La beata Cristiana Menabuoi, sebbene vissuta in un contesto storico-sociale lontano nel tempo, quando la santità si manifestava in particolare con i pellegrinaggi e con l’esperienza monacale, può anche oggi essere d’esempio, per quanti, volendo vivere con coerenza il proprio credo, vanno controcorrente. Oringa fu una donna coraggiosa, seguì la “via stretta” del Vangelo senza paura, nelle varie forme di vita che via via poté mettere in pratica.
In un’umile famiglia di S. Croce sull’Arno, poco lontano da Pisa, all’epoca però diocesi di Lucca, Oringa nacque nel 1240. Presto orfana di madre, il padre Sabatino nutrì per lei un particolare affetto. Fin dalla tenera età la giovane volle mantenere candida la sua anima. Mettendo in pratica i precetti evangelici della carità, nel piccolo borgo natio ebbe modo di apprendere, grazie ad alcuni sacerdoti, i fondamenti della fede e la sostanza della Sacre Scritture. Verso i dieci anni cadde gravemente ammalata e fu costretta a stare lungamente a letto. Il suo paese era guelfo, fedele al papa e alla Chiesa, sentimenti che la giovane fece propri senza la contaminazione politica che, ai tempi, era causa di lotte cruente. Molto popolare era il movimento francescano il cui influsso Oringa unì alla devozione verso l’Arcangelo Michele. Non ricevette alcuna istruzione, come era normale ai tempi e fu posta dai fratelli a guardia del bestiame al pascolo. Trascorreva lunghe giornate immersa nella natura, ciò le permetteva una contemplazione singolare del Creato. Le cronache raccontano però del pessimo rapporto con i fratelli che erano alquanto rozzi. Proprio tali ingerenze la indussero, intorno ai vent’anni, a fuggire da casa per evitare un matrimonio imposto dalle esigenze economiche delle famiglie del paese. Oringa prese una decisione coraggiosa, rinunciò a tutto per seguire la via di Cristo.
I primi ad ospitare la giovane furono, ad Altopascio, i frati ospitalieri - detti del Tau - dediti alla cura dei malati e all’accoglienza dei pellegrini. Tale esperienza consolidò la sua volontà di consacrarsi a Dio. Si diresse quindi a Lucca, dove giunse intorno al 1258. Per cinque anni visse nella città del “Santo Volto”, davanti al quale ebbe modo di pregare molte volte. Almeno fino al 1266 lavorò come domestica presso il Cavalier Cortevecchia, un nobile dalla vita esemplare. Erano tempi in cui le lotte tra guelfi e ghibellini sterminavano intere famiglie; è di quegl’anni la battaglia di Montaperti. Si organizzavano preghiere pubbliche cui certo Oringa non mancava di partecipare. Le giungeva l’eco delle violenze cui venivano sottoposte pure le sue terre natie.
Oringa visse da laica una profonda spiritualità, contrastata però da violenti lotte contro il maligno. A difenderla fu il suo avvocato, l’Arcangelo Michele, e ciò la spinse a intraprendere un pellegrinaggio, con alcune compagne, sul Monte Gargano, per pregare nel venerato santuario. Avvolta dal silenzio di quel luogo santo, Oringa si raccolse in speciale contemplazione. Volle poi visitare il centro della cristianità, Roma, ma vi si trattenne per circa dieci anni. Un frate minore, Rinaldo, le procurò un lavoro al servizio di una nobile, chiamata Margherita, che era vedova. Oringa pregò nelle basiliche romane, sulle tombe dei martiri ed anche nell’Urbe rispose all’anelito di aiutare il prossimo sofferente. Con la pia nobildonna volle pregare alla Porziuncola di Assisi: qui il Signore le mostrò una casa e le ispirò la fondazione di un monastero nella sua S. Croce sull’Arno. Visitò ancora Castelfiorentino dove era ancora vivo il ricordo della beata Verdiana, morta nel 1242, una donna che dopo alcuni pellegrinaggi - Santiago e Roma - era vissuta da reclusa in una cella accanto ad un oratorio. Oringa veniva comunemente chiamata Cristiana per la sua condotta devota.
Nel 1277 Oringa tornò nel suo borgo natio dove, insieme ad un gruppo di donne, diede vita ad una comunità secondo la regola delle terziarie francescane. Gli inizi non furono facili: si stabilì una collaborazione con l’autorità civica e con il vescovo, con il quale però i rapporti ebbero fasi alterne. Il 31 ottobre 1279 il Consiglio comunale concesse una casa in contrada San Nicola. Nel mese di dicembre ci fu la delibera e il perfezionamento della donazione. Ebbe il permesso di tenere con sé fino a dodici compagne. Costruirono quindi un oratorio per “la lode divina e fare atti di penitenza”: l’esemplarità di vita della comunità fece avere a Cristiana e alla consorelle una “lettera di fraternità” da parte del Maestro Generale degli Umiliati (1293), nel 1295 invece il Generale degli Agostiniani volle estendere alle religiose i “beni spirituali” dell’Ordine; nel 1296 il cardinale legato di Firenze confermò il potere alla comunità di eleggere la badessa; il 10 marzo 1298 un’altra lettera di fraternità fu data dal priore generale dei Servi di Maria. Il monastero fu dedicato a S. Maria Novella e a S. Michele, rispetto alla prima impostazione francescana, abbracciò poi la regola agostiniana, probabilmente per l’influenza di alcune personalità religiose del territorio. La data di appartenenza all’Ordine Agostiniano si può definire grazie ad una lettera del vescovo Paganello dei Porcari (gennaio 1294) che concesse alla comunità di Madre Cristiana “alcuni privilegi”, così come era abitualmente fatto con gli ordini “ufficiali”. Un Sostegno determinante venne anche dai vescovi, nonostante ciò le monache vissero sempre poveramente, tanto da essere costrette alla questua. Nel 1303 il vescovo lucchese Enrico del Carretto, francescano, esortò i fedeli a concedere elemosine affinchè potessero procedere i lavori di ampliamento del monastero, ricordando in particolare che in esso si solennizzava la festa della Immacolata Concezione della Vergine Maria. Tale consuetudine era già in atto nel 1290, come prova un decreto del vescovo Paganello. La beata Cristiana fece proprio e trasmise lo spirito di Sant’Agostino: “… abbiamo il comandamento di vivere uno core et anima in Dio”.
