Bolzano, 1250 - Treviso, 1315
Enrico era nato a Bolzano verso il 1250 e fu un povero operaio. A un certo punto si trasferì a Treviso con la moglie e il figlio e, dopo la loro morte, visse in una stanzetta messagli a disposizione da un notaio. A Bolzano e a Treviso fu ammirato come assiduo frequentatore di chiese (a Treviso ogni giorno visitava tutte le chiese della città) e ascoltatore di Messe. Molto ammirata fu la sua vita di penitente: dormiva su un duro giaciglio, portava un ruvido saio, praticava lunghe veglie in preghiera. Quando si spense, solo nella sua cella, il popolo disse che era morto un santo. I funerali richiamarono tantissima gente e furono accompagnati da prodigi. E per lungo tempo ci furono pellegrinaggi che condussero dalle città vicine migliaia di persone all'arca del poverello, collocata nel Duomo di Treviso. Una commissione vescovile registrò trecentoquarantasei presunti miracoli, ascoltando testimoni oculari. Uno di questi era il suo biografo, Pier Domenico di Baone, che fu più tardi vescovo di Treviso. Una sua reliquia nel 1759 fu portata nel Duomo di Bolzano.
Etimologia: Enrico = possente in patria, dal tedesco
Martirologio Romano: A Treviso, beato Enrico da Bolzano, che, boscaiolo e analfabeta, distribuiva tutto ai poveri e, per quanto indebolito nel fisico, mendicava tuttavia saltuarie elemosine che spartiva con gli altri mendicanti.
|
Venerato a Bolzano e a Treviso, il Beato Enrico da Bolzano, protettore dei boscaioli, viene invocato perché la terra possa offrire i suoi preziosi frutti e contro la grandine, la tempesta, la siccità. Nato nel 1250 circa a Bolzano (Trentino Alto Adige) Enrico è poverissimo. Guadagna da vivere per sé, la moglie e un figlio svolgendo, dall’alba al tramonto, l’antico, faticosissimo e pericoloso lavoro di spacca legna. I boschi sono sempre stati importanti per l’essere umano: per tante famiglie rappresentano l’unica risorsa lavorativa possibile, sempre rinnovabile, per potersi sostenere. A quei tempi gli alberi sono fondamentali per l’economia locale. Con la legna, infatti, si costruiscono e si riscaldano le case e i ripari per gli animali. Enrico è analfabeta, non è andato a scuola, non sa leggere e nemmeno scrivere. Tuttavia, a contatto con il silenzio delle foreste, mentre le sue forti braccia abbattono alberi con l’uso della scure e spaccano la legna in piccoli pezzi con l’accetta, il povero boscaiolo impara ad amare Dio e tutto il Creato.
Si trasferisce, poi, con la famiglia a Treviso (Veneto) attratto, forse, da una maggiore offerta di lavoro. Moglie e figlio, però, a distanza di qualche anno, muoiono. Rimasto solo, Enrico trova rifugio in una stanzetta angusta grazie alla generosità di un notaio. Conduce un’esistenza solitaria, silenziosa, umile; indossa un ruvido saio, prega sempre, anche di notte, visita tutte le chiese della città e partecipa a tante Messe per ascoltare la Parola di Dio. Si adatta ai lavori più umili e, infine, chiede l’elemosina. Tutto quello che riesce a guadagnare lo regala agli altri mendicanti.
Quando nel 1315 lo trovano esanime nella sua povera cella, tutti lo acclamano come santo. Secondo la tradizione, nel momento in cui Enrico muore, tutte le campane delle chiese di Treviso si mettono a suonare da sole, suscitando stupore e riverenza in città e nelle campagne. Dopo la sua morte testimoni del tempo confermano ben 346 guarigioni da malattie e, per più di un anno, migliaia di pellegrini arrivano a Treviso dalle città confinanti, per rendere omaggio alla tomba di Enrico.
Autore: Mariella Lentini
Lavora sodo, Enrico. È nato a Bolzano intorno al 1250, si è sposato, ha messo su casa e gli è nato un figlio. Non si sa bene quando, non si a bene perché, forse al ritorno da un pellegrinaggio a Roma, un bel giorno decide di trasferirsi nel trevigiano insieme alla famiglia e qui si ferma nel podere di un signorotto locale, iniziando (o continuando) a fare il boscaiolo. Dicono per vent’anni, o forse più, certamente fino a che le forze glielo permettono.
