. Non vi fu categoria di bisognosi in Torino che non abbia ricevuto il suo aiuto concreto.
La stima di cui godeva a Corte, dove il Duca lo aveva nominato Confessore affidandogli in particolare la formazione spirituale dei figli, diedero a P. Valfrè la possibilità di svolgere un’azione anche sociale e politica. Consigliere tra i più ascoltati del Duca, a cui P. Sebastiano ricordava anche per iscritto che la giustizia deve precedere la carità, il Beato esercitò una profonda influenza sulla società sabauda, in un’epoca travagliata da guerre, da conflitti giurisdizionali, da rapporti difficili con le minoranze valdesi e con gli Ebrei. Nelle complesse vicende di conflitto istituzionale fra la Corte Sabauda e la Sede Apostolica, P. Valfrè si rese conto della impellente necessità che i Rappresentanti diplomatici di Roma fossero ecclesiastici formati culturalmente ma anche nello spirito. Fu lui a suggerire la fondazione della Scuola di formazione che prepara il personale diplomatico della Chiesa: la Pontificia Accademia Ecclesiastica non ha dimenticato l’opera di colui che la ispirò, ed anche in occasione del suo III centenario, solennizzato il 26 aprile 2001 con una grande celebrazione nella Basilica Vaticana, lo ha ricordato.
Il 15 luglio 1834 Gregorio XVI iscriveva P. Valfrè nell’albo dei Beati. Accanto all’altare in cui riposano le spoglie mortali del B. Sebastiano, è stata posta per lunghi anni la cattedra dell’insegnamento catechistico, dalla quale l’invito costante di P. Valfrè sembrava ancor risuonare: “Catechismo, catechismo…!”.

PREGHIERA

Con la Tua preghiera fiduciosa alla Vergine Consolata,
o Beato Padre Sebastiano,
e con la Tua presenza intelligente ed attiva in Torino assediata,
hai mostrato che nell’amore per Cristo
fiorisce il più autentico amore per la propria città,
frutto di una fede che non è evanescente spiritualismo
ma adesione della vita a quel Dio che, facendosi Uomo,
siè fatto carico delle concrete situazioni degli uomini.
Ottienici in dono la Fede che fiorisce nell’incontro con Cristo
e che ha colmato il Tuo cuore ed illuminato il Tuo sguardo;
la Carità che ha mosso le Tue mani a servire,
le Tue labbra a parlare, i Tuoi piedi a percorrere le vie della città;
la Speranza che Ti ha sostenuto
quando le umane certezze svanivano e spesse nubi coprivano il cielo.
Prega per noi, Beato Sebastiano,
innamorato di Cristo, di Maria, della città!

Autore: Mons. Edoardo Aldo Cerrato CO

 


 

