Incerto è il luogo e il tempo della nascita di questo grande monaco, apostolo del Norico Ripense, della regione cioè che si estende tra il Danubio e le Alpi Carniche. A chi gli chiedeva notizie riguardo alla sua età e alla sua famiglia, Severino si limitava a rispondere che un predicatore del Vangelo non ha altra età che l'eternità, né altro paese che il cielo. Tuttavia, da come parlava e agiva, si capiva facilmente che era romano di origine. Secondo Eugippio, suo discepolo e biografo, sappiamo che egli, ancora giovane, attratto dal desiderio della perfezione, si era recato in Oriente per vivere nella solitudine conforme alla regola di S. Basilio. In seguito ad un avviso soprannaturale, si recò nel Norico, verso il 455, cioè circa due anni dopo la morte di Attila, terribile re degli Unni, tenuto lontano da Lutetia (Parigi) e dalle preghiere di S. Genoveffa (+ 512) e sconfitto sui campi catalaunici, presso Chalons-sur-Marne, dal generale Romano Ezio. Attila aveva lasciato parecchi figli che se ne disputarono il regno con lotte sanguinose sulle sponde del Danubio.
Severino si era stabilito nel villaggio di Astura (oggi Stocheraw), alle dipendenze del custode della chiesa locale. Con la sua ardente pietà, purezza dei costumi, esercizio della carità, si guadagnò subito la stima e l'affetto del suo ospite. Un giorno egli uscì improvvisamente dal suo modesto ritiro, e percorse le vie del villaggio per chiamare alla chiesa i chierici e i laici. Con accenti misti a umiltà e a convinzione disse agli uditori che erano minacciati da un imminente pericolo: "I barbari sono molto vicini; chiudete le porte della città; mettetevi in stato di difesa e soprattutto pregate, fate penitenza". Il popolo non prestò ascolto alle ispirate parole dell'eremita. I sacerdoti stessi non si mostrarono disposti a prendere sul serio le proposte dello sconosciuto che si atteggiava a profeta.
In preda ad una giusta indignazione, Severino lasciò la chiesa, ritornò presso il suo ospite e gli predisse il giorno e l'ora del disastro. Poi, allontanandosi, dichiarò: "Per parte mia, abbandono questa città ostinata e votata ad una prossima distruzione". Si rifugiò nel borgo fortificato di Comagena (oggi Holembourg), non molto lontano da Astura, sul Danubio. La piccola guarnigione era impotente a difendere gli abitanti dalle scorrerie dei barbari. Anche qui Severino rinnovò a quanti trovò radunati in chiesa i suoi consigli e le sue predizioni. In principio nessuno gli volle dare ascolto, ma quando un vecchio di Astura, scampato all'eccidio, raccontò loro l'orribile disastro di cui era stato spettatore, e che non era stato evitato perché l'invito alla penitenza rivolto a tutti dal santo eremita era rimasto inascoltato, per tre giorni essi implorarono l'aiuto del cielo con preghiere, digiuni ed elemosine. I barbari posero t'assedio anche alla loro città, ma in capo al terzo giorno furono messi in rotta da un terremoto che gettò il panico nelle loro fila.
Da quel giorno Severino divenne l'apostolo del Norico, il benefattore dei poveri, il taumaturgo, il consigliere non solo dei romani, ma anche dei barbari che, soggiogati dalla sua santità, lo ascoltavano, ubbidivano e veneravano. Tuttavia, siccome non era sacerdote, con la sua attività suscitò invidie e gelosie tra il clero locale. Severino si recò allora a Favianis (oggi Mauer), sul Basso Danubio, dove la sua predicazione ebbe migliore accoglienza. Per le sue preghiere e penitenze la città fu liberata dalla fame e dalle minacce dei barbari. Bande di predoni un giorno apparvero a razziare sotto le sue mura. Severino andò dal capo della guarnigione, lo esortò alla fiducia in Dio e lo consigliò a cacciare risolutamente quei predoni. Nello stesso tempo gli ordinò: "Quando avrete sgominato i nemici, non uccideteli". I barbari, all'improvvisa sortita dei soldati da Flavianis, furono presi da sgomento e fuggirono alla rinfusa. Quelli che caddero prigionieri, furono condotti davanti a Severino il quale, dopo averli rimproverati per il loro brigantaggio, li fece rifocillare e rimandare ai loro paesi. Agli abitanti che avevano accolto i suoi inviti alla preghiera, al digiuno ed alla elemosina, egli diede quest'ultimo avviso: "La vostra città non soffrirà più razzie se, tanto nella buona quanto nella cattiva fortuna, osserverete fedelmente la legge di Dio e la pietà".