A tempo perso è stato anche uomo di fatica, disponibile per traslochi e per ogni lavoro pesante. Né altro avrebbe potuto fare lui, pover’uomo analfabeta, come la stragrande maggioranza dei suoi contemporanei, obbligato a vivere col sudore della fronte.
Mortagli la moglie e poco dopo anche l’unico figlio, decide di traslocare a Treviso. Per la pensione, potremmo pensare, invece da quel momento la vita di Enrico assume un nuovo corso. Un notaio trevigiano lo ospita in una catapecchia e qui Enrico inizia una vita di preghiera e di penitenza.
Veste un saio ruvido, porta sul suo corpo strumenti di penitenza, prega e cerca di aiutare tutti coloro che hanno bisogno di aiuto. Il segreto per alimentare questa vita di preghiera e di carità sta nella Messa quotidiana e nella Comunione. Si fa pellegrino di chiesa in chiesa, visitando ogni giorno tutte le chiese di Treviso e partecipando avidamente a tutte le celebrazioni che in esse si svolgono.
Soprattutto, Enrico, povero in canna, diventa il “banchiere di Dio”, andando a bussare a tutte le porte per elemosinare un aiuto che gli consenta di venire in soccorso ai tanti miserabili che pullulano in città. In questa rete di carità riesce a coinvolgere anche il vescovo e addirittura il signore di Treviso, a testimonianza della stima e del rispetto che lo circondano.
Che di quanto gli viene donato nulla tenga per sé, lo dimostra il fatto che muore in povertà estrema, completamente solo nella sua catapecchia, il 10 giugno 1315. Il suono misterioso delle campane di tutte le chiese di Treviso annuncia il suo decesso alla città, che si ritrova stretta attorno alla sua bara per un funerale che sembra un trionfo. Perché i prodigi cominciano a fioccare proprio durante le esequie, tanto che in breve tempo si registrano e si documentano ben 346 miracoli attribuiti alla sua intercessione.
La sua fama da Treviso si estende a tutta l’alta Italia e agli stati confinanti, facendo affluire alla sua tomba frotte di pellegrini. Un primo tentativo di farlo santo non ottiene successo, pare, per mancanza dei fondi necessari, ma di Enrico si continua a parlare e a scrivere, addirittura nel Decamerone del Boccaccio, mentre la sua immagine si diffonde ovunque, come testimonia la sua ricca iconografia ancora oggi presente, ad esempio, nella cattedrale di Vienna, nel duomo di Innsbruck, nelle chiese dell’Istria e del Tirolo.
Il culto del beato Enrico da Bolzano è stato approvato da Benedetto XIV nel 1750, per dare un celeste protettore a tutti i boscaioli del mondo e non solo.
Autore: Gianpiero Pettiti
Nato a Bolzano verso il 1250, condusse la' dura vita del povero operaio. In epoca non precisata si trasferì a Treviso con la moglie e il figlio, e, dopo la loro morte, visse in un oscuro bugigattolo messogli a disposizione da un notaio. Negli ultimi anni si ridusse in estrema povertà, accettando l'elemosina. A Bolzano come a Treviso fu ammirato come assiduo frequentatore di chiese (a Treviso soleva visitare tutte le chiese della città ogni giorno) e avido ascoltatore di Messe. Più ammirata ancora fu la sua vita di penitente: dormiva su un duro giaciglio, portava un ruvido saio, praticava lunghe veglie in preghiera. Quando si spense, tutto solo nella sua cella, i trevisani dissero che era morto un santo. I funerali videro un concorso immenso di popolo e furono accompagnati da strepitosi prodigi. Seguirono per oltre un anno pellegrinaggi che condussero dalle città vicine migliaia di persone all'arca del poverello, collocata nel duomo di Treviso sopra un altare. Una commissione vescovile registrò in poco tempo trecentoquarantasei miracoli, per lo più guarigioni, su deposizione di testimoni oculari. Uno di questi fu il biografo di Enrico, Pier Domenico di Baone, che fu più tardi vescovo di Treviso. Ricognizioni delle reliquie si ebbero nel 1381 e nel 1712; una reliquia insigne nel 1759 fu portata a Bolzano ed è venerata nel duomo. In queste diocesi sorsero alcune chiese a lui dedicate. Il culto del beato fu approvato da Benedetto XIV, per la diocesi di Treviso, e da Pio VII, per quella di Trento.
Autore: Igino Rogger
Fonte:
|
|
|
|