Il beato Sebastiano Valfré è un’anticipatore di quella grande stagione di santità che coinvolse il Piemonte nei secoli XVIII e XIX, ove fiorirono figure di santi anche di tipo sociale che onorarono la Chiesa con la loro vita e attività; per citarne alcuni: s. Giuseppe Cafasso, s. Giovanni Bosco, s. Giuseppe Benedetto Cottolengo, santa Maria Mazzarello, ecc.
Nacque a Verduno nel comune di Alba, il 9 marzo 1629 da umile ma religiosa famiglia, a sedici anni si recò a Torino per gli studi filosofici, laureandosi in teologia nel 1650, ordinato sacerdote si trovò nel pieno della questione Valdese del 1686, orientandosi con rettitudine nella situazione che vedeva contrapposti Roma e i Valdesi, con relativi decreti di condanna da parte del Ducato governato da Vittorio Amedeo II e successivo reintegro del Movimento.
Fu un precursore dei tempi moderni riguardo la tolleranza e la comprensione del mondo spirituale ebraico, la tradizione biblica e del dramma di questi immigrati. Divenuto oratoriano della Congregazione Filippina di Torino, iniziò un’opera di mediazione e integrazione fra l’aristocrazia piemontese e la popolazione, sia cittadina sia rurale che viveva una grande povertà, mentre la ricchezza era accentrata nelle mani pochi nobili.
Si fece questuante per il popolo e i possidenti piemontesi e della Savoia accettarono quest’opera e collaborarono efficacemente con i loro beni, la sua opera d’aiuto ai bisognosi smosse anche i ricchi spagnoli e persino olandesi e francesi.
Divenne il padre dei bisognosi e i possidenti facevano a gara nell’affidargli cifre cospicue per i suoi scopi. Altro aspetto della sua carità fu quella della visita agli ammalati, svolta con la collaborazione di un gruppo di giovani oratoriani, specialmente durante l’assedio di Torino del 1706 da parte dei francesi, fra i feriti aiutati vi fu anche l’eroico Pietro Micca di cui fu il confessore. Altri campi in cui si dedicò, furono le carceri, gli ospizi, l’assistenza economica a vedove e orfani, l’aiuto ai Valdesi colpiti dagli editti restrittivi.
Fu in ottimi rapporti con la Corte savoiarda che gli permise di attuare le sue iniziative sul campo sociale, e esplicando anche una discreta azione diplomatica, che gli procurò nei secoli successivi un ricordo annuale dai futuri diplomatici della Chiesa che frequentano la prestigiosa Accademia Ecclesiastica a Roma.
Per la sua attività di assistenza spirituale alle truppe savoiarde durante la guerra contro i francesi è stato nominato patrono dei cappellani militari.
Si spense il 30 gennaio 1710 lasciando il rimpianto unanime per l’immensa opera caritatevole svolta e un discreto numero di scritti di ascetica e di sacra predicazione.
Fu beatificato il 15 luglio 1834 da papa Gregorio XVI.

Autore: Antonio Borrelli
 


 

