Muro Lucano, Potenza, 1726 - Conv. di Materdomini presso Caposele, Avellino, 16 ottobre 1755
Nato presso Potenza nel 1726, morì nel 1755. Di famiglia povera, tentò invano di diventare Cappuccino, come uno zio materno. Fece il noviziato nei Redentoristi sotto la guida di Paolo Cafaro ed emise i voti come fratello coadiutore, svolgendo poi nel convento le mansioni più umili. Incaricato di organizzare pubbliche collette, ne approfittava per fare opera di conversione, per mettere pace e per richiamare al fervore religioso altri monasteri. Calunniato da una donna e, per la sua anima semplice incapace di difendersi, soffrì molto. Trasferito nella vallata del Sele, svolse in paesini isolati una grande opera di apostolato, comunicando a coloro che l'avvicinavano la sua ricchezza spirituale. Fin da giovanissimo, si erano rivelati in lui slanci mistici che lo portavano all'unione con Dio e, come ogni contemplativo, amava la natura e il bello.
Patronato: Cognati
Etimologia: Gerardo = valoroso con la lancia, dal tedesco
Martirologio Romano: A Materdomini in Campania, san Gerardo Majella, religioso della Congregazione del Santissimo Redentore, che, rapito da un intenso amore per Dio, abbracciò ovunque si trovasse un austero tenore di vita e, consumato dal suo fervore per Dio e per le anime, si addormentò piamente ancora in giovane età.
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Il cognome Maiella o Majella è un'abbreviazione della forma originaria Machiella o Macchiella, secondo la grafia desunta dagli Atti parrocchiali di Baragiano (Potenza) donde proveniva la famiglia.
Umanamente parlando non è un granché: di costituzione gracile, di salute cagionevole, di istruzione scarsa. Anche perché ha dovuto iniziare a lavorare presto per mantenere la famiglia, visto che papà muore quando lui è ancora un bambino, senza aver avuto il tempo di insegnargli il suo mestiere di sarto. Finisce così, come apprendista, in casa di un sarto esperto, dove colleziona ingiurie e percosse, ma il ragazzino non si scompone più di tanto, perché sta imparando ad accettare tutto per “amor di Dio”. Quando potrebbe mettersi in proprio, decide invece di andare a fare il domestico nella casa del vescovo di Lacedonia: non è un posto molto ambito, perché il vescovo è prepotente, esigente e autoritario.
Quelli che l’hanno preceduto hanno resistito in quell’incarico al massimo tre settimane, lui vi resta per tre anni, cioè fino alla morte del vescovo, ed è forse l’unico a piangerlo sinceramente, perché è riuscito a scoprire i buoni sentimenti del padrone anche sotto la scorza di uomo burbero e insopportabile.
Tornato al paese, Muro Lucano, apre bottega, ma neanche come sarto è un granché: prega più volentieri di quanto non sappia tagliare e cucire, è sempre incollato al tabernacolo o assorto in meditazione, più alla ricerca della volontà di Dio che attento alle esigenze dei clienti. La sua diventa la bottega del “sarto fai da te”, che non riesce a mettere un soldo da parte perché, quando si fa pagare, dopo aver comprato quello che serve alla mamma e alle sorelle, il suo denaro va a finire nelle tasche dei poveri o nella celebrazione di messe per i defunti.
Pensa seriamente di farsi religioso, ma la cosa è più facile a dirsi che a farsi: i Cappuccini gli dicono subito di no e anche con i Redentoristi le cose non vanno meglio: venuti in paese a predicare una missione, sono subito assediati e perseguitati da quel giovane che vuole diventare come loro e che essi non vogliono, perché oltre alla gracilità, che si vede ad occhio nudo, tutti lo descrivono come un po’ eccentrico, senza arte né parte, un buono a nulla, insomma. E così consigliano alla mamma di chiuderlo in camera, perché al momento della partenza non corra loro dietro. Il consiglio viene eseguito alla lettera, ma al mattino la mamma, nella stanza da letto, trova soltanto un foglio con poche, semplici parole: “Vado a farmi santo”. Annodando le lenzuola, infatti, il ragazzo è riuscito a calarsi dalla finestra: un’evasione in piena regola, un caso degno di “Chi l’ha visto”, se non fosse che di questa fuga si conoscono il motivo e la destinazione: raggiunti i missionari dopo dodici miglia, è riuscito, vista l’insistenza, a farsi accettare.