Cristiana dettò le Costituzioni del monastero, da cui si deduce lo stile di vita della comunità: “humiltà di core et corpo”, raccomandava di ”essere studiose” e di comportandosi “maturamente et pacificamente”; le cose spirituali erano da “preponre alle temporali”. Alcuni aneddoti tramandatici sono significativi: durante una carestia Cristiana aprì il monastero per i soccorsi, a ricordo di uno dei suoi miracoli ancor’oggi, in occasione della festa, si distribuiscono i cosiddetti “panellini”. Un giorno uscì dalla clausura e si presentò al Consiglio degli anziani del Comune scongiurando di usare, nella delicata situazione politica che viveva il suo borgo, le sole armi della diplomazia. Non la ascoltarono e le conseguenze portarono ad una dolorosa sconfitta.
Raggiunta la soglia dei settant’anni, dopo tre anni di infermità, la beata Cristiana fu colpita da una paralisi completa del lato destro del corpo, afflitta da dolori acuti, ma confortata dalla preghiera. Alcuni testimoniarono che, avvicinandosi il suo trapasso, una luce brillò maggiormente sul suo volto. Circondata dalle consorelle, in un vicendevole scambio di tenerezza e affetto, Madre Cristiana morì il 4 gennaio 1310. Il corpo rimase esposto per diciotto giorni, perché ininterrotto fu il flusso dei devoti che vollero prestarle un ultimo saluto.
A metà del secolo XIV un anonimo scrisse la prima biografia: Castore Duranti (1300-1377) affermò d’aver raccolto le testimonianze di quanti la conobbero, in particolare delle consorelle. Possediamo inoltre importanti lettere che la beata scrisse a due vescovi di Lucca, ad alcuni benefattori e persino ad alcuni cardinali.
Già dal primo anniversario della morte le furono tributati onori e culto, confermati dalle autorità comunali. Molti ottennero grazie per sua intercessione e in una bolla del 26 ottobre 1386 il vescovo di Lucca, fra’ Giovanni Saluzzi, chiamò Cristiana con l’appellativo “beata”. Nel gonfalone quattrocentesco del municipio di S. Croce è raffigurato il volto della santa concittadina.
Il corpo si mantenne incorrotto, ma il 20 agosto 1515 un terribile incendio lo danneggiò come avvenne a buona parte del monastero. Furono raccolte le ossa e poste in una statua. La conferma ufficiale del culto avvenne il 15 giugno 1776. San Giovanni Bosco, nel 1857, propose le vicende della beata Cristiana ai suoi giovani. Una statua in marmo della beata fu collocata presso la facciata del duomo di Orvieto, un'altra nel chiostro di S. Croce a Firenze. Il monastero voluto e fondato dalla beata Cristiana è oggi uno dei più antichi d’Italia, sopravvissuto ad alterne vicende, vive e trasmette il carisma della sua fondatrice.
PREGHIERA
O beata Cristiana, vero giglio di singolare purezza, per questa bella virtù che in tutto il corso della tua vita ti fece gareggiare con gli angeli, ti prego che dietro il tuo esempio io cominci a vivere davvero la vita dello spirito osservando esattamente la santa legge di Dio. Impetratemi la grazia che tanto desidero, purchè torni a gloria del Signore e a vantaggio dell’anima mia.
O beata Cristiana, vero angelo di carità, che sempre dimentica di te stessa, ti spendesti per sollevare le miserie morali e fisiche del prossimo, tanto di aver cambiato il tuo nome in quello glorioso di Cristiana, fa’ che tutte le mie azioni siano informate da questa eccelsa virtù, segno distintivo dei seguaci di Cristo. Impetrami la grazia che tanto desidero, purchè torni a gloria del Signore e a vantaggio dell’anima mia.
O beata Cristiana, vero esempio di profonda umiltà, per questa virtù che ti assimilò ai più grandi santi, ottienimi di aver sempre il giusto concetto di me e di riporre tutta la mia confidenza nel Signore che esalta agli umili e resiste ai superbi. Impetrami la grazia che tanto desidero, purchè torni a gloria del Signore e a vantaggio dell’anima mia.
O Padre che attiri al tuo Figlio i cuori degli uomini e riveli ai piccoli le meraviglie del tuo amore, concedi anche a noi di imitare nell’amore a Cristo Crocifisso e a Maria Immacolata la beata Cristiana da Santa Croce, nostra Patrona, e per sua intercessione aiutaci nelle nostre necessità.
Autore: Monastero Agostiniane di S. Cristiana
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