Verduno, piccolo borgo delle Langhe poco distante da Alba, diede i natali a Sebastiano Valfrè il 9 marzo 1629. Nacque in una numerosa famiglia contadina, ma poté ricevere un po’ di istruzione da un sacerdote e, dotato di intelligenza vivace, a dodici anni già voleva diventare prete. Studiò ad Alba, dai Minori Conventuali, poi entrò in seminario a Bra. A 16 anni, dopo aver ricevuto gli ordini minori, si trasferì a Torino per studiare al Collegio dei Gesuiti. Era una scuola prestigiosa, la frequentò da esterno, mantenendosi copiando, nottetempo, libri e lettere. A 22 anni, affascinato dal carisma di S. Filippo Neri, decise di entrare nell’Oratorio. A Torino era presente un solo padre ma, senza scoraggiarsi, pensarono ad un apostolato semplice, tra la gente del mercato. Mentre il confratello, cantando, radunava la folla, Sebastiano faceva la predica. Fu ordinato sacerdote nel 1652 dopo aver ottenuto la dispensa papale per la giovane età, tre anni dopo si laureò in teologia all’Università di Torino. Gli Oratoriani, intanto, crebbero e fu loro affidata la Chiesa del Miracolo Eucaristico, anche se poi i locali risultarono angusti. Nel 1668 ebbero la parrocchia di S. Eusebio che poterono ingrandire nel 1675 quando Madama Reale Giovanna Battista, seguendo le volontà del defunto marito Carlo Emanuele II, confortato morente dal Valfrè, donò il terreno per la costruzione dell’attuale grandiosa chiesa di S. Filippo edificata dal Guarini.
Il lungo ministero sacerdotale di p. Valfrè fu prezioso sia per la congregazione che per l’intera diocesi. Fu prefetto dell’Oratorio piccolo per diciotto anni, a partire dal 1653, rivolgendo le sue attenzioni ai laici: il venerdì teneva l’Oratorio, con una lettura spirituale, un sermone e la preghiera; la domenica mattina si visitavano gli infermi e le sette chiese. Nello spirito filippino, grande importanza avevano le “passeggiate”, che terminavano con la preghiera in un santuario. Dal 1671, fino alla morte, seguì i novizi e per oltre venti anni fu Preposito. Contribuì alla fondazione degli Oratori di Mondovì, di Carmagnola e di Asti. Sapeva bene che dall’ignoranza religiosa, anche nel clero, nasceva la superstizione e come rettore della Compagnia della Dottrina Cristiana vigilò sulle scuole di catechismo. Fu esaminatore per quaranta anni dei candidati diocesani agli ordini sacri; vescovi e cardinali gli chiesero più volte consiglio in merito ai decreti sinodali. Nel 1688 fu nominato assistente dell’inquisitore, con licenza di leggere i libri “proibiti”. Nel 1675 fu autorizzato ad operare nella diocesi di Alba, così a Mondovì nel 1692. Fu sua l’intuizione di fondare a Roma l’Accademia dei Nobili Ecclesiastici per la formazione dei diplomatici al servizio del Papa: il confratello cardinale Colloredo la presentò a Clemente XI.
Tanta era la stima di cui godeva che gli fu affidata l’educazione di Vittorio Amedeo II: l’amicizia tra i due durerà tutta la vita, nonostante la personalità complessa del sovrano. Sebastiano fu assistente spirituale di tutta la corte e in particolare delle giovani principesse Maria Adelaide e Maria Luisa Gabriella che andarono spose, rispettivamente, al Duca di Borgogna, futura madre di Luigi XV, e a Filippo V di Spagna. Con entrambe rimase in contatto epistolare, ricevendo da loro denaro da dare ai poveri. Sebastiano passava dalle stanze sfarzose di palazzo alle celle dei carcerati, sino ai tuguri dei poveri. Dalle sue mani passò un fiume di denaro. Visitava regolarmente l’ospedale di S. Giovanni Battista, di notte era facile vederlo accompagnare sorridente un povero al ricovero, alle volte portandoselo a spalla, o con pacchi di viveri e vestiti che donava anonimamente. Non mancava di aiutare le ragazze costrette a prostituirsi, che salvò in grande numero. Nel 1689, nonostante la consuetudine che l’arcivescovo fosse nobile, il sovrano propose l’incarico al Valfrè che per umiltà rifiutò.
Gli anni in cui visse il Valfrè furono funestati da guerre continue come quella del Monferrato e quella di successione spagnola in cui si colloca l’Assedio di Torino del 1706. Valfrè fu costantemente impegnato nell’assistenza spirituale dei soldati, li esortava ad essere buoni cristiani e servitori della patria. Nel Regno Sabaudo, che finalmente acquisiva il rango di stato europeo, erano anni di lotta alle dottrine protestanti, calviniste, luterane e valdesi provenienti dalla Francia e dalla Svizzera. Il 31 gennaio 1686 Vittorio Amedeo II, dietro pressione francese, dispose l’abbattimento dei templi e l’esilio dei pastori valdesi. Sebastiano visitò i prigionieri rinchiusi nella cittadella, distribuì elemosine e medicinali. Per incarico del Duca, tra il 25 agosto e il 5 settembre 1687, visitò le valli pinerolesi dove forte era la presenza valdese. Per quanto gli fu possibile fece da mediatore tra il Duca e la Santa Sede per le interferenze statali sulle immunità ecclesiastiche, sui poteri del nunzio pontificio o dell’inquisitore, sul diritto di nomina di abati e vescovi. Il beato concretizzò un impegno straordinario anche in favore degli Ebrei.