Lo mandano come “Fratello inutile” in vari conventi redentoristi, dove fa di tutto: il giardiniere, il sacrestano, il portinaio, il cuoco, l’addetto alla pulizia della stalla e in tutte queste umili semplicissime mansioni l’ex ragazzo “inutile” si esercita a cercare la volontà di Dio.
Ubbidientissimo, mortificato, devoto, semina amore e concordia mentre fa la questua. Ai poveri distribuisce tutto, anche i suoi pochi effetti personali. Nei semplici gesti che compie c’è del prodigioso e la gente grida al miracolo, che fiorisce al suo passaggio. Un giorno viene accusato di una relazione per lo meno sospetta con una ragazza: non si discolpa e non si giustifica, preferendo che la verità venga a galla da sola e cercando anche in questa prova dolorosa di fare la volontà di Dio. Sarà infatti discolpato proprio da chi l’aveva calunniato, mentre tutti ammirano il suo eroismo, la sua pazienza e la sua sopportazione. Un bel giorno è colpito dalla tubercolosi e deve mettersi a letto; sulla porta della sua cella ha fatto scrivere; “Qui si fa la volontà di Dio, come vuole Dio e fino a quando vuole Dio”.
Muore nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 1755: ha soltanto 29 anni, dei quali appena tre passati in convento durante i quali ha fatto passi da gigante verso la santità.
Beatificato da Leone XIII nel 1893, Gerardo Majella è stato proclamato santo da Pio X nel 1904. da allora è uno dei santi più venerati del nostro Meridione, si continua a ricorrere alla sua intercessione e, in particolare, è conosciuto come il “santo dei parti felici” per la particolare protezione che molte mamme hanno sperimentato durante la gravidanza e al momento del parto.
Autore: Gianpiero Pettiti
La sua terra è la Basilicata e lui è il “Santo dei parti felici”: patrono delle gestanti, partorienti, ostetriche, mamme e bambini. Donne di tutto il mondo si rivolgono a lui chiedendo protezione. Gerardo Maiella nasce a Muro Lucano (Potenza) nel 1726. Poverissimo, ultimo di cinque fratelli, perde il padre da bambino. In casa spesso manca il cibo. Un giorno si reca in chiesa quando avviene un prodigio. La statua di Gesù Bambino si anima e gli regala una bella pagnotta. Inizia così la straordinaria storia di un bambino speciale. Uno zio, impietosito nel vederlo infreddolito, gli regala un cappotto, ma quando Gerardo incontra per strada uno straccione, glielo offre.
Gerardo desidera diventare prete, ma nessuno lo vuole perché di costituzione gracile e considerato buono a nulla. Il ragazzo entra come servitore in casa del vescovo, uomo prepotente e insopportabile: nessuno resiste più di tre settimane alle sue dipendenze. Gerardo, umilissimo e ubbidiente, vi rimane tre anni, fino alla morte del padrone. Apre, poi, una bottega da sarto, mestiere del padre, ma senza successo: più che ai vestiti pensa a pregare; il poco guadagno serve per la mamma e le sorelle, il resto è per i poveri.
Quando in paese arrivano i redentoristi, Gerardo chiede di entrare nel loro Ordine. Niente da fare. Nessuno crede in lui. Invitano persino la madre a chiuderlo in casa per non essere infastiditi, ma il giovane si cala dalla finestra con un lenzuolo e corre dietro ai redentoristi che stanno lasciando il villaggio. Li raggiunge esausto e insiste per essere ammesso. Finalmente viene accolto nel convento pugliese di Deliceto (Foggia) come “fratello inutile”, senza possibilità di dire Messa. Gerardo è felice di svolgere le mansioni più umili: cuoco, giardiniere, questuante.
