Sul santo più popolare della Val d’Aosta, protettore contro le calamità naturali e molte malattie, tra cui i reumatismi e il mal di schiena, si posa nell’iconografia, un uccellino, a ricordare che destinava una parte del raccolto del suo campo ai passeri.
Le notizie pervenutaci sulla vita di sant’Orso, sono desunte oltre che dalle tradizioni orali, anche da una “Vita Beati Ursi” di autore sconosciuto, della quale esistono due redazioni, una più antica e breve, della fine dell’VIII secolo o inizio del IX e la seconda più ampia ed elaborata, della seconda metà del XIII secolo.
Così sappiamo che quasi certamente era un presbitero aostano, vissuto fra il V e l’VIII secolo; aveva il compito di custodire e celebrare, nella chiesa cimiteriale di San Pietro.
Questa figura di custode e celebrante di una determinata cappella o chiesa cimiteriale, era molto diffusa nei secoli passati e a volte, quando questi edifici si trovavano in zone più isolate, questi custodi-celebranti prendevano il nome di eremiti, ai quali si rivolgevano i fedeli per le loro necessità spirituali.
Lo sconosciuto autore della ‘Vita’, lo descrive come uomo semplice, dolce, umile, pacifico ed altruista; un “uomo di Dio” che coniugava la preghiera continua alle opere di carità, visitando i malati, sfamando i poveri, consolando gli afflitti e aiutando oppressi, vedove e orfani; dedito al lavoro del suo campicello per procurarsi il cibo necessario, Orso, di quanto riusciva a raccogliere dalla coltivazione, ne faceva tra parti, per sé, per i poveri, per gli uccellini, i quali dice la leggenda, riconoscenti si posavano affettuosamente sulla sua testa, sulle spalle, sulle mani; inoltre curava una piccola vigna, il cui vino aveva la virtù di guarire i malati.
Non si conosce l’anno della sua morte, ma alcuni studiosi la pongono nell’anno 529, mentre è sicuro il giorno della morte, il 1° febbraio, divenuto poi il giorno della sua festa liturgica.
Orso è un santo, che molti vorrebbero imitare, la sua vita richiama alla mente, un’esistenza arcaica, pastorale, agreste, in pace con Dio, con la natura, con sé stesso e di riflesso con gli altri, senza nemici da combattere, ma aiutando il prossimo nei bisogni sia materiali, sia fisici, sia spirituali.
Sant’Orso non si distinse per azioni eclatanti, perché la sua santità scaturiva dalla carità per il prossimo, la semplicità e l’umiltà, l’adempimento fedele del suo compito di custode, la testimonianza del suo ministero sacerdotale.
Anche gli stessi prodigi, che gli sono stati attribuiti, sia dalla “Vitae Beati Ursi”, sia dalla tradizione, sono atti semplici, ma sufficienti a capire la grandezza della sua intercessione, a favore dei singoli e delle popolazioni, segnatamente della Val d’Aosta, dove visse ed operò.
Ne riportiamo qualcuno dei tanti che la tradizione gli attribuisce; per mesi e mesi non aveva piovuto, la siccità devastava i campi, ma cominciava anche a scarseggiare l’acqua necessaria per i bisogni dei suoi fedeli; allora il santo preoccupato per loro, fece scaturire colpendo una roccia col suo bastone, una sorgente a Busséyaz; la sorgente, chiamata “Fontana di Sant’Orso”, continua ancora oggi ad offrire la sua acqua, una volta considerata miracolosa, sotto la cappella costruita nel 1649 e restaurata nell’Ottocento.
Un’altra volta, mentre dava da mangiare ai suoi uccellini, passò davanti alla chiesa di s. Pietro, un giovane cavaliere in atteggiamento disperato, si trattava di un palafreniere, che gli disse di aver smarrito il miglior cavallo del suo nobile padrone; preso dalla compassione, il santo sacerdote lo fece entrare in chiesa a pregare, poi gli disse di guardare meglio il cavallo che montava, sorprendentemente era quello che cercava, senza più riuscire a riconoscerlo.
La città di Aosta poté vedere la potenza della preghiera di s. Orso, quando fu minacciata da una terribile inondazione per lo straripamento del torrente Buthier; già le acque si erano innalzate lungo le mura, dopo aver alluvionata tutta la zona circostante, quando Orso dopo aver pregato, tracciò sulle acque un segno di croce e queste si fermarono risparmiando la città.
Ma non solo prodigi operò, ebbe anche il dono della profezia e seppe anche infuriarsi a difesa degli oppressi; un servo del vescovo-signore del tempo, Plocéan, si era comportato male nei suoi confronti; temendo un terribile castigo dal suo signore, che era un uomo crudele, sebbene fosse uomo di chiesa, il servo pentito si rivolse al santo chiedendogli di intercedere per lui.
Recatosi s. Orso dal vescovo Plocéan (Ploziano), ottenne da questi il perdono per il servo; in realtà era una finta, e quando il poveraccio uscì dalla chiesa, dove si era rifugiato, lo fece prendere dai suoi sgherri, poi flagellare, rasare a zero, infine gli fece versare sulla testa della pece bollente.
Più morto che vivo, il servo barcollando si recò dal sacerdote, rimproverandolo di averlo consegnato al vescovo. Orso indignato, rimandò il servo dal suo padrone, per riferire che sarebbe presto morto, prima dell’infelice servo.
La leggenda narra, che quella notte stessa, Plocéan fu strangolato nel suo letto da due diavoli; la scena è rappresentata scolpita su un capitello del chiostro della Collegiata, dov’è narrata la vita di sant’Orso.