Dopo una breve parentesi di vita eremitica, verso il 456 Severino fondò nei dintorni di Flavianis un monastero, in cui ben presto fu raggiunto da numerosi discepoli desiderosi di condividere il suo genere di vita e di aiutarlo nell'apostolato.
Un altro monastero egli fondò a Boiotro, alla confluenza dell'Inn e del Danubio, di fronte a Passavia. Se avesse dato ascolto alle proprie inclinazioni, il santo avrebbe trascorso la vita in un deserto. Era invece volontà di Dio che non diventasse un puro contemplativo, ma un uomo di una prodigiosa attività a vantaggio del prossimo. Per umiltà e per conservare la sua libertà d'azione, non accettò mai l'ufficio episcopale. Formò i suoi discepoli più con l'esempio che con le parole. È appena concepibile l'austerità della vita che conduceva. Camminava scalzo anche d'inverno, e non faceva uso che di una tunica; dormiva disteso sul pavimento del suo oratorio; non rompeva mai il digiuno prima del tramonto del sole, se non in qualche determinata solennità; in quaresima non mangiava che una volta la settimana; per una speciale grazia talvolta prolungava il digiuno per diverse settimane.
La forma di preghiera allora più comune e più estesa presso gli asceti e i monaci era la salmodia. Severino l'incremento e la compi sempre solennemente insieme con i suoi discepoli e anche con il popolo che vi prendeva parte in chiesa in giorni ed ore determinate. Dio palesò con un prodigio quanto gradisse questa forma di preghiera. Eugippio testimonia che, essendosi il popolo di Iuvao (oggi Salzburg), radunato in Chiesa per il vespro e mancando il fuoco per accendere i lumi, Severino si mise in orazione e, miracolosamente, il lume che teneva in mano si accese.
Il Santo volle avere delle chiese ampie in cui celebrare con solennità i divini misteri. Per poterle fare consacrare e renderle atte ad essere officiate dal clero, si procurò delle reliquie in modi che hanno del prodigioso. Un giorno egli comandò ad uno schiavo da lui liberato, di attraversare il Danubio per ricercare sui mercati dei barbari un uomo ignoto, che lui, illuminato da grazia profetica, gli descrisse minutamente. Il liberto andò, trovò quell'uomo, e si senti dire da lui: "Credi che sia possibile trovare un uomo che mi conduca dall'uomo di Dio? È già da molto tempo che supplichevole interpello questi santi martiri dei quali porto le reliquie, affinchè una buona volta io indegno sia esonerato da tale compito, che fino ad ora, non per temeraria presunzione, ma per religiosa necessità ho sostenuto". Ciò udito, il liberto fece la sua presentazione, e, ricevute le reliquie dei Santi Gervasio e Protasio, le portò a Severino. Costui le ricevette con grande onore e le depose, con l'ufficio dei sacerdoti, nella basilica che aveva ricostruito nel monastero.