Diventa famosissimo: compie miracoli di guarigione, sparisce e poi ricompare, lo si vede in due luoghi nello stesso istante (bilocazione). Durante una carestia distribuisce cibo agli affamati e il sacco della farina non si esaurisce mai. Un giorno si trova a Napoli. Infuria la tempesta. Una barca è in difficoltà e sul molo la gente urla disperata. Gerardo fa un segno di croce e poi cammina sulle acque, spingendo a mano, fino a riva, l’imbarcazione. Forse per invidia una donna lo accusa ingiustamente. Gerardo non si difende per umiltà, ma ci pensa Dio a scagionarlo quando quella stessa donna, pentita, confessa la verità. Muore nel 1755 nel Convento di Materdomini, a Caposele (Avellino), dove oggi riposa.
Autore: Mariella Lentini
Gli dicono tutti di no. Cappuccini e Redentoristi non possono accoglierlo perché sta poco bene. Suo padre comincia a insegnargli il mestiere di sarto, ma muore troppo presto. Gerardo va al lavoro da un altro sarto di Muro Lucano, e più tardi si metterà in proprio, ma dovrà chiudere bottega. Torna a insistere con i Redentoristi, guidati dal loro fondatore Alfonso de’ Liguori, e infine la spunta. Ma ha già 26 anni quando può pronunciare i voti nel convento di Deliceto (Foggia) col rango di fratello coadiutore, subordinato. Ma a lui va benissimo.
Uscendo poi dal convento per questue e altre incombenze, s’immerge nella vita di paesi, persone, famiglie mortificate dalla miseria e dall’ignoranza, soggette ai signori, alle epidemie e alle crisi dei raccolti. Ne adotta lo stato d’animo, possiamo dire: ma lo arricchisce di fiducia.
Non è certo un riformatore sociale: i grandi problemi gli sfuggono. Ma vede le persone, la loro sofferenza, e anche quella dei loro animali. S’ingegna, per esempio, di curare i muli, umilissimi strumenti di comunicazione nelle campagne che spesso sono anche senza strade. Accorre dove c’è un malato, dove sta nascendo un bambino. Hanno una grande fiducia in lui anche le partorienti, e questo stato d’animo diventerà poi devozione affettuosa e duratura. Nell’animo popolare la figura sempre amica di fra Gerardo lascia segni che dureranno nelle generazioni fino a noi, come testimoniano feste e pellegrinaggi in suo onore.
Ma ecco arrivargli una prova inaspettata. Una lettera gli attribuisce relazioni almeno sospette con una ragazza, e lo stesso Alfonso de’ Liguori sembra crederci. Allora, indagini, interrogatori, spostamenti vigilati da un convento all’altro, divieto di fare la comunione... Lui potrebbe ampiamente discolparsi: ma non ci pensa neppure. Non dice una sola parola. Lascia che dicano e facciano gli altri, prendendo tutto come una prova voluta per lui da Chi può discolparlo se e quando vorrà. Ed ecco infatti che l’accusa crolla, senza che lui abbia aperto bocca. E con questo silenzio mite e vittorioso l’umile fratello coadiutore “tiene lezione”: ammaestra tutta la comunità.
I confratelli scoprono di avere in casa un santo, e gli chiedono di mettere in scritto per loro il “regolamento di vita” che si è dato. Nel 1755 mentre è al convento di Materdomini presso Caposele, molte famiglie sono alla fame per il maltempo, e lui interviene organizzando la distribuzione di viveri. Una prova di capacità organizzativa, che fa poi nascere voci di miracolo, come è già accaduto altre volte.
Nello stesso anno, Gerardo è colpito dalla malaria durante una questua. E dopo un breve miglioramento si spegne a Materdomini, a soli 29 anni d’età. Subito le popolazioni dell’Irpinia, della Basilicata e della Puglia lo considerano santo. E san Pio X lo canonizzerà nel 1904.
Autore: Domenico Agasso
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