Per tutti questi leggendari prodigi, sant’Orso è considerato protettore contro la siccità, le malattie del bestiame, le intemperie, le alluvioni, i soprusi dei potenti, i parti difficili, i reumatismi e il mal di schiena, per queste due malattie, i fedeli che ne erano afflitti o volevano essere preservati, si recavano nella cripta della Collegiata e camminando carponi attraversavano il “musset”, un breve cunicolo aperto nel basamento dell’altare, dove una volta vi erano deposte le reliquie di s. Orso e passavano da un lato all’altro.
Generalmente viene raffigurato con il bastone dei priori in mano, perché secondo la tradizione (non confermata), egli sarebbe stato il fondatore della Collegiata che porta il suo nome; infatti su un capitello è scolpito s. Orso che presenta a s. Agostino, il primo priore della nuova comunità, Arnolfo.
La prima Collegiata fu costruita fra il 994 e il 1025 dal vescovo Anselmo d’Aosta, inglobando al centro una chiesetta paleocristiana, dov’erano sepolti i primi martiri aostani, tanto che era detta “Concilia sanctorum”, successivamente dedicata a San Pietro e che fu la chiesa di cui era custode e celebrante il sacerdote Orso.
La collegiata rifatta più volte, ha conservato l’antica cripta, mentre le reliquie del santo, poste in una grande cassa reliquiario in argento sbalzato, fatta eseguire nel 1359 dal priore Guglielmo di Liddes, furono traslate a metà del XV secolo, dall’altare della cripta, all’altare maggiore della ricostruita Collegiata.
Sulla cassa vi sono raffigurati, Cristo tra i santi Orso e Grato, la Madonna tra i santi Pietro e Paolo e un santo diacono; grazie all’antica Collegiata e il chiostro annesso, due capolavori dell’arte romanica, a lui dedicati, a cui si aggiunge il poderoso campanile risalente al XII-XIII secolo, sant’Orso è il più noto fra i santi aostani.
Concorre alla sua fama, la millenaria Fiera che porta il suo nome e che si svolge il 30 e 31 gennaio, giorni che precedono la sua festa liturgica del 1° febbraio, affollando e trasformando Aosta; secondo la diffusa tradizione, l’origine del mercato va collegata a una delle forme di carità praticate da sant’Orso, consistente nel distribuire ai poveri degli zoccoli di legno.
La Fiera di S. Orso, presenta i prodotti artigianali della regione Valle d’Aosta, soprattutto quelli in legno, come le grolle, le coppe da vino valdostano, le culle, le posate, i mobili, gli attrezzi agricoli, ecc.
Il culto di sant’Orso, assai diffuso nella Vallée già attorno all’anno Mille, dal XII secolo raggiunse anche le vicine diocesi di Torino, Vercelli, Novara, Ivrea (dove sorse poi l’ospizio che porta il suo nome); il culto si diffuse poi anche in Savoia, ad Annecy e nel Vallese.
Autore: Antonio Borrelli
Santo patrono di Aosta, Orso è un uomo dolce, mite, paziente, altruista. È un umile sacerdote della piccola chiesa dedicata a San Pietro vicino ad Aosta, vissuto tra il V e VI secolo. Le sue origini non sono certe. Forse è irlandese, oppure nasce ad Aosta da una famiglia sicuramente non ricca.
Il buon Orso si procura il cibo coltivando un orticello e una vigna. Secondo la tradizione il suo vino ha poteri taumaturgici e guarisce chi lo beve. Il raccolto lo divide in tre parti: un po’ per se stesso, un po’ per i poveri e un po’ per gli uccellini di cui è grande amico. Si narra che i passerotti, per ringraziarlo, si posassero sulla sua testa e sulle sue spalle.
Orso vive da solo, prega giorno e notte e viene considerato un eremita. Però tanti bisognosi vanno a trovarlo. Orso accoglie tutti con amore. Offre consiglio e aiuta soprattutto i poveri, le vedove, gli orfani, gli ammalati. L’umile prete compie anche alcuni miracoli per salvare gli aostani. Una volta, con il bastone traccia un segno della croce sulle acque del torrente Buthier, fermando così l’inondazione che ha già raggiunto i terreni circostanti e le mura cittadine. In occasione di una grave siccità i campi non possono essere irrigati e manca l’acqua per le necessità della popolazione. Interviene Sant’Orso con le sue preghiere: con un colpo del suo bastone fa scaturire da una roccia una sorgente, chiamata Fontana di Sant’Orso, che ancora oggi zampilla in località Busséyaz (Aosta).
Ogni anno Aosta ricorda il suo santo con la millenaria “Fiera di Sant’Orso”. Fin dal Medioevo, la città viene invasa da migliaia di persone già alla vigilia della festa che cade il 1° febbraio, giorno della sua morte. Durante la Fiera dell’artigianato locale vengono esposti i prodotti in legno tipici della Valle d’Aosta: culle, mobili, grolle, coppe da vino e, soprattutto, zoccoli. Infatti l’origine della Fiera nasce dal fatto che il santo, di fronte alla sua chiesa, distribuiva ai poveri vestiti e sabot, tipiche calzature di legno valdostane. La festa si protrae nella notte tra il 30 e 31 gennaio nella lunga Veillà (“veglia”, dal patois, dialetto valdostano) con canti e balli folkloristici.
Sant’Orso muore nel 529 ed è tuttora sepolto ad Aosta, nella Collegiata Santi Pietro e Orso. Viene invocato contro calamità naturali, inondazioni, malattie ed epidemie del bestiame, mal di schiena, malattie dei reni e reumatismi. Protegge la fertilità delle campagne.
Autore: Mariella Lentini
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