Padre Sebastiano molte volte ebbe la fortuna di meditare davanti alla Sindone la Passione del Signore. Il 26 giugno 1694, in occasione dell’inaugurazione della nuova Cappella ideata da Guarino Guarini, alla presenza del Duca e della Duchessa Anna, sostituì i teli di sostegno della sacra Reliquia. Tra le lacrime rammendò personalmente alcuni strappi.
Sebastiano fu padre spirituale di persone appartenenti ad ogni ceto sociale. Emerge tra gli altri Anna Maria Emmanueli Buonamici, una povera contadina, di cui nel 1772 fu pubblicata una biografia grazie agli appunti del beato. Grande fu il suo impegno per i monasteri di clausura, le sue “cittadelle spirituali”, in Torino o fuori città. Li aiutò anche materialmente. Come un vero padre si preoccupava delle doti di quelle giovani che non potevano prendere il velo per mancanza di mezzi. Tra le monache si distinsero in quegli anni la cappuccina Amedea Vercellone (1610-1670) e la visitandina Jean-Benigne Gojos (1615-1692) che, venuta dalla Francia nel 1638 con Santa Giovanna Francesca de Chantal, fu favorita da rivelazioni del Sacro Cuore. Era morta da due soli anni quando il Valfrè, nel 1694, celebrò privatamente, per primo in Italia, nella chiesa della Visitazione, la festa del Sacro Cuore. Privilegiato fu il rapporto con la carmelitana Beata Maria degli Angeli (Marianna Fontanella, 1661-1717). Il ruolo di p. Sebastiano fu determinante nella fondazione del Carmelo di Moncalieri e i due furono i protagonisti religiosi durante l’Assedio del 1706, quando la Francia tentò la conquista dello Stato Sabaudo. Tra maggio e agosto 60.000 soldati francesi tentarono la presa di Torino, contro le truppe piemontesi di molto inferiori. La carmelitana pregò senza soste davanti al Santissimo, Sebastiano tenne viva la speranza tra i soldati e i loro comandanti e, nonostante i suoi 77 anni, si prodigò nel confortare i soldati, soprattutto quelli feriti. In Piazza San Carlo si allestì un ospedale e un altare in onore della Consolata il cui santuario era la roccaforte religiosa. Il 7 settembre, festa della Natività di Maria, come predetto dalla Beata, i Francesi finalmente si arresero. Per riconoscenza, negli anni a venire, fu costruita la Basilica di Superga.
P. Valfrè fu un uomo di grande preghiera, prolungate erano le sue adorazioni, anche notturne, al Santissimo Sacramento che definiva “fuoco d’amore di Dio”, “ mare di fuoco troppo immenso”. Scrisse diverse operette: «Sulla perfezione cristiana», «Avvisi agli ecclesiastici», «Novena del Santo Natale», ma la maggior parte sono a tutt’oggi inedite. Nei suoi componimenti e nelle sue prediche invitava sovente a meditare sulla presenza di Dio in ogni occupazione, all’adempimento dei doveri secondo i diversi ruoli assunti nella società, ai padri di famiglia di seguire i figli fin dalla più tenera età. Compose meditazioni per i carcerati, era infatti membro dell’Arciconfraternita della Misericordia per il conforto dei condannati a morte.
Il 24 gennaio 1710, dopo aver tenuto un sermone in un monastero, nonostante il freddo, visitò un condannato che il giorno seguente doveva essere giustiziato. Poi corse alla preghiera della Comunità, ma era febbricitante. Il 29, dopo aver ricevuto l’olio Santo, volle essere benedetto con la corona di San Filippo con cui tante volte egli stesso aveva benedetto gli infermi. Spirò la mattina del 30 gennaio. Nella sua piccola camera c’erano ancora vestiti e viveri pronti per i poveri.
Padre Valfrè, beatificato il 15 luglio 1834 da Gregorio XVI, fu “maestro” per i santi che hanno reso Torino celebre nel mondo. Davanti al quadro della Madonna delle Grazie che donò alla Chiesa del Corpus Domini il Cottolengo ebbe l’ispirazione di fondare la sua opera. Il Cafasso ne seguì le orme nell’apostolato verso i carcerati e nella formazione dei sacerdoti, don Bosco pubblicò una raccolta di suoi pensieri; nel 1871 san Leonardo Murialdo fondò con il suo nome un circolo giovanile. Pregando davanti alla sua urna il beato Federico Albert, destinato all’esercito, ebbe la vocazione sacerdotale. Le spoglie mortali del B. Sebastiano riposano nella cappella che gli è dedicata nella Chiesa di S. Filippo a Torino.

 


Autore:
Daniele Bolognini


Note:
Per approfondire: www.studibeatovalfre.org
Daniele Bolognini "Beato Sebastiano Valfrè" ed. Velar

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Aggiunto/modificato il 2014-01-23

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