Quando occorsero reliquie di martiri per la nuova basilica di Boiotro, i sacerdoti si offrirono per andarne in cerca. Severino predisse loro che non si doveva intraprendere nessuna fatica perché sarebbero state portate spontaneamente al monastero le reliquie di S. Giovanni Battista. Scrive Eugippio: "Mentre il Santo a Flavianis leggeva il Vangelo, terminata la preghiera, si alzò e comandò che gli venisse subito preparata una barca. Ai circostanti stupiti disse: "Sia benedetto il nome del Signore; noi dobbiamo andare incontro alle reliquie dei beati martiri". Senza indugio, traversato il Danubio, trovarono un uomo seduto sulla riva opposta del fiume, che, con molte preghiere, li richiese di condurlo dal servo di Dio, dal quale, per la fama che si era divulgata, da lungo tempo già desiderava venire. Gli fu subito indicato Severino, a lui egli offerse le reliquie di S. Giovanni Battista, che per molto tempo aveva conservato presso di sé".
Per trent'anni il Santo lavorò con i suoi discepoli all'evangelizzazione del Norico, alla conversione dei barbari e al miglioramento dei costumi dei cristiani. Per scoprire quali tra i cittadini di Cucullis (oggi Kuchel) avevano preso parte a nefandi sacrifici, il Santo esortò i sacerdoti e i diaconi ad unirsi a lui per chiedere a Dio che manifestasse i sacrileghi. Il Signore intervenne con un miracolo. Difatti, la maggior parte dei ceri portati dai fedeli si accese repentinamente; i ceri invece di coloro che avevano partecipato al predetto sacrilegio, e che tuttavia negavano di avere fatto ciò, rimasero spenti. Il prodigio indusse coloro che avevano peccato al ravvedimento.
I grandi mezzi di cui si servi l'apostolo Severino nella sua opera missionaria, oltre alla preghiera, furono il digiuno e l'elemosina. Egli scrisse a Paolino, vescovo di Tigurnia, (oggi Peter in Holz), pregandolo di indire un digiuno di tre giorni per ovviare alla rovina di una futura calamità. Paolino ubbidì. Terminato il digiuno, una grande moltitudine di Alemanni seminò distruzione e morte ovunque, ma i castelli che si erano armati con "lo scudo del perseverante digiuno" non incorsero in nessun pericolo. Prima di sanare un infermo Severino indiceva, secondo la consuetudine, un digiuno di alcuni giorni. Prima di ottenere la guarigione di un lebbroso lo affidò, dopo aver indetto il digiuno di alcuni giorni, ai suoi monaci. Quando il medesimo lebbroso chiese di rimanere presso di lui, il Santo ricorse ancora al digiuno per sapere che cosa doveva fare. Per riscattare tre monaci dal potere del demonio, egli ricorse a quaranta giorni di asperrime penitenze. Ad uno dei confratelli di nome Orso, un giorno raccomandò improvvisamente di sventare una calamità futura con l'astinenza dai cibi. Al quarantesimo giorno di penitenza apparve sul braccio del digiunatore una mortifera pustola. Orso si recò dal Santo abate a mostrargli il suo male, e questi lo sanò con un segno di croce. Non si può dire però che a tutti garbassero simili austerità.
Un sacerdote, ripieno di spirito diabolico, un giorno gli gridò dietro: "Vattene, te ne prego, o santo, vattene in fretta, affinchè con la tua partenza possiamo almeno riposarci alquanto dai digiuni e dalla veglie".
Per i poveri Severino ebbe un cuore di padre. Per soccorrerli raccomandava a tutti l'elemosina. Agli abitanti di Lauriaco (oggi Lorch), e agli sfollati quivi convenuti dai castelli circostanti, raccomandò di essere generosi con i bisognosi. Il popolo metteva in pratica i suoi insegnamenti. Dei cittadini di Cucullis è detto che "non cessavano di fare elemosine". Il Santo stesso un giorno, a tutti i poveri della regione accorsi in una basilica, distribuì dell'olio dopo averli fatti pregare e meditare la Sacra Scrittura. Un certo Massimo, noricense, nel cuore dell'inverno partì per recarsi, in compagnia di altri, da Severino, con sulle spalle fagotti d'indumenti, frutto di una colletta fatta per i poveri e i prigionieri. L'elemosina era organizzata dal Santo nelle decime di cui sollecitava la raccolta mediante l'invio di lettere. Tale uso veniva scrupolosamente osservato. Ad una madre Severino restituì sano il figlio Rufo, malato da dodici anni, perché si era dichiarata disposta a fare elemosine in proporzione delle sue sostanze.
