Piacenza 1140 - 27 luglio 1200
Etimologia: Raimondo = intelligenza protettrice, dal tedesco
Martirologio Romano: A Piacenza, beato Raimondo Palmerio, padre di famiglia, che, perduti la moglie e il figlio, fondò un ospizio per accogliere i poveri.
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Sua madre muore tornando con lui dalla Terrasanta; Raimondo, quindicenne, arriva da solo a Piacenza e riprende il suo lavoro di ciabattino. Più tardi si sposa: nascono via via cinque figli, e tutti muoiono in breve tempo. Ne viene un altro, Gerardo, sano e vitale. Ma perde la madre da piccolo; allora i parenti aiutano Raimondo prendendosi cura del piccolo. Rieccolo di nuovo in pellegrinaggio: a San Giacomo di Compostella, alla tomba di sant’Agostino in Pavia. E poi a Roma, diretto in Terrasanta. Ma accade qualcosa che lo fa tornare a Piacenza: un “avviso” dall’alto, un ordine di pensare piuttosto ai poveri della sua città.
È tempo di crescita e di prestigio per Piacenza, che nel 1095 ha ospitato un Concilio con papa Urbano II. Nel 1154 e 1158 le sue campagne hanno visto due Diete imperiali con Federico I Barbarossa. C’è sviluppo, c’è ricchezza. Ma ci sono anche i poveri. E Raimondo ha capito che pensare a loro è più importante del pellegrinaggio. Si butta, vi si gioca la vita. Dal pronto soccorso passa alle opere stabili, alle case per nullatenenti, agli ospizi per malati. Chiede, prega, insiste, disturba, in cerca dei mezzi per mantenerli. Affronta risoluto chi può e non fa, chi possiede e non dà, pur bazzicando ogni giorno chiese e processioni: "Aiutateci, cristiani duri e crudeli!". È in tribunale a difendere i poveri diavoli dai creditori; ottiene scarcerazioni sulla sua parola, si occupa dei bambini in abbandono, cerca un rifugio o un marito a donne in difficoltà.
A tutti insegna la dottrina cristiana nelle case, nei laboratori, in strada. Non in chiesa, però: è un semplice laico, e pure analfabeta. In chiesa prega e basta. Poi torna a disturbare i governanti, che infine lo capiscono e lo aiutano. E poi strapazza il vescovo, perché non va giù abbastanza deciso contro le lotte di fazione in città. Cerca di impedire un conflitto tra Piacenza e Cremona, e finisce in un carcere dei cremonesi: i quali poi lo liberano con scuse, sentendosi dire da tutti: "Avete imprigionato un santo!".
E da santo lo trattano, quando muore tra i poveri. Viene sepolto in una cappella presso la chiesa dei Dodici Apostoli e si affida la custodia della tomba (offerta dal Comune) a suo figlio Gerardo. Presto si spargono (e si registrano accuratamente) le voci di miracoli, e già nel 1212 il suo ospizio viene chiamato “di San Raimondo”, senza tante storie. Le richieste di canonizzazione si succedono di secolo in secolo, di papa in papa, ottenendo varie risposte che equivalgono già a un riconoscimento del culto; e nel 1602, sotto Clemente VIII, si approva l’Ufficio liturgico per la sua festa. Nel Cinquecento, intanto, i resti di Raimondo sono stati trasferiti nella chiesa delle Suore Cistercensi di Nazareth, dove si trovano tuttora, con il capo separato dal corpo e custodito in un reliquiario.
Autore: Domenico Agasso
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