La fama dei prodigi, della santità e delle profezie di Severino lo faceva ricercare non soltanto dai cristiani, ma anche dai barbari residenti oltre il Danubio. I loro principi, ariani o ancora pagani, non rifuggivano dall’andargli a chiedere consigli per il governo dei loro sudditi. All’occorrenza, il Santo non temeva neppure di affrontarli per indurii a mitigare la loro durezza verso le città sottomesse e ottenere che rimettessero in libertà i prigionieri. Lo stesso Odoacre (+493), re degli Eruli, andò a trovarlo. Non è improbabile che, quando s'impadronì di Roma (476) e mandò l'imperatore Romolo Augustolo a morire in esilio, egli abbia risparmiato le istituzioni romane ricordandosi di Severino che gli aveva predetto la vittoria e aveva benedetto la sua giovinezza.
Fu quindi provvidenziale la permanenza di lui alle frontiere dell'impero. Anche se non riuscì a stabilire nel Nerico in forma durevole la vita monastica, ne la religione cattolica, con le sue predicazioni e la sua opera di persuasione, egli riuscì a rallentare le invasioni dei barbari sul suolo romano e ad addolcirne i costumi. Dopo la caduta dall'impero occidentale molti italiani giunsero nel Norico, tra cui un sacerdote chiamato Primenio che fu ospite di Severino. Ci fu allora chi ricorse alla mediazione di costui per conoscere qualcosa della giovinezza del Santo. Severino, però, si limitò a rispondergli: "Sappi solamente che Colui che ti ha fatto la grazia di essere sacerdote, mi ha ordinato di venire in soccorso di questi sventurati".
Il sacerdote Lucillo il giorno dell'Epifania andò ad annunciare ai Santo che il giorno dopo avrebbe celebrato l'anniversario del suo antico vescovo, S. Valentino, che aveva esercitato il ministero episcopale nella Rezia, nella prima metà del secolo V. Allora Severino gli disse: ''Se il Santo abate e vescovo Valentino ti ha designato per questo anniversario, io ti delego a mia volta per rendermi gli ultimi doveri. Questo avverrà nello stesso tempo. A partire da quel momento il Santo non pensò ad altro che a prepararsi alla morte. Predisse ai suoi discepoli che un giorno avrebbero dovuto abbandonare la regione e comandò loro di portare con sé le sue ossa.
L'8-1-482 il Santo raccomandò ai discepoli, che lo attorniavano per l'ultima volta, la penitenza e la pietà, quindi li baciò ad uno ad uno e ricevette la comunione. Poiché tutti piangevano, egli li riprese, li benedisse e ordinò loro di salmeggiare. L'afflizione impediva ad essi di cantare, Allora il morente stesso intonò il salmo: Laudate Dominum in sanctis eius, e spirò all'ultimo versetto che dice; "che ogni anima lodi il Signore"
Per le incursioni dei barbari, quando nel 488 Odoacre trasferì i popoli del Norico in Italia, i monaci portarono con sé il corpo del loro padre e maestro con avevano trovato incorrotto come il giorno della sepoltura. Al suo passaggio le popolazioni accorsero a venerarlo, cantando salmi e portando i loro malati, diversi dei quali guarirono. Con il permesso del Papa S. Gelasio ( + 496) il corpo di Severino fu traslato da Monte Feltre al Castrum Lucullanum, presso Napoli, per intervento di una nobile Signora, dove fu costruito in suo onore un monastero di cui Eugippio fu secondo abate. Nel 909, per sottrarlo alle profanazioni dei Saraceni che assalivano le coste dell'Italia meridionale, fu trasferito a Napoli all'abbazia benedettina alla quale fu dato il nome di San Severino.
Autore: Guido Pettinati
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